La visione del Dottor Mises di Mauro Banfi



“L'uomo vive sulla terra non una ma tre volte: la prima fase della sua vita è un sonno profondo; la seconda di veglia e sogno e sonno in alternanza; la terza una veglia eterna.
Nella prima fase l'uomo vive nell'oscurità, solo; nella seconda vive insieme alle altre persone, pur tuttavia spesso ignorato e separato dai suoi simili, in una luce che è riflessa dalla superficie delle cose; nella terza la sua vita è intessuta con lo Spirito universale ed è una vita superiore in presenza dell’Anima del Cosmo.
La metamorfosi dal primo al secondo stadio è chiamata nascita.
La trasmutazione dal secondo al terzo è chiamata morte; lo stadio di passaggio caratterizzato dall’alternanza di sonno, sogno e di veglia viene chiamato vita.”
Escursione nel mondo visibile per trovare l’invisibile, Gustav Theodor Mises
Indosso occhiali dalle lenti azzurre per difendermi dalla visione notturna, dal lato oscuro, materiale, letterale delle cose.
La mia anima è come il cielo che attira la terra tra le braccia, ora.
Quando avevo trentanove anni restai irretito nel grembo tenebroso della materia.
Fu la miseria, l’eccessivo lavoro ma soprattutto anni di accaniti studi e sperimentazioni, specialmente sulla psicofisica della percezione dei colori.
Dovevo assolutamente inventare un aggeggio ottico per diventare ricco.
I miei occhi e la mia anima si ammalarono.
Non potevo fare più le mie lunghe e ossessive osservazioni sperimentali sulla persistenza dei colori nella retina, non potevo più leggere. Non ero diventato cieco, ma non ci vedevo più. Non potevo nemmeno mangiare né bere. Il mio stomaco si era riempito della nebbia e del buio che abitavano la camera oscurata nella quale mi ero ritirato. I miei occhi erano protetti da coppette di piombo ed ero tenuto in vita da mia moglie.
Rimasi in quel mondo notturno di tormenti per tre anni, chiuso in un isolamento melanconico e stavo perdendo il controllo dei pensieri, quando la mia cara consorte ebbe un sogno.
Vide una ricetta per una pietanza a base di riso, quinoa, miglio, avena e brodo di pollo da asciugare lentamente con scalogno e formaggio pecorino in una pentola a fuoco costante.
Me la preparò e dopo pranzo andammo a riposare insieme. Lei abbracciava il mio corpo rinsecchito e privo di umori e singhiozzava:
« Ti prego amore non lasciarti andare…»
Poi si alzò e riempì la vasca da bagno. Mi fece alzare dal letto, mi spogliò e mi fece entrare in ammollo nell’acqua tiepida.
Prese una spugna imbevuta di sapone di marsiglia e lavò con infinita cura il mio corpo disperato sussurrando:
« Ti prego non lasciarti andare amore…»
Poi si spogliò anche lei, mi prese per mano e mi portò sul letto. Mi fece sdraiare e con carezze inesprimibili risvegliò quello che restava della mia virilità.
Si posò sopra di me come una colomba azzurra e mi fece entrare nel suo oceano.
Io nuotavo dentro lei e verso il cielo, e la volta azzurra era alta e dall’alto vedevo la sfera azzurro-cielo nella quale viviamo, metà illuminata dal sole e metà immersa nella notte stellata.

 

Quella cupola azzurra avvolgeva tutti gli spigoli taglienti nella sua cosmica comprensione.


Era un cielo ma sembrava il mare, non coperto da nubi, ma da zolle di terra bruna.
Sembrava che le zolle si allontanassero l’una dall’altra e lasciassero scorgere degli Spiriti Azzurri, delle celesti forme femminili che mi chiamavano:
«Vieni…vieni…torna tra noi.»


Improvvisamente dalla destra giunse, librandosi nell’aria, un essere alato.


Era un anziano munito di corna taurine. Portava un mazzo di quattro chiavi, tenendone una come se fosse sul punto di aprire una serratura.
Non so come ma sapevo che il nome di quella chiave era Abraxas.
La figura era alata e le sue ali erano quelle di un martin pescatore, con i loro caratteristici colori, quegli accostamenti inconfondibili di verde smeraldo, blu cobalto e azzurro cangiante.


L’anziano essere alato si chiamava Filemone e quegli azzurri Spiriti guida femminili erano parti psichiche di Bauci, la sua consorte.
«Vieni…vieni…torna tra noi» mi suggerirono Filemone e le anime di Bauci e cominciai a discendere con loro verso la Terra.»
«La vedi? La Terra è il nostro comune grande angelo custode, che vigila su tutti i nostri interessi messi insieme. Siamo chiamati a dare forma alla Terra .» disse Filemone.
«Tutte le cose esterne da cui dipendiamo per vivere – aria, acqua, piante e animali di cui voi umani vi cibate, il vostro prossimo -, sono contenute nella terra. La terra è autosufficiente e autobastante in milioni di aspetti in cui voi esseri umani non lo siete. Capisci?Ah, dottore, se solo tu potessi tornare a vedere…» così parlarono le emanazioni psichiche di Bauci.
Poi Filemone e le anime Bauci si trasformarono in un martin pescatore che guidò il Dottor Mises sulla riva di un fiume, riparata dai salici e dai pioppi.


Era l’inizio della primavera e il martin pescatore richiamò e attirò la sua compagna con un trillo e con l’offerta di un pesciolino tenuto dalla parte della coda, per sottolineare il dono.
La femmina accettò il presente e la coppia compì dei gioiosi voli nuziali a notevole altezza.
Poi, una volta ridiscesi sulla sponda del fiume, prima lui e poco dopo entrambi, cominciarono a scavare un profondo nido in una parete di terra della riva.
Il maschio si librò sul dorso della femmina, afferrandosi alle piume della sua nuca, e le code si spostarono di lato…


Il sogno s’interruppe e mi svegliai.
La cara consorte dormiva nuda accanto a me, la testa appoggiata sulla mia spalla.
Mi alzai, mi rivestii e varcai per la prima volta, dopo tre anni, la soglia della mia camera oscurata e uscii in giardino.
Per proteggermi gli occhi indossavo degli occhiali con lenti azzurrate, dono della mia adorata compagna.
Oh meraviglia! Ciascun fiore, ciascun albero, ciascuna pietra, ciascun insetto risplendevano di una singolare chiarità, come se nella luce esterna emettessero una propria luce profonda.
L’intero giardino mi parve trasfigurato, come se non io ma la natura si fosse appena destata.
Pensai alle parole di Filemone e Bauci nel sogno:
«Siamo chiamati a dare forma alla Terra».
Pensai: dunque basta aprire gli occhi del cuore, guardare con occhi nuovi.
Non occorre altro.
   

1 commento:

  1. Il racconto è ispirato liberamente alla vita e all'opera dello psicologo e filosofo Gustav Theodor Fechner, ispiratore e precursore di Freud e Jung.
    Le figure stilizzate in blu e azzurro sono tratte dalla serie "Gouaches Decoupees" di Henri Matisse. tranne l'ultima e conclusiva immagine del racconto, affiancata a una psiche di Matisse, che è dell'artista Yves Klein.
    L'opera è anche stata suggestionata dagli azzurri di Cezanne e dalla musica jazz di Miles Davis, e in particolare dall'album "Kind of blue", e sopratutto dal leggendario brano "So what", nella versione del geniale pianista Michel Petrucciani.
    Infine, è doveroso citare il film "Gravity" di Alfonso Cuaron che mi ha spronato e incantato nell'intimo.
    Dedicato al nostro angelo custode, la Madre Terra.

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