Quinta puntata: Egoismi genetici


                                                              
- illustrazione di Antonio Calzone (Big Tony) -

Poco dopo, all'interno dell'acquedotto, Tania e Walden stavano consumando il secondo di due conigli con verdure.
Dinamite Bla aveva finito da un pezzo e li osservava lisciandosi la barba. Aveva detto pochissime parole, fino a quel momento, tranne, ogni tanto “Lo sapevo che il casino sarebbe successo ugualmente”.
I ragazzi non avevano commentato, troppo occupati a spolpare i conigli accorgendosi, anche se solo quando erano giunti a metà del secondo, di quanto fossero affamati.
A un certo punto Walden, dando di gomito alla sorella, le aveva indicato, in un angolo della stanza – una specie di rifugio di emergenza sepolto nelle profondità dell'edificio tecnico dell'acquedotto – un arco con una faretra.
Logico. Se Dinamite Bla avesse usato il fucile lo avrebbero sentito e non era mai successo. Si chiesero da quanto tempo l'uomo abitasse laggiù. Quella barba era davvero lunga.
«Bel casino» disse di nuovo l'uomo.
«Conosce i nostri genitori?».
Dinamite annuì «Sicuro. Avevamo deciso che vivessero isolati. Eravate piccoli ed era necessario che potessero prendersi cura di voi. Per questo stavano separati dal resto del gruppo e limitavano i contatti al minimo».
«Quale gruppo? Quali contatti?».
«Meno si sa è meglio è, credimi, figliolo» osservò le ossa nei piatti «Comunque siete diventati grandi. Be', abbastanza. La fame non vi manca di sicuro».
«Ci vuole spiegare, maledizione?».
«Meglio vivere in piccoli gruppi isolati. E meglio non sapere dove sono gli altri. Loro non amano avventurarsi nella foresta: sanno che non hanno unità a sufficienza per perlustrarla tutta e che sarebbe solo uno spreco di tempo. Certo, ogni tanto succede. E in questo caso se un gruppo non sa dove si trovano gli altri non può rivelarlo. Io vivo solo... adesso. Comunicavo coi vostri genitori con messaggi lasciati appesi a un pilone del vecchio ponte (uno dei posti proibiti comunicò Walden a Tania toccandosi la guancia con tre dita) ma non ho mai saputo dove foste voi. Molto vicino, a quanto pare. Spero non troppo. Li hanno presi, vero? Quando?»
«Questo...» fece per dire Walden, ma Tania lo zittì «Meglio non saperlo, no?».

Dinamite sogghignò «Impari in fretta, ragazzina. Ma mi serve per sapere quanta strada avete fatto e quanto loro potrebbero essere vicini. È per la vostra sicurezza. Be', anche per la mia».
Tania scosse la testa energicamente. «No. Non se non ci racconta tutto dal principio. A cominciare dal Progetto Goodchild».
Dinamita Bla prese a strofinarsi la barba. Proprio come Walden pensò Tania solo che lui non ce l'ha barba, non ancora. Forse non è un caso. Forse abbiamo già conosciuto quest'uomo.
«Potrei abbandonarvi nella foresta» disse.
«Dopo averci accolti in casa sua e dopo averci dato da mangiare? Dopo che sappiamo dove si trova? Non credo» intervenne Walden.
L'uomo sospirò. Evidentemente, sapeva di poter combattere con una ragazza ostinata, ma due...
«Ok. Tanto tutta questa segretezza ha funzionato solo fino a un certo punto. Conoscete la faccenda delle api, ragazzi?».
Walden lo guardò offeso «Sappiamo come nascono i bambini!».
«Non mi riferivo a quello. Sapete che tra le api è solo uno l'individuo che si riproduce, la regina. E sapete anche che tutte le altre api sono sterili, almeno finchè non serve una nuova regina. Quanto ai maschi... be', secondo me c'è un perchè se li chiamano anche “cacchioni”. Comunque sapete che le api sono pronte a morire pur di difendere l'alveare e la regina, vero?»


«Fanno come i kamilaze» rispose Walden, ancora offeso.
«Certo, le api sono un esempio di altruismo estremo, oltre che di molte altre cose... ma perchè lo fanno? Ora devo farvi una premessa, ragazzi. Io non sono esattamente un esperto di queste cose. Mi occupavo della manutenzione dei macchinari, al Progetto Goodchild, quindi quello che vi dirò sarà un po'... approssimativo, ecco. Comunque torniamo a bomba. Forse non è il momento adatto per ricordarlo, ma... tutti dobbiamo morire, vero?»
“Non voglio morire” aveva detto qualcuno pensò Tania chi? Walden? E quando? Quella mattina? No, doveva essere stato qualcosa come un milione di anni fa.
«Comunque, l'unico modo che abbiamo di non morire, non del tutto, è di trasmettere un pezzetto dei nostri geni. Ognuno di voi è il 50% di vostra madre e il 50% di vostro padre».
«Aria di famiglia» disse Tania.
Dinamite annuì. «Però non è una gran consolazione, vero? I geni sopravvivranno anche, ma noi non ce ne accorgiamo proprio. Tirate le cuoia, capitolo chiuso, usate la metafora che preferite. Per noi, come noi concepiamo noi stessi, non cambia niente. Tuttavia, per quanto imperfetta sia questa forma di immortalità, ciascun genitore è disposto a sacrificare la vita per consentire la sopravvivenza del 50% dei suoi geni. Proprio come un'ape».
Si grattò di nuovo la barba. Al Progetto Goodchild pensò Tania potremmo averlo visto lì, anche se non ci ricordiamo. Lui c'era, papà e mamma c'erano. E probabilmente c'eravamo anche noi.


«Però sapete un'ape operaia quanti geni ha in comune con la regina? Il 70, 75%. Come percentuale di immortalità è senza dubbio migliore. Insomma, tutto 'sto gran bordello sembra messo in piedi per garantire la sopravvivenza dei geni e dell'individuo dentro il quale si trovano chi se ne frega. Noi non saremmo altro che lo strumento che alcune molecole hanno escogitato per vivere in eterno. E le molecole delle api, e degli insetti sociali in genere, sono molto più brave delle nostre. Sicchè questo altruismo estremo che tanto ammiriamo, come ogni forma di altruismo, non sarebbe altro che.... »
«Una raffinata forma di egoismo» concluse Tania. Ma fu Walden a tirare le somme anche per lei «Una fregatura».
Gli occhi di Dinamite Bla guardarono altrove, come se per un momento, anche per lui, la comprensione della realtà fosse diventata insopportabile.
«Già. È così che la chiamano: “La teoria del gene egoista”. E secondo me funziona. Funziona alla grande. Oh, naturalmente i comportamenti degli umani sono più complessi delle api. Siamo più intelligenti, o almeno ci piace crederlo, e, fino a poco fa, ci gratificava pensare a noi stessi come la specie dominante del pianeta. Comunque il fatto è che l'uomo è un animale gregario per il quale la sopravvivenza del singolo è più facile all'interno del branco che fuori. Quindi i comportamenti utili al gruppo sono preferibili a quelli che lo disgregano. Solidarietà, carità, generosità, spirito di sacrificio... questo sono. Comportamenti utili per assicurare la sopravvivenza di molecole che neppure sappiamo di avere».
Nella stanza calò il silenzio. Non è così avrebbe voluto urlare Tania non può esserlo, non deve. L'amore non può essere solo un trucco per permettere al più forte, o al più furbo, di sopravvivere. Ma non osava. Non ne era sicura. Non più. Era iniziata l'età del dubbio e tutte le certezze erano crollate. E, tra quelle macerie, spirava come un vento gelido, una parola sola: avidità .
Fu grata a Walden quando pose la domanda successiva, quella di cui si era quasi dimenticata e che era come un pietoso sipario calato a nascondere i burattinai che, mentre le manovravano, ridevano delle tragedie e delle gioie delle marionette.
«Cosa c'entra il Progetto Goodchild in tutto questo?»
Dinamite Bla alzò lo sguardo verso il soffitto, là dove sapeva esserci la foresta. I suoi occhi, però, stavolta erano diversi.
«Là fuori è bello, vero?»   
I ragazzi esitarono. Il mondo che avevano conosciuto il giorno prima non era più il mondo in cui si trovavano adesso, tuttavia...
«Sì» disse Tania.
Il fiume, il bosco, i prati... Lo era. E lo sarebbe stato anche se non fossero stati più lì ad osservarlo. Fu un’epifania di indifferente bellezza, la consapevolezza che la natura era, al di là delle vicende degli uomini. Ed era cosa buona.
«Gli uomini stavano per distruggere tutto questo. Erano già avanti. Non so da quanto tempo voi viviate nel parco, ma, oltre i suoi confini, le cose erano diverse».
Tania ripensò alle visite in città che ricordava dalla sua infanzia che ora appariva così lontana e si chiese se avrebbe potuto definire “bella” la città. Si rispose di no. Non del tutto almeno.
«Quando voi eravate ancora più giovani» proseguì Dinamite «ci fu una... be’ suppongo che si possa dire che ci fu una serie di incontri e manifestazioni in una grande città non lontano da qui. Il tema era “nutrire il pianeta” e la conclusione fu che non era possibile. Certo, la ricchezza poteva essere distribuita diversamente, anzi doveva esserlo, certo era possibile produrre più cibo e risparmiarne ancora di più. Ma non sarebbe bastato. L’umanità avrebbe finito per consumare la Terra, letteralmente. E poi si sarebbe distrutta. Oppure si sarebbe distrutta prima e, a quel punto, il problema dei consumi sarebbe divenuto superfluo». Indicò le ossa nei piatti. «Avete mangiato bene?» chiese.
Tania e Walden si guardarono. Il sospetto di avere a che fare con un pazzo li sfiorò di nuovo. «Sì» risposero in coro.
«Perché avevate fame. È questa la condizione naturale: la penuria di cibo. Siamo geneticamente programmati per consumare più cibo che si può perché non si sa se un domani ce ne sarà... e penso che tra un po’ vi accorgerete di cosa voglia esattamente dire tutto questo. Comunque non possiamo cambiare questo fatto più di quanto non possiamo modificare l’istinto alla riproduzione. Culturalmente è forse possibile, ma su scala ridotta e con lunghi tempi. E tempo non ce n’era. Lo scompenso ecologico si sarebbe verificato prima».         
Tacque. Sembrava affaticato come se quella parte del discorso fosse la più dura da affrontare. E non solo perché era la più ardua da spiegare.
«Così si decise di provare a modificare il codice genetico. A truccare le carte. A smussare l’istinto alla predazione e al consumo indiscriminato».  
Avidità pensò Tania, ma fu Walden a parlare «Una specie di pastiglia della bontà».
Walden annuì.
«Non chiedetemi come. Io mi occupavo di computer, centrifughe, frigo, forni... anche se voi foste in grado di capirlo, io non saprei spiegarlo. Comunque fu un fallimento. Tutti i tentativi andarono a vuoto. Dopo che la manifestazione si chiuse si proseguì per un po’, ma senza approdare a nulla. Naturalmente era un progetto più che segreto: i governi non volevano certo che si sapesse che trafficavano col genoma in modo da creare un’umanità OGM. Erano necessari fondi e tempo... ma più fondi e tempo si chiedevano più c’era il rischio di essere scoperti. Il progetto stava per essere chiuso. Poi arrivò Mr Ambrose Goodchild».     
«Ehi, ehi, ehi... » intervenne Tania. «Mi sta dicendo che i nonpiùmani sono stati creati in laboratorio?».
«No, figliola, non devi pensare a un Mr Hyde uscito dalla provetta sbagliata o a un mostro di Frankenstein che si ribella al suo creatore. L’idea era di verificare se e come gli istinti altruistici potessero essere sviluppati in creature individualiste. La tecnologia era ben lontana dall’operare anche soltanto sui vertebrati. Fu Mr Goodchild a suggerire di provare con organismi più semplici».  
«I nematodi».
«Fu un balzo in avanti spettacolare. Goodchild sapeva cosa fare e come. E, circostanza non trascurabile, pareva avere accesso a fondi illimitati. Si diceva in giro che fossero riserve auree, ma non si è mai saputo di preciso. Se non fosse stato per lui i nematodi non sarebbero stati modificati geneticamente, ma grazie ai suoi soldi e alle sue idee gli scienziati del progetto – che ora era il “Progetto Goodchild” – ci riuscirono. Quei vermi iniziarono a comportarsi come uno sciame e...cos’è stato? »
I tre interlocutori avvertirono all’esterno il chiaro suono di rami calpestati

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