Il piccolo William riaprì gli occhi, voltandosi a destra e manca. Era ancora nel letto, tra sua madre Delia e suo padre Walter. Aveva sonno, ma un rumore l’aveva svegliato. I suoi genitori dormivano ancora; nell’oscurità circostante non poteva controllare se tutto fosse a posto. Sembrava di sì, comunque.
Cercò di non pensarci più. Richiuse gli occhi. L’indomani avrebbe dovuto andare a scuola – frequentava la terza elementare – e non aveva intenzione di addormentarsi nuovamente in classe. La prima e ultima volta che era accaduto, la maestra gli aveva fatto saltare la ricreazione e fatto scrivere la frase Non mi addormenterò più in classe, cinquanta volte, venti alla lavagna e le restanti sul quaderno.
«Non mi addormenterò più in classe», ripeté fra sé.
«Non mi addormenterò più in classe.»
Spalancò gli occhi. Stavolta non l’aveva detto lui. Si guardò intorno; mamma e papà dormivano ancora. Infine il suo sguardo si fermò sulla parete di fronte al letto. Cercò di urlare, ma le corde vocali lo tradirono. Sul muro, proprio lì di fronte, c’era una faccia! Era la sola parte illuminata dalla luce della luna che filtrava attraverso l’unica finestra della stanza.
«Non ti addormenterai più e basta», aggiunse la faccia. Gli occhi erano due oscure cavità e la bocca era una fessura profonda, contornata da denti gialli e storti. Il volto di un verde sporco.
William continuava a fallire nei suoi tentativi di urlare, perciò si mise a piangere. Silenziosamente.
Toccò i suoi genitori per farli svegliare. Senza esito positivo, però.
«Guardami», disse la faccia. Lo osservava dritto negli occhi, con quei suoi buchi neri. «Guardami Willy, sarò l’ultima cosa che vedrai.»
«Mamma! Papà!», riuscì ad urlare il bambino, finalmente.
La madre, alla sua destra saettò seduta sul letto. «Cosa c'è, Willy?», domandò preoccupata. Il padre si mise a sedere più lentamente.
Willy indicò con l’indice paffuto davanti a lui, nella parete dove c’era la faccia. «Guarda lì. Lì!», disse agitato.
Delia non vide nulla.
«Non c’è niente. Dormi, Willy», cercò di rassicurarlo Walter, con la voce impastata dal sonno.
«È lì!», esclamò con voce tremante il bambino, e lo ripeté altre volte.
Walter scostò le coperte, si alzò e accese la luce.
Il muro era perfettamente bianco, non c’era nulla fuori dall’ordinario.
«Non c’è niente», disse Delia, carezzando la guancia di Willy.
Il bambino cominciò a calmarsi. Forse l’aveva sognata, quella faccia.
No, non poteva essere. Non poteva trattarsi semplicemente di un incubo. Riprese a piangere e si mise le mani davanti agli occhi, singhiozzando sommessamente.
«Ehi, ehi... calmati, Willy.» Delia lo abbracciò. Willy continuò a piangere.
«Willy, guardami. Stai calmo. Guardami.» Era Walter. Willy sollevò il capo e si voltò, con occhi arrossati e bagnati dalle lacrime il padre.
Con assurda e terribile sorpresa s’accorse che la faccia, la faccia del muro,proprio quella... suo padre aveva quell’orribile faccia verdastra. «Mamma! Hai visto?!», esclamò, esasperato. Si voltò e… la faccia! Anche Delia aveva la faccia verde. Sogghignava, mettendo in mostra i denti gialli e irregolari.
L’urlo di Willy fu disumano. Raccapricciante.
Come fu raccapricciante la scena che si trovò davanti il detective Davis, qualche notte dopo. A quell’ora della notte il tutto sembrò anche più atroce.
Il resto della sua squadra sarebbe stata lì a momenti, e in casa non c’era nessuno oltre lui.
Perciò – prima di voltarsi – si chiese chi avesse detto «Guardami», alle sue spalle.
Il piccolo William riaprì gli occhi, voltandosi a destra e manca. Era ancora nel letto, tra sua madre Delia e suo padre Walter. Aveva sonno, ma un rumore l’aveva svegliato. I suoi genitori dormivano ancora; nell’oscurità circostante non poteva controllare se tutto fosse a posto. Sembrava di sì, comunque.
Cercò di non pensarci più. Richiuse gli occhi. L’indomani avrebbe dovuto andare a scuola – frequentava la terza elementare – e non aveva intenzione di addormentarsi nuovamente in classe. La prima e ultima volta che era accaduto, la maestra gli aveva fatto saltare la ricreazione e fatto scrivere la frase Non mi addormenterò più in classe, cinquanta volte, venti alla lavagna e le restanti sul quaderno.
«Non mi addormenterò più in classe», ripeté fra sé.
«Non mi addormenterò più in classe.»
Spalancò gli occhi. Stavolta non l’aveva detto lui. Si guardò intorno; mamma e papà dormivano ancora. Infine il suo sguardo si fermò sulla parete di fronte al letto. Cercò di urlare, ma le corde vocali lo tradirono. Sul muro, proprio lì di fronte, c’era una faccia! Era la sola parte illuminata dalla luce della luna che filtrava attraverso l’unica finestra della stanza.
«Non ti addormenterai più e basta», aggiunse la faccia. Gli occhi erano due oscure cavità e la bocca era una fessura profonda, contornata da denti gialli e storti. Il volto di un verde sporco.
William continuava a fallire nei suoi tentativi di urlare, perciò si mise a piangere. Silenziosamente.
Toccò i suoi genitori per farli svegliare. Senza esito positivo, però.
«Guardami», disse la faccia. Lo osservava dritto negli occhi, con quei suoi buchi neri. «Guardami Willy, sarò l’ultima cosa che vedrai.»
«Mamma! Papà!», riuscì ad urlare il bambino, finalmente.
La madre, alla sua destra saettò seduta sul letto. «Cosa c'è, Willy?», domandò preoccupata. Il padre si mise a sedere più lentamente.
Willy indicò con l’indice paffuto davanti a lui, nella parete dove c’era la faccia. «Guarda lì. Lì!», disse agitato.
Delia non vide nulla.
«Non c’è niente. Dormi, Willy», cercò di rassicurarlo Walter, con la voce impastata dal sonno.
«È lì!», esclamò con voce tremante il bambino, e lo ripeté altre volte.
Walter scostò le coperte, si alzò e accese la luce.
Il muro era perfettamente bianco, non c’era nulla fuori dall’ordinario.
«Non c’è niente», disse Delia, carezzando la guancia di Willy.
Il bambino cominciò a calmarsi. Forse l’aveva sognata, quella faccia.
No, non poteva essere. Non poteva trattarsi semplicemente di un incubo. Riprese a piangere e si mise le mani davanti agli occhi, singhiozzando sommessamente.
«Ehi, ehi... calmati, Willy.» Delia lo abbracciò. Willy continuò a piangere.
«Willy, guardami. Stai calmo. Guardami.» Era Walter. Willy sollevò il capo e si voltò, con occhi arrossati e bagnati dalle lacrime il padre.
Con assurda e terribile sorpresa s’accorse che la faccia, la faccia del muro,proprio quella... suo padre aveva quell’orribile faccia verdastra. «Mamma! Hai visto?!», esclamò, esasperato. Si voltò e… la faccia! Anche Delia aveva la faccia verde. Sogghignava, mettendo in mostra i denti gialli e irregolari.
L’urlo di Willy fu disumano. Raccapricciante.
Come fu raccapricciante la scena che si trovò davanti il detective Davis, qualche notte dopo. A quell’ora della notte il tutto sembrò anche più atroce.
Il resto della sua squadra sarebbe stata lì a momenti, e in casa non c’era nessuno oltre lui.
Perciò – prima di voltarsi – si chiese chi avesse detto «Guardami», alle sue spalle.
Nella sua essenzialità e classicità nonché brevità (taratttatà mi sembra di aver messo troppe assonanze, ma pazienza) credo che sia uno dei migliori racconti horror che ho letto ultimamente nel web, per il suo miscuglio di non detto e di splatter, per la costruzione del climax, per il finale sapiente.
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