di Bruno Corino
Se la morte palpitasse nel mio cuore avrebbe sicuramente il
tuo volto, mio pittore: un volto oscuro, eppure ridente! Un volto solcato da ombre,
ma segnato anche da una luce eterna, la stessa che ho visto nei tuoi occhi,
allo specchio, mentre tu la dipingevi nella tua tarda primavera.
Con i mano i pennelli, una tavolozza sporca di colori, una
stecca, tu ci parli, tu, che con le parole sei sempre stato impacciato. Ci
parli attraverso i secoli, attraverso quel grande specchio della vita, che
implacabilmente ti restituisce i segni del tempo. Non sembri nemmeno
appartenere al tuo tempo, alla tua epoca. Nemmeno ai tuoi contemporanei. Sembri
appartenere soltanto alla tua pittura, alla tua arte.
Labbra serrate, quasi a dire: è inutile parlare quando al di
là dello specchio c’è un mondo sordo, che non sa, che non vuole ascoltare. Un
mondo abitato da avvoltoi, pronti ad abbattersi sulla carcassa dello sventurato!
Due grandi cerchi appaiono alle tue spalle, due misteriosi cerchi simbolici,
sembrano due mondi alienati, due sfere che hanno smarrito il senso e la
direzione, come i due occhi che si rifiutano di fissare lo spettatore. Guardano
all’interno della scena. Si ritrae lo sguardo insieme al sorriso.
Ed è così che riesci a creare quel senso di vuoto che
m’avvolge. Ora che ti guardo, diventi impalpabile, sfuggente, come la grossa
pennellata che tratteggia il tuo camice. Sì, ora sei presente alla mia visione.
Posso dire a me stesso: ti vedo, sei qui presente! Vedo soprattutto la tua
interiorità. I lutti che hanno segnato la tua vita. Le amarezze che hanno
colpito il tuo animo. Ma vedo soprattutto la tua lucidità. Nulla potrà più
scalfire la tua arte. Un senso di superiorità solca la tua fronte. Un senso di
superiorità solca ormai la tua morte!
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