I tasti della tastiera battevano sempre più forti e rapidamente, il testo che si andava formando, macchiando di nero il foglio bianco del monitor davanti a lui, cresceva a vista d’occhio. Quel romanzo lo finì in meno di un mese. Nella sua giovane carriera era il quarto romanzo, un successo anche questo. Le apparizioni in tv, gli autografi, le conferenze aumentavano sempre di più. Così come le richieste di diversi registi a dare il suo consenso per la trasposizione cinematografica di uno dei suoi quattro romanzi. Aveva detto a tutti che ci avrebbe pensato su e che gli avrebbe dato una risposta a breve.
«Bello. È bello.» Erika, la ragazza davanti a lui, si guardava intorno. Il ristorante era elegante, si mangiava bene. Era uno di quei posti che fino a quel momento aveva visto soltanto nei film. Era visibilmente emozionata, i suoi occhi lucidi fissavano il ragazzo che stava seduto di fronte a lei.
«Sono contento che ti piaccia. Ti prometto che succederà sempre più spesso», le disse il ragazzo. Poggiato al tavolo, proprio al centro, c’era il suo quarto romanzo.
Erika sorrise e si aggiustò una ciocca di capelli riavviandosela dietro l’orecchio. «Mi fai sentire speciale.»
«Tu sei speciale.» Sapeva che non era così. Sapeva perché la portava in posti eleganti e costosi come quello. Di certo non perché l’amava, non più. Amava soltanto i suoi libri, amava la sua vita, i soldi, la fama. Le sue mani, veloci, che non sbagliavano mai sulla tastiera. Le sue mani, era merito loro. Mica della sua testa. Era qualcosa di veramente strano, ma nel profondo sapeva che le storie che gli venivano fuori per i suoi romanzi non erano frutto della sua mente. No, no. Le mani... era come se andassero automaticamente, avulse dalla sua mente.
E per quanto riguarda Erika, la portava in quei posti cosicché qualche fan poteva fermarlo, chiedergli un autografo o magari anche una foto, vedere la sua ragazza e spargere la voce che il suo scrittore preferito, Walter Gerchi, fosse fidanzato. Un messaggio per tutte le ragazze in cerca di qualche uomo famoso: Sono già felicemente (ahahahah, “felicemente”?) fidanzato, state alla larga!
A che gli servivano le ragazze se non a soddisfare i suoi desideri post-romanzo? Per scaricare i nervi e tutto il resto.
Stava così bene da solo, con le sue mani, i suoi libri e il suo successo.
Dopo aver pubblicato il suo sesto romanzo, due anni dopo, decise di prendersi una pausa. Un anno sabatico, lontano dai riflettori, per rilassarsi un po’. Aveva lasciato il suo settimo romanzo, Collisioni, a metà. Non aveva mai lasciato a metà un romanzo. Fu lì che l’incubo iniziò.
Aveva deciso di partire con Erika a dicembre, visitare posti nuovi e vivere nel più totale relax per qualche settimana.
Fu la notte prima di partire che cominciarono i dolori. Forti fitte alla mano destra. Verso la mezzanotte Walter si alzò dal letto e lo seguì Erika, svegliata dalle imprecazioni del suo ragazzo dovute al dolore. Walter teneva la mano destra aperta ad artiglio e con la sinistra stringeva il polso, seduto sul divano del salotto. Stavano per andare al pronto soccorso quando d’improvviso la mano destra di Walter saettò e il ragazzo urlò. Le fitte erano aumentate. Walter girò sui tacchi e si diresse verso la sua camera, davanti al computer. Lo accese e continuò a lavorare su Collisioni. Erika, così come lo stesso Walter, seguirono la scena a metà tra inorriditi e stupefatti. Erano entrambi a bocca aperta, incapaci di proferire parola. Che stava succedendo? Era la domanda che continuava a ripetersi nella testa della ragazza.
Walter sapeva cosa stava succedendo, ma non riusciva a crederci.
Dopo una decina di minuti fu Erika a rompere il silenzio: «Che stai facendo, Walter?»
Il suo ragazzo rimase voltato verso il computer a scrivere sempre più velocemente, freneticamente, non sbagliando mai nemmeno una lettera, scrivendo pagine e pagine, con la colonna sonora dei tasti della tastiera che battevano forte, battevano sempre più forte, come una puttana.
«Non lo vedi? Sto scrivendo.»
Erika indietreggiò, come se quella risposta fosse stato il jab di un pugile e lei lo avesse appena schivato.
«Lo vedo... ma...» Cosa poteva dire? Ti sembra un comportamento normale svegliarsi con questi dolori alla mano e mettersi a scrivere come un indemoniato al computer? Sì, forse avrebbe potuto dirlo, ma non voleva. «Ma...»
Tac. Tac. Tac. TAC. TAC. TAC! TAC!! TAC!!! La tastiera andava sempre più forte.
TAC!!! TAC!!! TAC!!!
«La vuoi finire?!», sbottò Erika.
«Lasciami stare. Fammi concentrare.» Il tono era freddo e distaccato.
«Walter! Ma... ?! Che diavolo stai facendo?!»
«Ti ho già risposto. Adesso va’ via.»
Le lacrime affiorarono agli occhi della ragazza.
«Smettila! Smettila subito! Non ti fa male la mano?»
«Quando scrivo non mi fa male.»
«Ma cosa cazzo stai dicendo! Finiscila!»
Nessuna reazione. Poi Walter parlò: «Lasciami scrivere in pace.»
Erika iniziò a tremare, nervosa per il comportamento illogico di Walter, per la surreale scena che si stava svolgendo sotto i suoi occhi bagnati.
«FALLA FINITA!», sbottò la ragazza. Si avviò verso la scrivania con il computer e per un attimo credette di poter vedere scritto al monitor, ripetuto alla nausea “Lavorare sempre e non divertirsi rende Jack un ragazzo annoiato”, ma fu solo un attimo. Non lesse nemmeno cosa ci fosse scritto al pc (Lavorare sempre e non divertirsi rende Jack un ragazzo annoiato); prese la testa di Walter e la voltò verso di sé. «Guardami! Cosa c’è che non va?! Smettila subito!»
Il volto di Walter mutò in un’espressione di furia e follia (Lavorare sempre e non divertirsi rende Jack un ragazzo annoiato) e la sua bocca si aprì: «Devo scrivere!»
Erika lo scosse veementemente. «Riprenditi, Cristo Santo! Riprenditi...» stava per dire Jack!, ma dopo una brevissima e quasi inavvertibile pausa finì: «...Walter!»
La mano destra del ragazzo agì per conto suo. Afferrò il collo della ragazza e iniziò a stritolarlo. Walter osservò il tutto esterrefatto, la faccia di Erika era una maschera di puro orrore. Ciò che stava succedendo era incredibilmente folle, pauroso e surreale: non solo stava strangolando la ragazza senza nemmeno volerlo (o quasi), ma la stretta era così forte che il collo di Erika si stritolò così come si fa con un bicchiere di plastica. In pochi istanti ventisei anni di vita furono spazzati via.
Walter poté scrivere in pace.
Quindicesimo romanzo, Collisioni: L’atto finale. Era l’ultimo romanzo pubblicato da Walter Gerchi, otto anni dopo la morte di Erika.
Walter ricordava tutto di quella sera ma non di come si era sbarazzato del cadavere della ragazza. Ad ogni modo non gli importava. Gli interessava soltanto poter scrivere in santa pace. Guadagnare, essere famoso, avere la sua mano destra. Era quella che faceva tutto il lavoro. Walter Gerchi non esisteva. Forse non era mai esistito. Al posto di Walter Gerchi, sui suoi romanzi avrebbero dovuto scrivere in copertina La mano. Quella mano. Aveva provato tante volte a prendersi una pausa, ma ogniqualvolta lasciava il lavoro incompleto le fitte cominciavano e doveva per forza tornare a scrivere, a sfornare un altro romanzo. La scrittura era la sua vita. Ma non in senso positivo. Sapeva che se avesse smesso di scrivere avrebbe anche smesso di vivere. Perché le fitte sarebbero ricominciate, e non era disposto a soffrire tutto quel dolore.
Il giorno dopo il suo compleanno – un giorno come l’altro, trascorso in solitudine a casa sua – numero quaranta, Walter decise di farla finita per la milionesima volta.
Tra le tante prove, aveva provato ad avvelenarsi, a buttarsi sotto un treno o un’auto, a gettarsi giù dal balcone o dalla finestra o da qualunque posto alto. Tutte morti sicure che non l’avrebbero fatto soffrire. Ma la mano si contraeva ad artiglio, lanciava quelle fitte lancinanti, troppo dolorose da accettare, che lo convincevano a desistere dal suo proposito e la vocina interna che aveva sentito (coscientemente) per la prima volta la notte dell’uccisione di Erika, gli diceva: Scrivi. Vai a scrivere. Va’!
E lui andava. E tutto passava. E scriveva un altro romanzo. E riscuoteva ancora più successo.
Quella sera, il giorno dopo al suo quarantesimo compleanno, decise di tagliarsi la mano con un coltello da cucina. Una prova semplice, che non aveva mai fatto per paura di provare troppo dolore. Ma ormai era al culmine della disperazione, doveva provare a tutti i costi. Afferrò con la mano sinistra il coltello e lo calò.
Successe tutto troppo in fretta, la mano destra afferrò quella sinistra e…
Dalla prima pagina del Giornale di Sicilia, 17/8/1994.
WALTER GERCHI SUICIDA IN CASA SUA.
È stato rinvenuto nella notte tra ieri e oggi il cadavere del celebre scrittore Walter Gerchi, autore di ben sedici romanzi che hanno venduto milioni di copie anche all’estero. Lo scrittore è stato ritrovato senza vita nella sua abitazione con un coltello piantato nel cuore, il manico stretto tra le sue mani. Gli inquirenti hanno accertato un violento e apparentemente immotivato suicidio. Gerchi, che aveva compiuto pochissimi giorni prima quaranta anni, non era né sotto l’effetto di sostanze stupefacenti né di alcool. Il caso resta un mistero. E adesso si apre anche il problema circa l’eredità, visto che la famiglia di Gerchi...
Giornalisti ne aveva visti fin troppi in quei giorni, Simone Fantini. Era il guardiano del cimitero di Santa Maria dei Rotoli a Palermo. Anzi, in tutti quegli anni che aveva lavorato lì, non s’era mai presentato nessun giornalista.
Stava davanti alla tomba del nuovo arrivato, Walter Gerchi, domandandosi come mai il suicidio di un fottuto scrittore facesse tutto questo scalpore.
«Ne ho le palle piene», commentò. Si accese una sigaretta e rimase lì a guardare la lapide, con una marea di fiori, cartoline, foto e gadget lasciati da familiari e fans. Come poteva avere così tanta fama uno scrittore era un altro mistero che affliggeva Simone. Lui, che più delle parole crociate non aveva mai letto nient’altro in vita sua. Libri? Andiamo! Un mucchio di cazzate che stanno lì a sporcare della carta!
La sigaretta di Simone non era neanche consumata a metà quando una mano contratta ad artiglio uscì da quella tomba.
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