IL GIORNO DEI NEMATODI(2): IN FUGA di Rubrus e Mauro Banfi
Sbalordimento.
Confusione.
Rabbia.
Perché i loro genitori avevano raccontato quella terribile storia dei nematodi?
Per punirli di quale colpa?
Walden, nel camper, aveva attirato l’attenzione di Tania con il loro gesto segreto delle tre dita sulla guancia destra.
«Mà, Pà, io e Tania usciamo a fare due passi per parlare tra noi di questa storia dei nematodi».
«Va bene» disse Primo «ma tra mezz’ora vi aspetto qua per dirvi che cosa dobbiamo fare per affrontare questa minaccia»
Erano già da tre ore in fuga.
«E allora Tany, che cosa ne pensi?» buttò lì Walden, appoggiato a una fiancata della loro tenda canadese mimetizzata nel bosco.
«Mentre pedalavo pensavo a una storia che mi ha raccontato Giò, quel mio compagno di scuola mezzo teppista…»
«e che ti piace tanto…»
« smettila stupido. Stai a sentire:
c’era una volta una volpe che notò sulla riva del fiume uno scorpione che voleva andare sull’altra sponda.
«se vuoi ti posso trasportare dall’altra parte sulla mia testa, scorpione, a condizione che tu non mi pungi» disse la volpe.
«d’accordo volpe, ci proverò ma ricordati che pungere è nella mia natura.»
Arrivati in mezzo al fiume, lo scorpione sollevò il suo pungiglione avvelenato e lo conficcò nella testa della volpe che stordita cominciò ad annaspare e ad affondare.
Prima di annegare digrignò alla scorpione:
«Sei proprio stupido, adesso moriremo tutti e due! Perché mi hai punto?
Ti stavo facendo un servizio utile»
E lo scorpione replicò:
«Te l’avevo detto fin dall’inizio: pungere è la mia natura».
Tania stava per finire la storia, quando cominciarono a sentire un rumore di sassi gettati nell’acqua del Ticino.
Uscirono dalla tenda, percorsero un centinaio di metri nel bosco e videro seduto su un grosso ciottolo grigio uno strano tizio vestito di bianco che fumava.
L’uomo vestito di bianco si alzò lentamente, schiacciò la sigaretta sotto una scarpa e si voltò verso i ragazzi.
Indossava occhiali a specchio e, mentre si girava, un raggio di sole colpì una lente. Il riflesso fu intenso come se, anziché di un semplice effetto ottico, si fosse tratto di un laser, o di un led, o di qualche altra diavoleria.
Tania ne fu abbagliata e sbattè gli occhi arretrando. Un ramoscello, calpestato, scricchiolò.
L’uomo in bianco parlò in quel momento preciso, ma Walden ebbe la sensazione che fosse tutta una finta. Che l’uomo in bianco li avesse già visti da un pezzo. Anzi. Che non avesse affatto bisogno di vederli per sapere che erano lì.
- illustrazione di Fabio Cavagliano -
«Allora, figlioli, io dico che abbiamo giocato abbastanza a nascondino, non vi pare?». La sua voce era un po’ metallica. Ai ragazzi venne in mente il tintinnio delle monete sulla formica del tavolo nel camper.
L’uomo si infilò una mano in tasca, con fare rilassato.
«So che cosa state pensando» disse «Se potete fidarvi di me. Se per caso non sono uno di... loro. Sì, ne ho visto qualcuno venendo qui».
Tania e Walden non si mossero e l’uomo non fece cenno di raggiungerli, come se sapesse che, presto o tardi e inevitabilmente, sarebbero stati i ragazzi ad andare da lui. Si alzò un po’ il cappello con un gesto perplesso. Ne sfuggì una ciocca candida. Solo in quel momento i due si accorsero di quanto fosse abbronzato. Quel ciuffo sembrava una chiazza di neve su una colata di lava rappresa.
«In effetti, non ho cattive intenzioni. Avrei bisogno di informazioni, piuttosto. Sapete, non è esattamente questo quello che mi aspettavo di trovare, tornando». Con la mano libera fece un gesto per abbracciare il parco intero, e altro ancora. «Confesso che contavo di avere più clienti, in verità».
Tania si accorse che Walden si era mosso per andare incontro all’uomo e alzò una mano per fermarlo... poi si accorse che anche lei era uscita dal folto, incantata dalla voce dello sconosciuto.
L’uomo fece un sorriso il cui candore rivaleggiava con l’abito e si tolse il cappello. La chioma era folta e bianca come le nuvole colpite dal sole estivo. «Prima di tutto suppongo di dovermi presentare» fece un breve inchino «Io sono il Signor Strangman».
Il sorriso si allargò e Walden e Tania compresero che quell’individuo non avrebbe fatto del male. Non se non lo avesse voluto.
«E per rispondere alla domanda iniziale, quella che non mi avete rivolto» proseguì «non sono uno di loro. In effetti» disse mettendosi il cappello «Non sono neppure umano.
E adesso basta con le presentazioni. Se volete, ragazzi, raccontatemi che cosa sapete della storia dei nematodi.»
Sulla riva del Ticino, Tania e Walden raccontarono rapidamente a Strangman gli ultimi avvenimenti e soprattutto il fatto che più li aveva spaventati, quel grillo colonizzato dai vermi parassiti che gli fuoriuscivano dall’addome.
“Nematodi” disse Strangman dopo che i ragazzi ebbero finito di raccontare. Si accarezzò il mento, lisciandosi una inesistente barbetta. «Se avessi dovuto scommettere avrei scelto un’altra specie, come nemesi per il genere umano, tuttavia questo è il bello di vivere in un universo caotico. Non ci si annoia mai».
Si alzò lisciandosi l’abito, si toccò la tesa del cappello e fece per allontanarsi.
«Signore!» lo chiamò Tania.
Walden le strinse un braccio, ma ormai era fatta. E, ancora una volta, ebbe la certezza che fosse esattamente quello che l’uomo in bianco si attendeva.
Strangman si voltò lentamente.
Tania deglutì. Si era già pentita di averlo trattenuto, ma, proprio come suo fratello, era certa che ormai fosse troppo tardi. Che la domanda che stava per rivolgergli fosse l’unica domanda possibile:
«Può aiutarci?».
Strangman si mise le mani sui fianchi, sornione.
Non sono neppure umano, ha detto pensò Tania ma noi non abbiamo dato nessuna importanza alla cosa. Potrebbe essere un pazzo. Perché certamente non può non essere umano.
«In cambio di cosa?»
Un maniaco pensò di nuovo Tania – e improvvisamente si rese conto di quanto potesse essere pericolosa la situazione in cui si erano cacciati... e che forse riusciva a comprenderlo solo in parte. Oppure...
«Stiamo trattando?» chiese Walden.
Il sorriso di Strangman si allargò. «Sempre».
«Non sono neppure umano» lo ha detto chiaramente. Perché non abbiamo dato importanza alla cosa?.
«Non vogliamo morire» disse Walden. Ecco qui ed ecco tutto. E da quel momento fu davvero troppo tardi.
Strangman si grattò la nuca.
«Sì... forse potrei fare qualcosa... se il prezzo è giusto. Ma prima dovremo fare un salto al mio accampamento».
Con passo deciso si incamminò verso il bosco e i ragazzi videro che si dirigeva verso un sentiero. Una specie di tunnel che si inabissava nella profondità verde della foresta.
Tania e Walden lo seguirono ma, un attimo prima di inoltrarsi nel folto, Tania strinse il braccio di Walden come prima lui aveva stretto il suo.
Un maniaco. Oppure.
Strangman si voltò. Benchè fosse già immerso nell’ombra il suo vestito bianco riluceva come illuminato da una lampada
«Andiamo, piccoli miei» disse «credete che, se davvero volessi farvi del male, ce ne staremmo qui, vicino al sentiero, nella parte più buia del bosco?».
I ragazzi lo seguirono.
Giunti alla fine del tunnel verde si apriva una radura, dove era parcheggiato un grosso carro.
Era un carrozzone, come quelli che si vedevano nelle stampe antiche e nelle illustrazioni, con il tetto panciuto come quello di una botte, le pareti in legno, il sedile e un tiro a sei di asini neri aggiogati. Gli animali pascolavano tranquilli sotto il sole.
Strangman di colpo si bloccò. Aveva notato qualcosa in una pozzanghera che si stava asciugando nello spiazzo, dopo un recente acquazzone.
Strangman si chinò e con una mossa....
Non ha usato nessuna precauzione, si accorse Tania, mamma e papà ci hanno detto di stare lontani dall'acqua, ma lui ci ha immerso le mani senza problemi, come se per lui non ci fosse nessun pericolo... e anche quella bestia. L'ha afferrata senza prendere accorgimenti. Di nuovo le tornarono in mente le parole di poco prima. "Non sono umano". Osservò la creatura che si divincolava tra le dita abbronzate.
"Dimmi figliolo..
Con un gesto repentino Strangman prese dall’acqua impastata di fango uno strano animaletto.
«Dimmi, figliolo, che cosa vedi?» chiese Strangman a Walden, mostrando il verme che, lentamente, usciva dal corpo del grillo.
«Il verme ha assunto il controllo del cervello del grillo: ha programmato l’insetto in modo tale che...» disse Tania.
«No, no, non voglio la lezioncina che ti hanno insegnato i tuoi. Voglio la Vostra risposta, quella vera». Alzò un indice bruno «Una parola. Una sola».
Il verme si contorceva, divincolandosi in movimenti frenetici. Man mano che un’estremità usciva dal corpo dell’insetto, questo si svuotava, come prosciugandosi. E intanto l‘altra parte del verme saettava in giro, come in cerca di preda, spinta da diabolica, famelica intelligenza.
Fu Walden a parlare. Un soffio appena, con una voce che non sembrava neppure la sua. Ma lo era.
«Avidità» mormorò
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