Lovecraft se
ne stava lì, contrito, davanti al diavolo. Anche questa volta era stato
risucchiato dal suo limbo di tormenti per discutere di quella facceda, quella
riguardante la sua creazione peggiore, il demone Nyarlathotep alias “il caos
strisciante”.
-Ora tu vai
nel vuoto cosmico, da quel cazzo di calamaro gigante, a finirlo una volta per
tutte…- aveva preso a ringhiare Satana.
-… Hai trovato
un argomento per privarlo del suo grado di realtà?-
Lovecraft,
compito nel suo elegante ed eloquente silenzio,mostrò l’assoluta impossibilità
di ottenere questo risultato.
Soltanto un
leggero cenno di diniego e poi mise le braccia conserte.
-Quindi?-
-Quindi non
l’ho trovato, Sua incommensurabile impostura.-
-Allora ti ho
preparato un bel po’ di palline di cacca da ingurgitare…- rispose Satana. -… Di
quelle giuste, sai? Che magari riescono a farti venire l’ispirazione.-
Lovecraft si
preparò al peggio.
-Perchè mi
sono VERAMENTE rotto, anzi, strAROTTOOOO I COGLIONI DI COMPETERE
CON QUELLA TUA BESTIACCIA DI MERDAAAAARRRRRGGGHHHHHH!!!!!!!- Satana
lo coprì di fiamme, sputandogli addosso tutta la sua invidia.
Lovecraf,
ormai abituato a quel genere di trattamento, ricompose le sue ceneri e si
allontanò di qualche passo.
-Posso
andarmene ora, signore?-
-Signore un
cazzo!!…- urlò di nuovo il diavolo. -…Sai che non sopporto di essere chiamato
in quel modo.-
-Mi perdoni,
Sua incommensurabile impostura.-
-Neanche ho
mai avuto la facoltà di perdonare, idiota!-
-Vado lo
stesso?-
Le cose erano
andate più o meno in questo modo: intorno al 1927 Lovecraft aveva avuto l’idea
del Necronomicon ex mortis, uno pseudolibro in grado di evocare una razza di
demoni più antica del mondo stesso; i Grandi Antichi, appunto.
Una mitologia
senza dubbio suggestiva e ben organizzata; tuttavia egli, seppure nella sua
morigeratezza di costumi, nell’elaborazione di tali fantasie aveva più volte
dimostrato di dover essere un tantino flippato poiché s’immaginava che queste
entità potessero fluttuare in una sorta di abisso siderale avulso dalle leggi
dello spazio-tempo normalmente concepito. Tanto è vero che, pur essendo dotate
di una loro tentacolare e putrescente fisicità, le mondezze in
questione riuscivano lo stesso a occupare tali “vuoti” sguazzandoci
come in uno stagno.
Orbene,
nonostante questo genere di sviste concettuali e scientifiche, la prosa
ridondante e i tentativi ridicolmente ingenui di evocare orrori evitando
deliberatamente di descriverli (la frase più ricorrente di Lovecraft era,
infatti, potete controllare voi stessi nei suoi scritti, “orrori
indicibili”), la storia del Necronomicon ebbe un grandissimo successo.
Tutt’oggi, al
pari di altre fantasie letterarie come Sherlock Holmes, rè Artù e i cavalieri
della tavola rotonda, Guglielmo Tell e Zorro, tanto per fare qualche esempio
che può apparire un po’cazzone, molti credono ancora che questo tomo sia
realmente esistito o esista ancora, magari gelosamente custodito o nascosto nei
magazzini di qualche importante museo. Una fede così grande che nel tempo ha
portato l’immane sciocchezza ad assumere un consistente grado di realtà, fino a
rendere vita a uno di questi demoni; il buon vecchio Nyarlathotep, appunto,
quello maggiormente dotato e descritto da lovecraft.
Nyarla,
quindi, felicissimo di uscire dalla mera rappresentazione cartacea, dopo
neanche molti anni dalla morte del suo creatore, prese a gareggiare col demonio
nella creazione di orrori.
Dapprima con
simpatia, in una sorta di divertita competizione resa amichevole soprattutto
dalla distanza; l’uno, infatti, stava nelle cocenti profondità degl’inferi e
l’altro in questo astratto e illogico vuoto cosmico di cui parlavamo prima. Poi
con un odio via via crescente.
Le sfide
consistevano perlopiù nel nuocere ai dannati, ma in modo sempre diverso.
Satana
preferiva quelli di vecchia data, in quanto necessitava esibire davvero del talento
per farli soffrire; infatti, i supplizi e le torture fisiche dopo secoli
perdevano di efficacia fino al punto di tramutarsi in godimento per essi. Così
la competizione spesso era tutta mirata al turbamento delle sensazioni più
intime del loro essere.
E anche così,
con quel tipo di penitenti, c’era un bel daffare; visto il pelo sullo stomaco,
la totale disumanizzazione e assenza di rimorsi sviluppate durante la loro
permanenza all’inferno.
Nyarla,
comunque, con poco sforzo vinceva sempre. Aveva una marcia in più, un
ingrediente segreto.
Il suo metodo,
ispirato alle attività del diavolo, era concentrare nel proprio sterco oscenità,
alterigia, risentimenti e nequizie di vario genere; combinandone i dosaggi fino
a ottenere la sostanza malefica perfetta. Quella capace di produrre il maggiore
livello di sofferenza.
Satana cacava
delle palline di vari colori; bulbose, a placche, piene di crepe o venature.
Alcune erano dei veri capolavori di arte moderna; con le loro screziature
dorate, i piccoli solchi e canalini irrorati di lava o sieri virulenti. Roba di
piccole dimensioni; dei gioiellini che potevano essere cacciati a forza nella
bocca dei penitenti. Al massimo grandi quanto un’ arancia.
Nyarla,
invece, preferiva rimanere nella classicità dei suoi cilindretti stronziformi;
non molto elaborati sul piano estetico, certo, ma efficacissimi.
Anche i più
inveterati ospiti di Belzebù, infatti, quando li mandavano giù soffrivano le
pene dell’ ultra-iferno-mega-orrore indicibile- altre sfere dell’essere
inconcepibilmente illogiche e orrorifiche.
-Non ti
permettere di fare un altro passo senza il mio permesso!- gridò Satana, vedendo
Lovecraft pronto ad allontanarsi.
Qualche minuto
prima di convocarlo, infatti, il Nyarla aveva aperto un piccolo varco
dimensionale proprio sopra il suo capoccione caprino per farci cadere uno
stronzo.
-Il tuo amico
mi ha preso per un water , porco #?@!… Comunque accetto la sfida…- disse. -…
Vieni qua, fottuto damerino grafomane!-
Lovecraft si
avvicinò, spolverandosi la giacca appena ricomposta.
-Con
obbediente impotenza, Sir!-
Il diavolo,
prima di accomodarsi sul suo incandescente trono di roccia e ossa fratturate,
si tirò fuori dal retto una pallina.
-Adesso ti
mangi la mia, poi quella del tuo viscido pupetto…- disse.
-… e mi
descrivi bene bene, con quello schifo di prolissità che rende noiosissimi i
tuoi scritti, le sensazioni provate. Devo capire nel dettaglio quali corde va a
toccare ‘sta roba.-
Lovecraft
s’ingoiò la cacca, questa volta colorata in modo piuttosto uniforme, tipo un
mandarino di lava fumigante con macchioline di un acceso giallo sulfureo.
-Hmmm!…..eeeeeeEEEEEEH!!!!!!!….OOOH!…Arrrrrghhhh!!!!-
fece sulle prime.
Stava piegato
in due e piangeva.
-…Mi torna in
mente il brodo di gallina di mia zia!… eeeeeeH!-
-Poi?- chiese
il diavolo.
-…quei
maledetti zingari e stranieri che infestavano le vieeeehhHHAaaaaarrgh!… Del
mio, mio, miooooooeeeeh, del mio amato quartiere nel New England.-
-Poi?-
insistette il diavolo.
-La mancanza
d’idee, il vuoto creativo di certe giornaaaarrrgh!…ate.-
Lovecraft non
riuscì a proseguire; si rannicchiò a terra in posizione fetale, singhiozzando e
mugolando inauditi e incomprensibili lamenti.
-Guarda un
po’, coglione!- gridò Satana, rivolgendosi a Nyarlathotep che sapeva essere
pure ubiquo .
Una
perturbazione fece colare una parete dell’antro di roccia davanti a loro,
trasformandola in uno specchio su cui apparve il gigantesco occhio del demone.
-Mi sa che
questa volta ti ho superato!…- rise Satana. -…Neanche riesce più ad alzarsi.-
Nyarla, non
volendo adattare la sua immagine alle dimensioni dello specchio, si spostò fino
a mostrare soltanto il becco.
-Quando si
riprende, e non credo che ci vorrà molto, fagli provare la mia merda e poi
vediamo chi è il più bravo.- disse, scomparendo in fretta.
Lovecraft, in
effetti, poco dopo si alzò. Sicuramente provato, ma non quanto si aspettava il
diavolo.
-Allora?-
chiese quest’ultimo.
-Eccellente,
Sua incommensurabile impostura. Ho patito come non mai. Quasi vorrei privarmi
dei ricordi terreni. E’ possibile?-
-No! Beccati
questo.-
E gli lanciò
il tronchetto del Nyarla.
Lovecraft lo
acchiappò al volo e se lo calcò bene bene nel gozzo.
-HmmmmmmeeeeeeeeeeeeeeooooRRRRGHhhhhhhh!…….-
Pareva un boa
nell’atto d’ingoiare una grossa preda.
-Dai muoviti!-
ruggì Satana.
Nyarlathotep
proprio perché portato all’esistenza dalla credulità umana, riusciva a trarne
energia e a rappresentare meglio di chiunque altro il Male. Forse, addirittura
nella sua massima espressione; coi suoi sublimi e primevi sentimenti di odio,
assolutamente autentici nella loro spontaneità.
Sentimenti che
per il suo avversario, benché mirabilmente concentrati in quella sua
invidiabile e altamente nefasta produzione di merdine sferiche, erano soltanto
il frutto di un artificio, di un faticoso lavorio intellettuale inutilmente
intenzionato a nuocere.
Comunque
Lovecraft, dopo l’ingestione del tronchetto rimase immobile, come finalmente
folgorato da una rivelazione tanto attesa, e Nyarlathotep fece la sua
ricomparsa sulla superficie di roccia vetrificata.
-L’hai
soltanto paralizzato…- commentò il diavolo, tanto per non dargli soddisfazione.
-…No, no, caro mio. Non mi sembra un’anima in preda a insostenibili tormenti.-
Nyarlathotep
sibilò un sorriso.
-Non è più
un’anima, infatti; è un sacco vuoto. Puff! Sparito! Mi sono ripreso il papy.
Forte, no? Così la finisci di chiedergli informazioni sul mio conto.-
Il diavolo
sbuffò un po’ di fumigante livore dalle orecchie.
-E tu chi
cazzo sei per fottermi le anime?-
Nyarlathotep
sibilò un altro sorriso.
-Possono le
puerili fantasie e le paure che ti hanno modellato e confinato in questo luogo,
essere più vaste di quel senso di vuoto e orrore cosmico che mi appartiene?-
-Non lo so,…
Ma questo cosa c’entra,
scusa?- rispose il diavolo.
-Possono i
tuoi malefici estendersi ad altre dimensioni? Tormentare anche gli esseri di
altri mondi?- insistette Nyarlathotep.
-Vabbè, vabbè…
senti…-
-Possono…-
-E falla
finita!! Portati via quella faccia oblunga e non farti più vedere, okay?-
-Okay…-
rispose Nyarlathotep. -… magari più avanti, se fai il bravo, in nome della nostra
vecchia amicizia ti mando la ricetta dei tronchetti.-
Puff! (e sparì
di nuovo).
Così Lovecraft
riuscì a trarre “profitto” da questa sminchionata storia trash, ora avvolto
dalle spire gigantesche e imbattibili dei suoi umanissimi e indicibili orrori,
fuggendo per sempre dall’inferno a quello sconfinato, vacuo ignoto che tutti
temiamo.
Là dove anche
i nostri sogni possono sgretolarsi, riducendosi in finissime antiparticelle.
Racconto di
Fabio Cavagliano (2011)
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