Scelte di Janck Vento


di Janck Vento



Con l’oscurità ci fai amicizia: è la tua compagna, la tua alleata principale.
Questo mi diceva il pastore incontrato tra i monti mentre si facevano quelle passeggiate naturalistiche da turisti della domenica.
Allora, non avrei immaginato che quei consigli, snocciolati davanti a un buon calice di vino rosso,  durante una gita primaverile, diventassero realtà da contemplare.
Nel buio della notte aspettavo in totale silenzio, neanche il mio respiro poteva rendersi udibile. Dovevo stare calmo, inspirare ed espirare lentamente. L’udito e l’olfatto si amplificano in certi casi, mentre la vista cede alla notte ogni possibile particolare, rendendo l’insieme colloso come una coltre di catrame liquido.
Aspettavo paziente al riparo, i lentischi mi celavano, mentre un fascio di luce fredda solcava il viale; rendendo lo zinco del cancello, non ancora dipinto, ben visibile dalla mia postazione.
Ci vuole stomaco e qualcosa in più del coraggio, le gambe si fanno molli e devi trovare da qualche parte in te, un controllo latitante, senza il quale non vi è possibilità di portare a termine i tuoi intendimenti.
Avevo subito da troppo tempo e fin troppo profondamente l'ingiustizia perpetrata da quel bastardo e mai avrei creduto di arrivare a quel livello di disperazione.
Solo quando giungi nel fondo, quando le scelte si sono sfaldate in mere illusioni, dissolute soluzioni che non risolvono, mentre la mente crede in possibilità, che si rivelano, appunto, illusorie: ti spingi oltre, oltre la tua natura, oltre ogni ragionevolezza.
Sentii un veicolo avvicinarsi dal fondo della strada sterrata. Le luci tremule dei fanali e il ronzio degli ammortizzatori che lottavano con le buche, irruppero nel catrame liquido.
Doveva essere lui! Doveva proprio essere, perché non sopportavo un altro minuto di quell’attesa nel buio campestre. In fondo ero un uomo di città, non era il mio ambiente, era tutto nuovo o quasi.
L’autovettura rallentò, svoltando sulla sinistra illuminò per un secondo i lentischi amici, il fiato mi s’interruppe in gola mentre il cuore non ne voleva sapere di calma, prese a pompare impazzito.
L’uomo scese lentamente, i gesti automatici gli fecero spostare un piccolo masso sulla sinistra, ne raccolse qualcosa di tintinnante: “le chiavi del cancello” pensai, io comunque l’avevo scavalcato, a saperlo….
La catena rumorosamente venne via e il cancello, spinto verso l’interno del viale. Risalì in macchina, oltrepassò l’entrata, tirò il freno a mano e scese per richiudere, come si deve fare sempre in campagna.
Era il momento. Mentre si voltò per risalire sul mezzo, venni fuori e colpii forte. Il sangue mi solcava le pareti delle vene assottigliandone lo spessore, tanto era forte il flusso che mi scorreva dentro.
Il primo tonfo mi diede come una sensazione di uovo sodo rotto per la colazione, il primo colpo di cucchiaino e poi roba molle, cedevole. Il secondo lo colpì sulla spalla destra ma prese anche il tettuccio della macchina, uno strano effetto, come colpire un gong.
Stramazzò mentre si voltava per cercare di vedere, capire forse. Lo guardavo dritto negli occhi, ricambiava senza comprendere, non mi conosceva. Mi venne fuori la parola, emerse come un rutto: “Sono il padre di Martina, la giustizia ti ha assolto… io no!”
Lo osservai crepare come ipnotizzato. Ero calmo come fosse una cosa normale, ero fregato certo, ma quel bastardo non avrebbe toccato più nessuna ragazzina né ragazzino.
Filai via, nessuno mi avrebbe trovato.
“Il buio è il tuo alleato” e gli sbirri mi hanno quasi beccato; sono passati dieci anni da quel giorno, essere un latitante è ragione di vita, di sopravvivenza.
Non mi prenderanno, conosco i monti, molto meglio di loro…  li vedo, li osservo mentre mi cacciano, ma non sono una pernice io. Ora vado, ho le mie vie da seguire…
Un’ombra oscura fluttua esperta nella vegetazione. Come coltre di catrame liquido, la notte la protegge e, consapevole della sua sorte, continua ad aggirarsi per quei monti, senza che occhi la possano mai osservare né genti incontrare. Il buio e la solitudine hanno tempi loro, ritmi naturali ai quali ci si deve, ci si può armonizzare.
Il vivere diventa solo una questione di: “vita o morte” e nient’altro.

  

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