La mia non era vanità, ma quando vidi quella mano esperta allungarsi sul mio collo e prendermi tra le dita con tanta delicatezza non seppi nascondere un moto di profonda soddisfazione.
Guardai le mie sorelle rimaste tra gli scaffali. Finsi di essere dispiaciuta mentre salutavo ipocritamente quella Lacrima di Morro. Non m’era mai stata simpatica, e sono convinta che se fosse capitato a lei d’essere scelta me l’avrebbe fatta pesare sino alla fine dei tempi.
Il signore che mi aveva scelto… si vedeva ch’era un fine intenditore. Aveva un invito a cena e voleva fare bella figura con i suoi ospiti. Quest’ultimi, a dire la verità, m’erano apparsi piuttosto grezzi tanto da preferire un misero Montefiascone all’ebbrezza dei miei aromi. Certo io mi abbino bene con selvaggina da pelo, eventualmente accompagnate da funghi o tartufi; quella sera invece gli ospiti avevano preparato uno stufato di carne con cipolle e carote, quindi decisero di serbarmi per una prossima occasione.
Quando fui riposta in quella elegante cantinetta color noce tra quelle bottiglie con l’etichetta anonima, la mia nobiltà risaltò ancor di più. Inutile nasconderselo: ero proprio la bottiglia delle grandi occasioni. E infatti quando i nuovi proprietari vollero far colpo sulla famiglia del promesso sposo della loro figliola, dalla carta lucida scelsero proprio la mia etichetta.
Con mia grande soddisfazione debbo dire che non la finivano di decantare le mie lodi. Ma il padre dello sposo decise che io dovessi essere stappata solo il giorno delle nozze. E poi la madre dello sposo quella sera aveva preparato una cena a base di pesce: per tutto l’appartamento si sentiva un odore di cozze gratinate e di bruschette. Sinceramente quell’odore d’aglio, che aveva invaso ogni stanza, aveva un che di disgustoso per la mia struttura delicata. E poi, non per essere schizzinosa, ma avevo notato che in quella casa non c’erano neanche calici adatti a esaltare i miei profumi complessi, e a mettere in movimento un’adeguata ossigenazione.
Insomma, a mio parere ero effettivamente sprecata per quella occasione. Perciò anche a me sembrò una saggia decisione quella di mettermi da parte. Soltanto che questa volta fui riposta in una volgare vetrinetta. Anche uno sciocco sa quanto sia importante la temperatura per conservare un vino eccellente; e che errore madornale mettermi in piedi anziché sdraiata! Persino l’orientamento è essenziale alla mia morbidezza. Pensavo come avrei fatto a resistere per tutto il tempo in quella posizione.
Un bel giorno i due promessi sposi ruppero il fidanzamento e così la nuova famiglia adottiva decise di sbarazzarsi di me. Il mio gusto, lo ammetto, s’era un po’ deteriorato. Capite, stare per tutto quel tempo in quella scomoda posizione, mi fa male ammetterlo, il mio carattere robusto s’era un pochino inacidito. Tuttavia, la mia etichetta argentea spiccava sempre nella sua bellezza.
A Natale fui regalata a una famiglia modesta, ma questa famiglia, per quanto modesta fosse, era orgogliosa di mettermi al centro della tavola. In mezzo a quei piatti triviali svaniva la grande occasione che avevo sognata. Comunque la mia avvenenza spiccava su tutto il resto: guardando intorno la tovaglia e i calici dozzinali ero un po’ sconfortata, ma mi consolavo all’idea di essere la cosa più pregiata della sera di festa.
Purtroppo la mia allegria non durò molto: un bambino birbante e antipatico urtandomi mi fece rotolare sul tavolo, e pian pianino, senza sapere né come né perché, precipitai di colpo nel vuoto, trovandomi all’improvviso spiaccicata a terra in mille frammenti. Lo schianto richiamò tutti i presenti, che attoniti guardavano i pezzetti di vetro e il nettare sparso sul pavimento. L’etichetta era integra. Ad un certo punto, anziché piangere, come mi sarei aspettata, si misero a battere le mani. Sarò sincera: io gli umani non li ho mai capiti. Sarà perché i nostri mondi sono distanti anni luce.
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