30/10/15

La compagnia del weird presenta






«Gli uomini, le donne e i bambini della comunità erano diventati qualcos'altro, dal primo all'ultimo. E ognuno era nostro nemico, compresi quelli che avevano le facce, gli occhi, i gesti e il modo di camminare dei nostri amici e parenti. Non c'erano alleati per noi, chiusi là dentro, e già il contagio andava diffondendosi fuori città. »
Jack Finney, Gli invasati

"Ci crediamo liberi perchè non conosciamo le cause che ci determinano"
                                                      Baruch Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata    
     



   
Lanca San Varese, Bereguardo, provincia di Pavia.

Primo novembre dell’anno 2030.
Walden e Tania erano due ragazzini come tanti.
Il primo, un vivace teppistello di quattordici anni e la sorella una “maschiaccia” di dodici.
Ripeto, due ragazzi come altri, non fosse che per un particolare.
Era da due anni filati che erano in vacanza.
Finalmente quel giorno i loro genitori, Primo ed Eva, avrebbero risposto a molte loro domande all’ora della merenda.
Da due anni vivevano nel loro camper, alimentato con un generatore a energia solare.
Due primavere e due estati da favola, a giocare nei boschi e a correre con le biciclette sui chilometrici e intricati sentieri del Parco del Ticino.
Un autunno e un inverno umidi e gelidi, ma comunque altrettanto divertenti.
Poi erano cominciati i loro interrogativi.
D’accordo, erano ragazzini ma non stupidi!
Perché non andiamo più a scuola?
Perché non ci fate più parlare con i nonni?
Perché non possiamo fare il bagno nel Ticino, nemmeno al guado della Buona Signora dove non c’è corrente?
Perché? Perché? Perché?
Walden e Tania entrarono nel camper e s’accomodarono nel vano cucina.
Latte e cacao in polvere, la loro ghiotta merenda, attendevano sul tavolo.
«E allora ragazzi» esordì Primo, il padre «vi dobbiamo molte spiegazioni.
Ormai siete grandicelli e dovete capire che cosa sta succedendo al nostro povero mondo»
Detto questo aprì davanti a loro lo schermo video del pc portatile alimentato a batteria.
« Guardate attentamente, vi presento il verme nematode Paragordius Varius
Fin da piccini Walden e Tania erano stati abituati alle lezioni di biologia, zoologia e botanica dei loro genitori e si prepararono sorseggiando il loro latte e cacao ormai bel miscelato.

         

   - cliccare sul filmato per vedere in azione il verme parassita nematode -

22/10/15

MIRDIN(4): epilogo: IL GRIDO DI MIRDIN


                 
“ I druidi, uomini di intelletto più elevato, e uniti all’intima confraternita dei seguaci di Pitagora, erano immersi in indagini su cose segrete e sublimi, e senza curarsi degli affari umani, dichiaravano che le anime sono immortali”.
Ammiano Marcellino       
     
 
 IL GRIDO DI MIRDIN
Nell’antica foresta di Brocelandia, nella piccola Bretagna, sulla cima di una collina, c’era una sorgente circondata da noccioli, equiseti, e da elevati e frondosi cespugli di biancospino.
Vicino alla fontana, campeggiava un cartello, recante la scritta, dipinta in caratteri azzurro turchese e verde smeraldo: “ Chi beve questa pura acqua, rientra in se stesso”.
In mezzo al piccolo altipiano, svettava il Nemeton, dimora di Mirdin l’incantatore: il consigliere di Re, Principi e guerrieri.

19/10/15

NOVITA': IL RACCONTO BLOGSPOT DI 90PEPPE90 "SISTER ABIGAIL"!

                              
                           di 90Peppe90
Regia fonoimago litweb: 90Peppe90
Aiuto regia fonoimago litweb: Mauro Banfi il Moscone



Pii-eeh!
Pii-eeh!
Pii-eeh!
Non succedeva spesso, ma quando succedeva Brian preferiva stare fuori. Andava bene dovunque, eccetto che dentro le mura domestiche. In casa, quando i suoi genitori litigavano – capitava una manciata di volte l’anno, tipo cinque o sei, e sempre per motivazioni che ai suoi occhi e alla sua mente da quindicenne risultavano incomprensibili – circolava un’aria troppo pesante. Insopportabile.
Lidia cominciava a piangere a dirotto, strillando dalla culla, in maniera così stridente ed intensa da perforare i timpani. Nonna Tina, alla quale ormai il cervello non funzionava più tanto bene da almeno tre anni, prendeva ad inveire contro “quella nullità” che mamma aveva sposato. Corey abbaiava agitato, scorrazzando per la stanza, tra i piedi di mamma e papà.
Dalla furia che i suoi genitori manifestavano in occasione dei loro litigi, poteva sembrare strano che nessuno dei due prendesse a calci Corey o spaccasse la faccia a nonna Tina o tappasse forzatamente la bocca spalancata di Lidia.
Ma Brian sapeva.




16/10/15

MIRDIN(3): NELLA TERRA DI NESSUNO

                      
                                                              
“Lo spaziotempo di Einstein è un solido atemporale che contiene simultaneamente ogni istante per l’eternità…compresa la nostra vita.
La MORTE, quindi, è un’illusione prospettica della terza dimensone.
Non preoccupatevi.”
Alan Moore, “Promethea, numero 32”

                  Nella terra di nessuno



“Prolungandosi l’assedio di Alesia, e già cominciando a mancare il frumento, Vercingetorige cacciò fuori dalle mura gli anziani, le donne e i bambini. sperando, ma invano, che sarebbe accaduta una di queste due cose: o che tale moltitudine di bisognosi sarebbe stata salvata dai Romani o che i suoi soldati (se Cesare avesse lasciati andare liberi quei disperati nelle foreste dietro le fortificazioni del suo accampamento) avrebbero potuto sfamarsi meglio.
Ma neppure lo stesso Cesare abbondava di grano e così decise di rimandare indietro a bastonate tutta quella povera gente; e così avvenne che queste persone, non essendo accolti e soccorsi né dalla propria gente e né dai Romani, morirono orribilmente nella terra di nessuno tra Alesia e le fortificazioni romane.”


Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XL, 40, 2-4.   
         

    
        

«E ora, bardo Corentin, devi narrare, per introdurre la terza puntata di “Mirdin”, gli avvenimenti della battaglia di Alesia»
«E no, Mauro, non ho nessuna voglia di ricordare quelle atrocità per le tue brame da scribacchino, e no!»
«Attento, Corentin, ti faccio svanire all’istante e ti sostituisco con un altro personaggio, eh?»
«Voi autori siete sempre dei prepotenti, ma ricordatevi che esiste un Autore più potente di voi e che un giorno toccherà a voi sparire.
Guarda, lo faccio solo perché mi piace ricordare la dolce Roisin…e allora…in breve, Giulio Cesare, con la sua velocità di decisione e la macchina efficiente e letale delle sue legioni, intrappolò Vercingetorix e la sua armata dentro le mura di Alesia, la città dei Mandubi e cominciò a prenderli per fame.

Si racconta che, passato un mese dall’inizio dell’assedio di Cesare, era stato consumato tutto il frumento ed erano stati uccisi e divorati tutti gli animali di Alesia, e allora Vercingetorix riunì un consiglio per valutare la situazione ed il da farsi. 
Al termine di questa riunione, Vercingetorige e l'intero Consiglio stabilirono che tutti quelli che per età o salute non erano adatti alla guerra, uscissero dalla città
Decisero, pertanto, di costringere le donne, i bambini e i vecchi ad uscire dalla cittadella fortificata nella speranza non solo di risparmiare cibo per i loro soldati, ma che Cesare potesse accoglierli nelle sue fortificazioni, per poi lasciarli andare liberi. 
Per nulla impietosito il proconsole ordinò ai suoi legionari di respingerli dai bastioni a colpi di mazza, i bastoni massicci usati per spezzare le gambe ai crocefissi.
Ognuno dei due capi militari cercava lo svantaggio dell’avversario cercando il proprio vantaggio, a qualunque costo.
Questa è la guerra.
I disperati tornarono verso le mura di Alesia ma nessuno dei soldati celti aprì loro le porte della cittadina sul colle.
Tra loro c’era Roisin, che aveva litigato con il marito Vercingetorix e aveva preferito andarsene con i profughi, piuttosto di restare con dei vigliacchi come lui e i suoi guerrieri.
Qualche anziano e qualche bambino cominciò a morire di fame e di sete tra le mura della città di Alesia e le linee fortificate romane, nella "terra di nessuno". 
Roisin gridava insulti irriferibili in direzione di Vercingetorix e i soldati sugli spalti di Alesia.
     

Mirdin e Lexy invece piangevano nel profondo del nemeton.
«Non c’è tempo da perdere, Lexy, vieni, andiamo alla trottola!»
Mirdin aprì una vecchia porta di legno di quercia e poi, seguito da Lexy, salì una scala a chiocciola che li portò su un balconcino di pietra.
Lexy guardò di sotto, dove le indicava Mirdin e vide un altro cristallo spaziotemporale incredibile!

               


                                                                                    
              
Si trattava di un’enorme trottola che ruotava a velocità pazzesca.
«Ora Lexy mi getterò in quel vortice spaziotemporale che aprirà, con la mia forza mentale e spirituale, un varco ad Alesia.
Posso prendere con me solo una persona nel viaggio spaziotemporale e salverò quell’incosciente di tua mamma, la persona dal cuore più grande che abbia mai conosciuto.
Tu dovrai aiutarmi, bimba mia.»
«Sono pronta, Mirdin».
«Dovrai continuare a cantare quella canzone che ti ho insegnato per il tuo diciottesimo compleanno, la ricordi? Bene.
Ora devo concentrarmi in modo assoluto, cara mia, ti chiedo di fare il più totale silenzio.
Come vedi, alla massima velocità di rotazione, la circonferenza della trottola appare immobile come quella di un cerchio fermo, vale a dire ogni punto sulla circonferenza della trottola coincide con un punto fisso di una circonferenza in quiete.
Io dovrò lanciarmi esattamente nel mezzo della rotazione, lì dove ogni successione circolare viene annullata e in ogni punto le mie particelle corporee si diffonderanno in tutti i punti dello spaziotempo; in quel particolare momento del tempo vengono racchiusi infiniti momenti.
Quel centro in rotazione racchiude l’eternità, Lexy.
Quell’istante di tempo può dilatarsi fino a essere la compresenza simultanea di un numero infiniti d’istanti e così mi aprirò un varco fino ad Alesia.
Ma se sbaglio a infilare quel cunicolo spaziotemporale, le mie particelle verranno frammentate e sparpagliate in migliaia di dimensioni e non ci sarò più.
Ora vado Lexy, non aver paura. Roisin m’aspetta.
Ricordati, appena scomparirò nella trottola comincia a cantare».
                                    


Mirdin salì in piedi sul balconcino e s’immobilizzò tenendo il braccio destro sul fianco e quello sinistro, che stringeva il bastone della magia verde, teso in avanti.
Grosse gocce di sudore cominciarono a imperlargli la fronte a testimonianza dello sforzo al quale stava sottoponendo la sua volontà:
«Onnipotente Lugh, Signore della magia verde, accetta la mia preghiera…e tu Brigit, figlia di Daghdna, possente triplice Dea Bianca, Signora della notte, illumina il tuo servo e anche tu…onnipotente e oscuro Donn, Signore del Tempo e del Senza Tempo sorreggimi nella prova!»
Proferite queste formule sacre, dalle labbra di Mirdin prese ad uscire una misteriosa materia biancastra che, dopo essere rimasta sospesa nell’aria come una normale nuvola di fumo, cominciò lentamente ad assumere una forma indefinita per poi compattarsi qualche istante dopo in una lancia affusolata.
In un lampo l’asta svanì nel centro della trottola.
Lexy cominciò a cantare.

15/10/15

TOLKIEN E IL NAZISMO


                               
- John Ronald Reuel Tolkien -
Ci sono autori ai quali doniamo il nostro cuore perché come nessuno sanno capirci e rappresentarci.
Uno di questi è per me J.R.R. Tolkien, l’autore dello Hobbit e del Signore degli Anelli, capolavori eterni.
Per tutta la vita l’ho difeso a spada tratta, in roventi conversazioni con i suoi detrattori, dagli assurdi stereotipi che intendono discriminarne la personalità e l’opera.
In rapida rassegna: Tolkien era maschilista.
L’autore amò fedelmente e teneramente la sua Edith per tanti anni e per loro volontà sono sepolti a Oxford uno accanto all’altro e le lapidi riportano i nomi di Luthien e Beren, amanti creati da Tolkien per uno dei suoi racconti fantastici ambientati nella Terra di Mezzo.
Se, come credo, amare una donna davvero vuol dire rispettare tutte le donne del mondo, vorrei capire come si fa ad affermare una sciocchezza del genere.
Tolkien era manicheo: mi basta citare il finale del Signore degli Anelli, un capolavoro di visione etica profonda e integrata, (sul quale tornerò in un prossimo articolo), un saggio perfetto di narrativa non manichea.
E infine Tolkien era fascista e nazista.
Tutto si basa sullo pseudoconcetto di “tradizione”, che Tolkien avrebbe celebrato nelle sue opere.
Si intende con tale mistificazione del concetto di “tradizione” alludere a un passato mitico della civiltà con i suoi valori gerarchici che viene presentato come modello ideale e base di un ideale rivoluzionario antidemocratico in contrasto con il mondo moderno.
Tutte cose che Tolkien non ha mai né pensato né scritto.
Tanto per cominciare Tolkien ha fatto narrativa e poi credeva alla tradizione del cristianesimo cattolico in modo tutto anglosassone, cioè non fanatico e non manicheo, e ancora basterebbe solo leggersi qualche sua buona biografia e le lettere ai suoi amici per comprendere la verità.
Come sappiamo i luoghi comuni vengono inventati da chi legge poco e in mala fede.
La verità è che Tolkien si rifiutò di rendere omaggio al nazismo.

CHARLES DICKENS E LA FARFALLA

Sotto Natale, tantissimi lettori si ricordano di Charles Dickens e del suo " A Christmas carol (Il canto di Natale) del 1843. Giustamente Dickens è uno degli scrittori più amati e letti nel mondo, e anch'io adoro il suo romanzo "Tempi difficili", un capolavoro di estrema attualità.
In seguito alla lettura di molti aneddoti della sua vita, provo per la sua persona una profonda ammirazione, e non solo per le opere. Charles Dickens fu un uomo squisito, onesto, buono e sempre sensibile ai temi dello sfruttamento dei lavoratori, dell'infanzia abbandonata e maltrattata, dell'onnipresente ingiustizia sociale e civile.
Una volta era a cena da un suo amico, il quale parlando dell'educazione dei giovani inglesi, sosteneva che non bisogna sviluppare la fantasia della loro anima, perchè l'immaginazione è poi assolutamente inutile nella vita e impedisce al ragazzo di fare carriera ed arrivare al successo. Entrò in quel momento nella sala da pranzo una bellissima farfalla. Dickens la prese in mano e le scosse di dosso la polvere iridescente e colorata delle ali. L'amico gli disse:

LA DETERMINAZIONE DI CRISTOFORO COLOMBO


Musica di Richard Wagner: Vorspiel da Das Rheingold.

Cristoforo Colombo era così convinto di riuscire a portare a termine il suo viaggio verso l'Asia, navigando verso occidente, che a metà strada gettò in mare un barile contenente un volume con tutte le sue preziose memorie e i suoi studi scientifici, nel caso non fosse riuscito a tornare indietro. 
Se si sbagliava, erano solo zavorra. Se la nuova via per l'Asia era vera, teneva tutto in mente.

L'AMORE DI LEONARDO DA VINCI PER GLI ANIMALI



- segno zodiacale e dipinti di Fracesco del Cossa, Palazzo Schifanoia di Ferrara -


Figlie e figli dell'Umanesimo, Signore e Signori del Rinascimento, c'è modo e modo di amare gli animali, quello di Leonardo da Vinci e quello di Heinrich Himmler.
Paragone azzardato? Leggi e poi capirai.
Si racconta -ed è anche documentato - che Himmler, il criminale di guerra cui l’Europa, con imperituro orrore, deve l’attuazione della soluzione finale ebraica, il vice di Hitler dal 1928; colui che ritroviamo dietro la notte dei lunghi coltelli che liquidò le SA; che conquistò il posto di "dignitario" del Terzo Reich; il padrone assoluto delle SS e della Gestapo, ministro degli interni di Hitler, creatore del primo campo di concentramento a Dachau nel 1933, direttore dei campi di concentramento e di sterminio, dove morirono milioni di innocenti. Questo stesso uomo, quando tornava a casa dopo una giornata di lavoro, si toglieva le scarpe per non svegliare il canarino che dormiva in gabbia.
Lo ripeto, perchè sembra incredibile e forse indicibile, lo stesso uomo che sterminava gli esseri umani come fossero polli d'allevamento considerava il proprio canarino come sufficientemente degno di attenzione e di interesse perché ci si dovesse togliere le scarpe e raggiungere la propria camera senza fare rumore.

Vengano i Decani, i pensieri immaginali del Rinascimento, a riportare quanto dice il Vasari a proposito di Leonardo da Vinci:



                           
 

" E pur non possedendo quasi nulla e lavorando poco, aveva sempre con sè amici, aiutanti e cavalli che amava molto, come tutti gli altri animali, e che governava personalmente con grandissima attenzione e pazienza. E che amasse gli animali lo si capiva perchè spesso, passando da luoghi dove si vendevano uccelli, di sua mano cavandoli dalla gabbia e dopo aver pagato a chi li vendeva il prezzo richiesto, li lanciava in aria restituendo loro la perduta libertà."
Da "Le vite dei più eccellenti pittori" di Giorgio Vasari, versione in italiano corrente.

Che cosa differenzia la grande e nobile anima di Leonardo dalla diabolica finta sensibilità del criminale, assiassino d'innocenti Heinrich Himmler?
Un altro pensiero immaginativo, Decano, e capiremo:


“Ascolta lettore che esplori insieme a me, guardando i miei disegni naturali, le mirabili opere della Natura: se riuscirai a capire che è da scellerati distruggerle, ti convincerai che è faccenda ancor più atroce uccidere un essere umano.
Se dai miei taccuini sei rimasto affascinato dall’armoniosa struttura del corpo umano, pensa che questo è nulla rispetto all’anima che abita in tale sublime architettura; e davvero qualunque cosa essa sia, C’E’ ED E’ DIVINA.
Lasciamola allora vivere libera nel suo corpo come gli pare, se rispetta le anime degli altri viventi, e fai in modo che la tua volontà, per ira o per cattiveria, non possa mai distruggere una vita così meravigliosa”.

Leonardo da Vinci, da alcuni passi dei suoi taccuini, riproposti in italiano corrente.

Himmler non sapeva disegnare, ma era fissato a schematizzare, per i suoi sottoposti, le orribili geometrie architettoniche dello sterminio dei suoi assurdi lager:


     - schema del lager di Mauthausen, dove ancora oggi è incalcolabile il numero degli uccisi -
Leonardo, invece, sapeva disegnare: nella collezione dei suoi taccuini presenti nella biblioteca reale del Castello di Windor, c'è questo disegno rivelatore, a commento di una bellissima nota sul rapporto tra le anime della madre e del figlio:

"Una medesima anima governa questi due corpi e li desideri e le paure e i dolori son comuni sia ad essa creatura come a tutti li altri membri animati".


"L'anima della madre al tempo debito desta l'anima che di quel deve essere abitatore, la qual prima resta adormentata e in tutela dell'anima della madre, la qual le nutrisce e vivifica per la vena umbilica".


E allora siamo pronti per capire la differenza tra Leonardo e Himmler.
Osservate bene: la celebre immagine di un feto nell'utero è accompagnata da vari schizzi più piccoli, ma non meno precisi, in cui l'utero è accostato al sacco embrionale di un fiore attraverso la rappresentazione degli strati staccati dalle membrane uterine come petali che si dischiudono alla luce della vita.
Capite? Per Himmler il canarino fa solo parte della "categoria" dei canarini, che gli sono simpatici e pertanto non sono da sterminare.
Il disegno di Leonardo esprime in modo possente e vitale l'affetto e il rispetto immensi di Leonardi per ogni, singola forma di vita, portatrice di Vita con la V maiuscola.



Ricordi?

"Se dai miei taccuini sei rimasto affascinato dall’armoniosa struttura del corpo umano, pensa che questo è nulla rispetto all’anima che abita in tale sublime architettura; e davvero qualunque cosa essa sia, C’E’ ED E’ DIVINA.
Lasciamola allora vivere libera nel suo corpo come gli pare, se rispetta le anime degli altri viventi, e fai in modo che la tua volontà, per ira o per cattiveria, non possa mai distruggere una vita così meravigliosa”.

"Qualunque cosa essa sia, ella è cosa divina".

Prova orrore, o lettore, orrore puro per quelli che ignorano l'anima di ogni singolo essere vivente per ucciderla dentro le folli astrazioni di un'ideologia o le criminali mura di un sistema totalitario e concentrazionario.
Leonardo comprava al mercato di Firenze gli uccelli tenuti in gabbia per liberarli, e osservava il loro volo non soltanto con l'occhio acuto dello scienziato in cerca di leggi vere e certe, basate sull'esperienza, ma anche con la grande empatia di chi vuol vedere anime corporali vive e libere...

e abbi gioia, allora, se mi hai compreso: sei dentro nel grande nucleo interiore del Rinascimento.

FRANZ KAFKA E LE GIOIE DEL MARGINALE

 In una pagina dei suoi diari, Franz Kafka descrive sé stesso in una posizione sdraiata e contemplativa, disteso, durante il dopolavoro impiegatizio, sul fondo di una barca a Praga, sulla Moldava. In quiete, osserva le persone che passano in quel momento sul ponte e viene riguardato da loro, che dall'alto godono una posizione di dominio, di superiorità su di lui.
- Così disteso - scrive Kafka - provai le delizie del declassato...

 

MICHELANGELO: UNA VITA PER L'ARTE

" Un giorno che con un amico stavano discutendo della morte, costui se ne uscì dicendo che lui, Michelangelo Buonarroti, doveva considerarla una sciagura, visto che aveva passato la vita a faticare, stando dietro le faccende dell'Arte, senza mai prendersi nemmeno una vacanza. Michelangelo replicò che era lo stesso: se la vita che fai ti piace, neanche la morte dovrebbe dispiacerti e farti male, venisse pure per mano di un collega invidioso."
passo della Vita del Vasari, riproposto in italiano corrente.

13/10/15

IL QUADRO

                                                        di Antonio Calzone



Era una bellissima mattinata di sole di inizio giugno. Avevo deciso di fare un giro al Marché aux Puces de Saint-Ouen, senza niente di particolare da comperare, ma con la voglia di trovare qualcosa di caratteristico per il mio studio.
Quell’astuccio era lì che mi osservava. Vi è mai capitato di vedere qualcosa in una vetrina, che ne so, un capo d’abbigliamento, un orologio o un paio di scarpe, e avere la sensazione che non siete voi a guardare lui ma il contrario? Non avete mai sentito quest’impulso irrazionale ed irrefrenabile ad acquistare proprio quel capo d’abbigliamento, quell’orologio, quel paio di scarpe?
A me capitò con quella valigetta da pittore. Non aveva nulla di particolare, se non il fatto che appariva molto pratica e comoda. Era una specie di borsa rettangolare in pelle, con fibbie e maniglia, che conteneva una serie di tubetti di colori ad olio, alcuni pennelli e una tavolozza evidentemente usata. Del resto era sul banco di un rigattiere e non si poteva pretendere che fosse nuova. Eppure, forse proprio per questo aveva un fascino particolare e mi attirava. Provai ad immaginare a chi potesse essere appartenuta, a quali dipinti avesse contribuito a creare. Era un oggetto che stimolava molto la mia fantasia, e per un artista la fantasia è tutto. Anche per un imbrattatele come me.
Tirai un po’ sul prezzo, tanto per non dare al mercante l’impressione di voler acquistare a tutti i costi quell’oggetto, altrimenti se ne sarebbe sicuramente approfittato. Rigirandomelo tra le mani, notai alcune lettere scritte sul retro della valigetta: M. Utr., forse le iniziali del proprietario originale, non saprei.
Il rigattiere mi disse che la valigetta andava insieme ad un quadro e me lo consegnò senza troppe cerimonie. Rappresentava l’interno di un’ala del Musée du Louvre, mirabilmente riprodotta fin nei più minuti particolari. Non c’erano persone, soltanto quadri alle pareti.
Forse vi sembrerà un soggetto arido, ma vi assicuro che non lo era. Le opere alle pareti erano riprodotte magistralmente e si poteva passare ore ad osservarle.
Lo appesi sulla parete del mio studio, in un posto in cui potevo osservarlo anche mentre dipingevo.

Mi chiamo Auguste e come avrete già capito faccio il pittore. Una volta ritraevo la mia amata città, Parigi, scegliendone come soggetti tutti i luoghi più caratteristici. Ho dipinto scorci della Senna, con i suoi Bateau Mouche e i suoi molti ponti. Ho realizzato tele con la Tour Eiffel, ritratta sia di notte che di giorno. E poi Montmartre, Notre Dame, le Sacre Coeur, le Moulin Rouge, l’Arc de Triomphe… insomma, ogni possibile scorcio di questa meravigliosa città è stata per me fonte d’ispirazione per soggetti da ritrarre più e più volte. Purtroppo, non sono mai stato bravo come avrei voluto. Almeno finché acquistai quella valigetta al mercato.
Compresi subito che non si trattava di un oggetto ordinario, non appena giunsi a casa. Avevo intenzione di completare una tela che tenevo in sospeso da molto tempo. Si trattava di un progetto ambizioso, per uno come me: una veduta aerea di Parigi con la Tour in primo piano e i giardini dello Champ de Mars sullo sfondo, il tutto su una tela delle ragguardevoli dimensioni di un paio di metri di larghezza per un metro e venti di altezza. Avevo abbozzato qualcosa, ma il disegno di base non mi soddisfaceva e quindi era rimasta così, solo uno scarabocchio informe.
Aprii la valigetta per controllarne meglio il contenuto, ma ero sicuro del fatto che ciò che conteneva fosse vecchio e inservibile e che dovessi sostituirlo con i miei arnesi. Eppure, appena presi in mano quei pennelli e quei colori, fui assalito da una specie di frenesia. Mi buttai a capofitto nella pittura e meno di due ore dopo, sudato ed affannato, stavo contemplando il quadro finito. Ed era un capolavoro.
Avevo lavorato freneticamente e avrei dovuto sentirmi esausto, ma ero invece pervaso da un’energia interminabile, che però mi abbandonò immediatamente non appena riposi gli attrezzi nella loro valigetta.
Non credevo ai miei occhi: non ero mai stato in grado di dipingere tanto bene in vita mia. Osservavo quell’opera e vi scoprivo una serie infinita di particolari che stupivano me per primo. “Sono stato io a fare questo?”, mi domandai incredulo. Poi. Stanco, me ne andai a dormire, non prima, però, di aver dato un’occhiata al quadro donatomi dal rigattiere. Strano, avevo l’impressione che il quadro mi osservasse. Mi sembrava che qualcosa fosse mutato nell’immagine, ma ovviamente era frutto della mia immaginazione. E della stanchezza.
Fu l’inizio di una trasformazione nella mia vita e nella mia arte. Io non ho mai creduto nella possibilità di diventare un pittore quotato. Sapevo perfettamente quali fossero i miei limiti, ma ora le cose sembravano aver assunto una piega decisamente diversa. Smisi di dipingere per i turisti e presi a farlo per me stesso. E la cosa strana era che quei colori sembravano non consumarsi mai. Con quei pochi tubetti, dipinsi decine di tele. Ma ogni giorno ero sempre più agitato a causa del quadro alla parete. Qualcosa mi sembrava mutare, in quell’immagine, col passare del tempo. Non capivo cosa fosse, all’inizio. Era solo suggestione credevo. Poi lo notai. Persone. Dal fondo della sala, in lontananza, si notava un gruppetto di persone in avvicinamento che prima, potrei giurarlo, non c’erano. A guardarle da vicino, sembravano immobili, ma se si osservava il quadro a distanza di ore, si notava chiaramente che quelle figure si erano avvicinate un pochino. Questa cosa mi angosciava parecchio.
Ero comunque molto preso dalla mia nuova capacità e passavo intere giornate a dipingere, nel mio studio. Giorno dopo giorno le tele si accumulavano ma io non avevo nessuna intenzione di venderle o di partecipare a una mostra, quale che fosse.
Erano un uomo e una donna. Stavano davanti agli altri del gruppetto, ora si vedevano chiaramente, ed osservavano i quadri alle pareti del museo. Non riuscivo a spiegarmi questo evento che aveva del soprannaturale. Era un quadro a tutti gli effetti: potevo sentire la consistenza della pittura sotto i polpastrelli, se passavo le dita sulla tela, eppure le figure si muovevano. Poco alla volta, ma lo facevano, non c’erano dubbi.
Passai un intero pomeriggio a fissare la tela per scorgere anche la più piccola trasformazione, ma per quanto io ni sforzassi, non vidi nulla. Però, la mattina dopo la coppia di giovani era più vicina, quasi in primo piano, adesso. Cominciai a fare l’abitudine all’idea, così come mi ero abituato a vedere capolavori prendere forma sotto le mie mani mentre adoperavo quei pennelli e quei colori che ormai ritenevo pervasi da un potere magico.
Dipingere era sempre stata la mia passione, ma adesso era diventata la mia ossessione. Certi giorni mi scordavo persino di mangiare, per dare vita ai miei capolavori. Ora la coppia di giovani guardava proprio me.

12/10/15

IL BOIA E L'IMPICCATO

di Vecchio Mara

                                      

Bernardo… nome comune per un lavoro poco comune.

Bernardo esercitava la professione di boia nel piccolo regno di: Pietaslemorta, la sua attività lo costringeva spesso a passare lunghi periodi fuori sede, ma il fatto non gli era di particolare peso; non aveva nessuno che lo attendesse accanto al focolare, nemmeno una fatua fiammella riscaldò più il suo cuore di pietra dal giorno che aiutò l’anziana madre a passar a miglior vita.
Bernardo era d’uso eseguir il suo raccapricciante lavoro a regola d’arte (infatti mai nessuno, dopo essere passato tra le sue grinfie, ebbe a lamentarsi del servizio) senza porsi domande, o cedere il fianco a sentimenti d’amore d’amicizia e altro ancora, di cui peraltro appariva del tutto privo.
La povera donna che generò cotanto mostro, un giorno accolse a legnate sul groppone il gabelliere venuto a riscuotere l’esosa gabella, decretando così la propria condanna.
Bastonare il gabelliere del re fu considerato dal giudice un delitto pari, se non superiore, all’omicidio, e la sentenza fu di pari peso; condanna a morte per impiccagione (come da ultimo desiderio della condannata) da eseguirsi il giorno stesso sulla pubblica piazza, davanti agli sguardi soddisfatti del gabelliere e del suo re che si gustavano lo spettacolo dal balcone del palazzo reale.
Lui, il boia, quando vide sua madre salire a tentoni il patibolo con occhi imploranti pietà, non si scompose; impettito, a torso nudo, con il volto occultato dal cappuccio nero forato in due punti in modo da far trasparire solamente gli occhi, neri e immobili come due biglie di vetro; trascinò la povera donna, che urlando malediva il giorno che lo aveva messo al mondo, al centro del patibolo, afferrandola sotto le ascelle la alzò sistemandola senza troppi complimenti in piedi sopra lo sgabello, gli infilò un cappuccio nero dalla testa a occultarne il volto e, di seguito, gli strinse il cappio attorno al collo.
Incrociando le braccia sul torace, virò con gli occhi sul balcone, attese un cenno del re e, insensibile al pianto dell’anziana genitrice, senza indugiare oltre assestò un robusto calcio allo sgabello facendolo cadere, portando così a compimento il suo sporco lavoro senza che nemmeno una lacrima facesse capolino agli angoli degli occhi.

Pioveva a dirotto il giorno che di primo mattino s’incamminò prendendo la strada delle colline, a caccia di sentenze da eseguire.
Per completare il giro dei paesi del regno avrebbe impiegato dalle due alle quattro settimane, il tempo, più o meno breve, sarebbe dipeso dal numero di condanne in attesa del suo operato lungo il percorso.
Funzionava così la giustizia del minuscolo regno; il giudice partiva tre giorni prima del boia, il quale al suo arrivo avrebbe trovato la sentenza emessa e la condanna pronta da eseguire.
Allora il boia, come gesto di benevolenza, avrebbe concesso al condannato un ultimo desiderio… la scelta dell’attrezzo con cui essere giustiziato; scelta non troppo ampia a dire il vero, corda o scure!
Subito dopo aver eseguito il suo lavoro, a regola d’arte com’era d’uso scrivere redigendo il rapporto, riprendeva il cammino sulle tracce del giudice che nel frattempo aveva già emesso altre sentenze che attendevano di essere eseguite.

Stivaloni alti fino alle ginocchia, pastrano nero lungo fino alle caviglie, cappellaccio a larghe falde nero, zaino sulla schiena e ferri del mestiere sulle spalle; corda con cappio d’ordinanza sulla destra, grande scure a mezzaluna sulla sinistra.
La lama del miglior acciaio, lucida e ben affilata, riverberando la luce del sole calante, scendendo dal sentiero delle colline a est era ben visibile dal paese.

“Eccolo là il bastardo!”, sibilò il vecchio prima di entrare nella taverna, notando un riverbero intermittente calare dal sentiero.
“Sta arrivando… ho visto la lama della scure baluginare sotto l’ultimo sole lungo il sentiero della collina, al tramonto sarà già qui!”, esclamò concitato.
Gli avventori si ammutolirono.
“Così domani vedremo per la prima volta il boia al lavoro anche da noi.”, sentenziò incupendosi l’oste.
Un brusio di disapprovazione invase la taverna, crescendo rapidamente si fece proposta, ognuno aveva una sua personale ricetta per impedire il compiersi dello scempio, nessuna realmente praticabile.
Ma quando l’omone nero, grande e grosso, spalancando violentemente la porta fece il suo ingresso nella taverna con in spalla i ferri del mestiere, il vociare si spense istantaneamente.
Il boia si avvicinò al banco: “Oste! Una camera per la notte!”, ordinò con voce baritonale, gettando una moneta d’argento sul banco.
L’oste osservò la moneta roteare prima di adagiarsi sul tavolaccio, poi con sguardo di sfida e tono fermo replicò: “Non ho camere libere!”.
Il boia virò con lo sguardo all’intorno e lesse sui volti degli avventori quel che aveva visto nello sguardo arcigno dell’oste; lì dentro e in paese, non era il benvenuto.
Abituato ad essere accolto molto spesso con fastidio, l’impatto lo lasciò del tutto indifferente: “Sai dirmi dove posso trovare un letto?”, gli chiese, mantenendo lo sguardo da sfinge e riprendendosi la moneta d’argento.
L’oste sorrise, con l’indice indicò un edificio di legno dall’altro lato della strada: “Nella stalla… insieme alle bestie. La dentro troverai un giaciglio di calda paglia!”, disse con tono rancoroso.
Lo sguardo del boia non evidenziò alcun accenno di rabbia o disappunto, abituato com’era a subire l’ostracismo della gente, nemmeno lo sfiorò il sarcasmo pungente dell’oste: “Grazie!”, esclamò laconico, prima di girare i tacchi.
Uscì dalla taverna seguito dagli sguardi obliqui degli avventori, attraversò la strada, entrò nella stalla accolto dai nitriti, forse di disapprovazione, dei cavalli, posò i ferri del mestiere accanto a un mucchio di paglia si stese sopra chiuse gli occhi e cercò, trovandolo, il giusto riposo.

11/10/15

MIRDIN(2): IN VIAGGIO VERSO LA QUARTA DIMENSIONE



                        
di Mauro Banfi
                                                         
“Non siamo contenuti in una invisibile scaffalatura rigida: siamo immersi in un gigantesco mollusco dinamico e flessibile. Il Sole piega lo spazio intorno a sé e la Terra non gli gira intorno perché è tirata da una misteriosa forza, ma perché sta correndo diritta in uno spazio che si inclina. Come una pallina che rotoli in un imbuto: non ci sono forze misteriose generate dal centro dell’imbuto, è la natura curva delle pareti a fare ruotare la pallina. I pianeti girano intorno al Sole e le cose cadono perché lo spazio si incurva.”
Albert Einstein

                        
“I druidi univano allo studio della natura quello della filosofia morale, affermando che l’anima umana è indistruttibile”. Strabone
                         

Avanti, Bardo Corentin riassumici la prima puntata di Mirdin:


                                        
“Ci sono momenti in cui la storia chiama gli uomini all’appuntamento con il destino.
Nel 54 a.c. Giulio Cesare, sfruttando abilmente i continui litigi tra clan e tribù germaniche e celte, attaccò gli Eburoni di Ambiorix e dopo la vittoria, posizionò le sue legioni nel cuore della nazione dei celti.
I Carnuti, il popolo del potente mago verde Mirdin, custode del nemeton segreto di tutta la Gallia, levarono il grido dell’insurrezione generale e l’urlo con la rapidità del fulmine si propagò nel centro e nel sud della Gallia fino al paese degli Arverni, con la notizia dell’eccidio di molti commercianti romani e di altrettanti celti collaborazionisti avvenuto a Cenabum.
Anche gli Arverni erano oppressi dal dispotico governo di una oligarchia che con il consenso dei Romani ha deposto il legittimo re.
Il grido ribelle dei Carnuti ebbe grande risonanza tra gli Arverni, che, decisi ad abbattere il governo fantoccio e a liberarsi dalla dominazione straniera, risposero all’appello dei fratelli del nord.
Anima della rivolta era un giovane guerriero di sangue reale, chiamato Vercingetorix, che in breve tempo sollevò la regione e, presentatosi con un grande gruppo d’armati sotto le mura della capitale Gergovia se ne impadronì e fu proclamato re.
Tutte le regioni comprese tra il corso della Senna e quello della Garonna, tra l’Atlantico e il Liger, aderirono a Vercingetorix, che riunì in breve sotto il suo comando un grande esercito.
Per nulla impressionato, nei suoi quartieri invernali, l’ambizioso Giulio Cesare meditava la controffensiva.
Ora: a Mirdin il Druido non interessavano gli appuntamenti con la storia, per lui la magia rossa della guerra e della violenza sono incubi dai quali destarsi.
Lui crede nella Dea Bianca, la triplice e nelle tredici energie arboree cosmiche.
Invano suggerì ai guerrieri Carnuti e a quegli Arverni di Vercingetorix di evitare uno scontro in campo aperto con le legioni e di praticare la guerriglia nelle foreste, il mordi e fuggi come se fossero invisibili.
Roisin, sua amante al tempo della gioventù era ora moglie di Vercingetorix, perché stava seguendo la pista della vendetta.
I Romani avevano trucidato suo fratello Duir e voleva bere il loro sangue nel teschio di Giulio Cesare.
Ma ora aveva una figlia, Lexy e voleva che diventasse la prossima Gutuater della sacra foresta dei Carnuti.
Insieme, durante l’equinozio di primavera si recarono nel santo nemeton di Mirdin, affinchè Lexy diventasse una maga e fosse iniziata ai poteri di Mirdin.
E adesso, si disfi la trama e torni l’ordito di questa storia…ma ti chiedo lettore, c’è poi differenza?”


     

    in viaggio nella quarta dimensione

                                     
Roisin e Lexy risvegliarono il mago verde nella sua magica caverna.
Mirdin voleva baciare in bocca Roisin ma con un cenno lei gli fece capire che Lexy, lì vicino a loro, era sua figlia, e subito dopo gli raccontò che il padre, Vercingetorix, era in guerra.
«Dimmi Roisin, in che cosa possa esserti utile».
«Voglio che Lexy sia la prossima Gutuater del nemeton».
Mirdin sorrise e insegnò tutto quello che sapeva a Lexy: le 13 energie arboree collegate agli animali, agli Dei e alle stelle dell'Universo, la cosmica medusa flessibile, contraibile ed estensibile.
                                       

Poi venne un terribile giorno.
Giulio Cesare aveva contrattaccato Vercingetorix e dopo molti scontri e tanti, troppi morti in battaglia i due comandanti si preparavano alla scontro finale presso la cittadina di Alesia, tra il popolo dei Mandubi.
Mancavano pochi giorni alla prova d’iniziazione di Lexy e Roisin decise di raggiungere ad Alesia suo marito.
Invano Lexy pianse tutte le sue lacrime, inutilmente Mirdin la supplicò di restare.
«Maledetta sia la magia rossa!» urlò Mirdin alla Luna triplice mentre Roisin svaniva tra le querce.
«Folli! Non bisogna prendere appuntamenti col destino, ma amarlo come si venera qualcosa più grande di noi!»
Strinse la mano a Lexy e davanti al fuoco le parlò della grande prova di domani.
«Lexy, non dovrai affrontare la prova dell’acqua e tuffarti da una cascata per recuperare un anello d’oro nel laghetto.
Quella è la prova dei mercanti.                                                                       
Non dovrai affrontare la prova del fuoco o quella dell’aria o quella della terra.
Non dovrai saltare la fossa incendiata o salire sulle montagne innevato a prendere l’uovo dell’Aquila Reale.
Non dovrai andare nella sacra grotta dell’Arco nella Roccia per uccidere un orso tra i dipinti antichi dei primi Druidi.
Queste acrobazie sono per i guerrieri.
Dovrai viaggiare nella Quarta Dimensione.
Dovrai imparare che lo Spazio non è separato dal Tempo come il Corpo non è separato dallo Spirito.
Questo è il fondamento della magia viola e la base di quella verde e bianca.»

Lexy era bellissima, rivestita nella tunica porpora della neofita.
Scesero antichi gradini verso il fondo del nemeton e Mirdin la teneva per mano.
Poco distante balenava una fioca luce azzurrina.
Piano piano gli occhi di Lexy si abituarono al buio e la ragazza mise a fuoco una visione incredibile.
Sospesa a mezz’aria ruotava una scatola magica trasparente che voltava ad ogni angolo e si rivoltava in aria come un guanto.
Ogni suo lato era grande come la porta di una capanna.
  

                                                                            
« Questo è un cristallo spaziotemporale, Lexy, io lo chiamo l’ipercubo.
Lo vedi quel piccolo buco nero al suo interno, grande come il coperchio di una botte per il vino?»

     

                                             
                                                      
Lexy non riusciva a parlare a causa dei prodigi a cui stava assistendo.
«Quella è una stella che è esplosa e si è ritirata dentro se stessa.
Collassando ha aperto un varco nello spazio-tempo ed ora è lì che ti stai dirigendo, Lexy, sei pronta?»
Lexy riuscì solo ad annuire.
«Dentro quel buco noi possiamo viaggiare tra le dimensioni del Tempo, bimba mia.

                                                           

               
Il tempo è il terreno sul quale cresciamo e una volta che siamo fioriti ai bordi di quell'abisso possiamo andare Oltre, insieme.
Penso al continuum spaziotempo come a un sistema di autoperfezionamento multidimensionale in cui tutto ciò che è, è mai esistito o potrà accadere, si verifica simultaneamente.
Siamo immersi in una cosmica medusa, che si può schiacciare, stirare e storcere, e costituisce lo spaziotempo intorno a noi.
Ricordati: quando sarai dentro al buco nero dovrai solo seguire la mia voce, il filo del mio racconto e supererai la prova».
Detto questo, si portò dietro di lei e la spinse gentilmente dentro il buco nero.
«E ora, è tempo di saltare, Lexy.»
Lexy precipitò nell’abisso, urlando.
Poi cominciò a sentire le parole di Mirdin e cominciò a calmarsi, ascoltandole.
Le sembrò di volare come un albatro sopra la costa della Bretagna, era fuori e dentro, nel contempo, nella storia chiamata…