EROS E PSICHE
«L’Isola del Te e il Palazzo delle Immagini in Azione sono stati ideati e costruiti per mantenere viva l’immaginazione nel cuore e nell’anima delle persone.»
Ermes e Giulia stavano cenando nell’ampia Sala dei Gatti, mangiando ravioli al brasato e sorseggiando dell’ottimo lambrusco dei colli piacentini.
Il giovane incantatore conversava con la ragazza scampata alla tigre bianca sull’anima del luogo che li compenetrava.
«Usai l’ingente eredità economica che il Fato mi ha donato per bonificare le paludi attorno all’Isola e per edificarvi questa residenza dell’Immaginazione rinascimentale, dedicata alla Virtus ellenica/magicorinascimentale e romantica.
L’Isola l’ho chiamata “Te” per due motivi: la pianta del complesso s’ispira al Palazzo Te di Mantova, fondato da Giulio Romano per Federico II di Gonzaga e poi per una curiosa analogia; la parola “Te” rappresentava per gli antichi taoisti cinesi la stessa spontanea energia che mette in sintonia con la natura indicata dall’immagine “festina lente” di Virtus.
Quattro padiglioni sono state realizzati e altri ancora seguiranno, dedicati ai concetti, ai paradossi e agli enigmi della fisica contemporanea; la teoria della relatività, la meccanica quantistica e le stupefacenti dinamiche del mondo submicroscopico sono connesse in modo analogico all'anima del Rinascimento.
In questa Reggia dell'Anima si avanza nel futuro guardando indietro.
Vedi, Giulia, oggigiorno l’Immaginazione creatrice delle persone è quasi morta, uccisa dalla tecnica e dal consumismo, e che fanno di solito le persone quando la loro immaginazione si è esaurita e langue moribonda?
S’innamorano, cara mia, s’affascinano di qualcuno o di qualche idea allo scopo di risvegliare le loro vite spente con l’immaginazione.
E non sanno mai del tutto chi sia veramente quell’altra persona che li attrae, e per questo spesso si mettono in pericolo e si ficcano nei guai, - per questo si dice che l’Amore è cieco - perché l’importante è mettersi al servizio di due possenti divinità, Afrodite/Venere ed Eros/Amore, in modo di riconquistare quell’immaginazione vitale.
Dopo un buon caffè, Giulia, visiteremo il padiglione di Eros e di Psiche, dove le Immagini in Azione ci racconteranno una storia che si narra da millenni…»
Mentre Ermes stava parlando, Giulia si era alzata da tavola e si era seduta accanto all’addomesticatore e i due ragazzi si erano baciati contemporaneamente, in preda a una potente Forza invisibile.
«Ermes, ti voglio bene, con te non ho più paura. Non avevo mai provato l’energia di questo sentimento.
Prima di conoscerti ero io a desiderare o era qualcun altro a desiderarmi.
Ora siamo stati attirati insieme l’uno verso l’altra da un Desiderio che va oltre “me” e “te”.»
«Anch’io ti voglio bene, Giulia, ma dovrai imparare a non aver paura anche senza di me. Tra un mese partirò per un lungo viaggio e ti affiderò la custodia dell’Isola del Te e del Palazzo delle Immagini in azione.
Eros senza Psiche diventa alla lunga un bruto materialismo fatto solo di possesso e istinto cieco e sordo, e Psiche senza Eros diventa solo cerebralità egotica sterile e senza creatività.
Lascia andare, e anche le tegole dei tetti e i sassi emettono luce; tieni stretto, possiedi, incatena e anche l’oro vero perde il suo colore.
Abbiamo ancora tanto da imparare insieme: andiamo, amore mio.»
Mano nella mano Giulia ed Ermes entrarono nel padiglione di Ermes e Psiche.
I
LA BELLEZZA DI PSICHE
C'erano una volta un re e una regina che avevano tre figlie.
Le due più grandi avevano un aspetto gradevole, ma Psiche, la terza figlia più piccola, invece, era così incredibilmente bella da non poter essere descritta con parole umane. Molti cittadini del Regno, infatti, e molti stranieri, avendo sentito parlare della sua eccezionale bellezza, accorrevano in gran numero soltanto per ammirarla, e a vederla restavano attoniti e le lanciavano baci.
Tutta quest'ammirazione, però, dette molto fastidio a Venere: Lei era la Dea della Bellezza e dell’Amore, e pertanto qualsiasi altra pretendente al titolo, per di più di razza mortale, cioè inferiore, andava eliminata immediatamente.
- Afrodite/Venere -
(il Palazzo delle Immagini in Azione è a Lei dedicato,
mentre suo Figlio ne è il motore di ricerca)
II
L’INVIDIA DELLA DEA VENERE E LA MISSIONE DI EROS
Detto fatto, convocò immediatamente suo figlio Eros e gli disse:
— Eros figlio mio: c'è una stupida mortale che va dicendo in giro di essere più bella di me, che sono la Dea dell’Amore e della Bellezza! Si chiama Psiche.
— Impossibile, madre: nessuna può reggere il tuo confronto!
— Ma certo Eros, vuoi che non lo sappia! Tu ora, da bravo ragazzo, me la colpisci con una delle tue frecce inesorabili e me la fai innamorare di un mostro orrendo; così un'altra volta impara a fare la smorfiosa!
Il fatto è che la povera Psiche, pur essendo da tutti considerata bellissima, non aveva ancora trovato un fidanzato. Le sorelle si erano felicemente accasate con due re stranieri (un po' anzianotti in verità, ma abbastanza ricchi) e lei niente. I genitori erano alquanto preoccupati.
— Vuoi vedere — dicevano — che tutta questa bellezza, invece di aiutarla, ha finito con lo spaventare i pretendenti e potrebbe aver suscitato l’invidia degli Dei!
III
L’ORACOLO DI APOLLO E IL MATRIMONIO COL MOSTRO
E allora il padre, preoccupato per la grande infelicità della figlia, e sospettando una qualche malevolenza da parte degli Dei, andò lui stesso a Mileto per interrogare l'antichissimo oracolo di Apollo. Ed ecco quel che il Dio gli ordinò:
— Conduci tua figlia, o re, in cima a un altissimo monte, e vestila d'oro e d'argento per un terribile matrimonio. Quindi lasciala da sola: un essere mostruoso passerà a rapirla e sarà il suo sposo.
— O povera me! — urlò piangendo la povera Psiche — avrei preferito essere nata brutta e deforme, piuttosto che andare incontro un così crudele destino!
La volontà degli Dei però andava rispettata, e Psiche, volente o nolente, fu accompagnata in cima a una montagna da un corteo di amici e parenti, tutti vestiti a lutto, e lì lasciata sola in attesa del mostro.
Quand'ecco che a un tratto un lieve vento, un leggero zefiro le mosse il vestito, le gonfiò la gonna e la sollevò dal suolo, ma con grazia, per poi trasportarla lungo i fianchi scoscesi della montagna e, sempre con dolcezza, depositarla a valle sul grembo di un prato coperto di fiori.
IV
LA REGGIA INCANTATA
Psiche, una volta rimessi i piedi a terra, si guardò intorno e vide di fronte a lei una reggia tutta d'oro e d'argento.
“ Questa” pensò “non può essere che una dimora costruita dagli Dei”: troppo belle erano le sue mura, troppo imponenti i suoi portali, troppo alte le sue torri.
E anche l'interno del palazzo era degno di un Dio: fin dall'ingresso, ad esempio, s’intravedeva un susseguirsi di saloni, l'uno più lussuoso dell'altro, soffitti in avorio e legno di cedro, pavimenti in marmo e pietre preziose, pareti d'oro massiccio.
La fanciulla attraversò le diverse sale come un automa: un po' era terrorizzata da quanto le era accaduto, e un po' si sentiva attratta da tutte le ricchezze che la circondavano.
V
LE VOCI MISTERIOSE
Quand'ecco che, all'improvviso, sentì delle voci:
— Benvenuta, o Psiche! Non ti meravigliare delle ricchezze che vedi: tutto quello che ti sta intorno è tuo. Va pure nella tua camera da letto e riposa. Quando infine lo vorrai, ordinaci pure un bagno. Noi, di cui senti solo le voci, saremo le tue fedeli ancelle e ti serviremo con la massima dedizione. Una volta poi che avrai terminato le cure del tuo corpo, ti prepareremo un banchetto squisito.
Superato il primo impatto con la nuova realtà, Psiche cominciò ad abituarsi alla casa. Tutto era splendido, luccicante e in perfetto ordine; e se mai avesse avuto bisogno di qualcosa bastava chiederlo alle Voci, che subito ubbidivano.
Null'altro che questo: il Dio Eros, nel prendere la freccia che avrebbe dovuto far innamorare Psiche del mostro, si era inavvertitamente ferito, e quindi si era innamorato perdutamente di Psiche.
A questo punto, per amarla indisturbato, si era costruito un nido d’amore incantato, in modo che nessuno al mondo (e soprattutto sua madre) lo venisse a sapere.
Nel frattempo, però, Psiche si era lasciata prendere di nuovo dal panico: in tutta la casa non aveva trovato una sola lampada, 0 una torcia o una candela, che potesse illuminare la sua stanza. Inutilmente ne aveva chiesta una alle Voci.
— Il nostro padrone — avevano risposto le Voci — non ama essere visto. Perciò arriverà solo a notte fonda ed entrerà lieve come una brezza nella tua stanza. Tu preparagli il letto e aspetta con fiducia, e preparati alla prima notte…
— Non vuole che lo veda perché è un mostro orribile! — pensò Psiche e si mise a piangere.
VI
L’AMANTE INVISIBILE
Nel buio più fitto uno strano rumore le giunse alle orecchie. Ella era sola nel suo pudore di vergine e cominciò a tremare. Ed ecco che l'invisibile sposo entrò nel suo letto e la fece sua.
Ebbene, incredibile a dirsi, il mostro non sembrava affatto un mostro; anzi, seppure al buio, al tatto sembrava bellissimo! La sua pelle era vellutata come una pesca, i suoi riccioli morbidi come quelli di un bambino, e le sue labbra tenere e ardenti. Psiche se ne innamorò subito pazzamente, e durante il giorno non vedeva l'ora che giungesse il tramonto per poterlo abbracciare di nuovo. La sua felicità sarebbe stata completa se solo avesse potuto tranquillizzare la famiglia che, a quel punto, di sicuro la credeva morta.
VII
PSICHE VUOLE RIVEDERE LE SORELLE:
EROS LA METTE IN GUARDIA
— Ti scongiuro, o mio adorato amore — diceva al suo invisibile sposo — se solo ti è possibile, conduci qui, a palazzo, le mie sorelle: fa' che possano vedere con i loro stessi occhi fino a che punto sono fortunata! Consentimi di dividere con loro la mia felicità.
Ma Eros la mise in guardia:
Ricordati, o Psiche — le disse — che la felicità non è comunicabile: l'unico modo di conservarla a lungo è quello di non farla mai conoscere a nessuno. Se tu racconterai a qualcuno del nostro amore, lo perderai!
Ma Psiche continuò a insistere.
— Ti prego, amore mio, accontenta questo mio desiderio, morirei cento volte piuttosto che perdere i tuoi dolcissimi amplessi! Chiunque tu sia, lo sai che t'amo. Ma ti prego, tesoro, concedimi quest'ultima grazia: fa' che il tuo fedele Zefiro trasporti qui le mie sorelle, così come fece con me il giorno in cui salii in cima alla montagna.
E per convincerlo lo baciò di più di quanto non facesse di solito, e gli sussurrò paroline dolci, e gli si strinse addosso con tutto il corpo.
A quel punto Eros, vinto da quelle dolci lusinghe, benché a malincuore acconsentì e le promise che avrebbe ordinato a Zefiro di condurre le sorelle al palazzo.
VIII
LA VISITA DELLE SORELLE INVIDIOSE E IL LORO PIANO MALVAGIO
Immaginiamoci la felicità di Psiche quando vide arrivare le sorelle: come promesso, Eros aveva inviato Zefiro in cima alla montagna perché le sollevasse con dolcezza e le depositasse in fondo alla valle.
Una volta al palazzo, Psiche le accompagnò in giro per le sale e regalò loro alcuni bracciali, poi, dimentica della promessa fatta ad Eros, parlò in modo entusiasta del marito. Si scusò di non poterlo presentare, poiché era dovuto uscire per lavoro; a ogni modo, ci tenne a precisare, il suo bel maritino tornava a casa tutte le notti, magari solo per poche ore, ma sempre appassionato e affettuoso.
All'inizio le sorelle si commossero anche loro, poi l'invidia prese il sopravvento e cominciarono a imprecare.
- Cieca, crudele e ingiusta Fortuna, come hai potuto volere che tre sorelle, nate dagli stessi genitori, avessero una sorte così diversa l'una dall'altra?
A noi, che pur siamo le maggiori, hai destinato due mariti stranieri che ci trattano come schiave, mentre a lei, l'ultima della famiglia, tutte le ricchezze e forse anche un Dio per marito!
Ma quel che più preoccupava le sorelle non era tanto l'evidente felicità di Psiche, quanto la possibilità che un domani potesse avere come figlio un Dio, se non diventare una Dea lei stessa.
Psiche, infatti, in un momento di debolezza, aveva confidato loro che era in attesa di un bambino e che si aspettava grandi cose dal nascituro.
— Una che ha come serve delle voci — diceva la maggiore — una che comanda ai venti, è chiaro che punta molto in alto e che prima o poi finirà col diventare una divinità. E io invece, infelice, che ho per marito uno più vecchio di mio padre, pelato come una zucca, brutto e avaro al punto da tenere tutta la roba di casa sotto chiave.
L'altra le faceva eco:
— E allora cosa dovrei dire io che sono costretta a sopportare un marito storpio che non è in grado nemmeno di soddisfare le mie voglie! Sono sempre lì a fargli massaggi, a sfregargli le membra deformi e a preparargli impiastri puzzolenti: queste non sono premure di mogli ma fatiche di schiave! E lei invece? Tesori da ogni parte che non sa nemmeno dove metterli e un marito, a detta sua, giovane e bello!
Ma ti sei resa conto con quanta superbia ci ha trattato?
E con quale arroganza? Tutto quell'esibire ricchezze per poi regalarci due cosine da nulla! Senti quel che ti dico: non sono più io se non la butto giù dal piedistallo! Innanzitutto non dobbiamo mostrare a nessuno i regali che ci ha dato, nemmeno ai nostri genitori, e poi non dobbiamo raccontare che è viva e felice. La felicità non esiste, se non c'è qualcuno che la conosce!
Ma Psiche era stata così felice della visita delle sorelle che supplicò ancora una volta Eros perché le facesse tornare.
— Bada — l'avvertì Eros — che loro faranno di tutto per rovinare la tua felicità: ti porranno mille domande, ti chiederanno che tipo sono, ti convinceranno a guardarmi in viso e a quel punto mi perderai. Sappi, o Psiche, che non è possibile guardare in faccia l'amore: appena lo vuoi vedere, anche solo per un attimo lui sparisce per sempre!
Se vorrai guardarmi, non mi vedrai più!
Tutto inutile: Psiche insisté tanto che Amore ordinò di nuovo a Zefiro di recarsi in cima alla rupe.
— Gettatevi giù con fiducia — disse Zefiro alle sorelle e loro prontamente ubbidirono.
Per la seconda volta il fedele vento le portò al palazzo.
Psiche le fece subito accomodare perché si riposassero dalle fatiche del viaggio, poi preparò loro un bel bagno caldo, e infine le rifocillò con pietanze e intingoli prelibati. Quindi comandò alla Cetra di vibrare e la cetra vibrò, al Flauto di suonare e il flauto suonò, al Coro di cantare e il coro cantò. Ma quel
soave canto non fu sufficiente a cancellare, e nemmeno ad attenuare, l'invidia delle sorelle. Le due perfide riuscirono a portare il discorso sul tema che volevano affrontare, e le chiesero come fosse in realtà questo marito, da quale città venisse e da quale famiglia.
Le pressioni furono tali e tante che a un certo punto Psiche non ce la fece più e ammise che lei, in verità, suo marito non lo aveva mai visto, giacché lui arrivava al palazzo solo di notte e nel buio più assoluto. Non l'avesse mai detto: le due megere si misero subito a piangere.
Si schiacciarono ben bene gli occhi per spremere qualche lacrima, dopo di che una delle due rivolse a Psiche queste parole:
— Povera te che non sai nemmeno a quali pericoli vai incontro! Ma per fortuna tua, ci siamo noi qui a difenderti: abbiamo saputo con sicurezza che quell'essere immondo che viene ogni notte nel tuo letto non è un uomo, bensì un orribile drago col collo rigonfio di veleno e con enormi fauci al posto della bocca. Sappi inoltre che ci sono molti contadini della zona e anche alcuni cacciatori che lo hanno visto in faccia. Ebbene costoro hanno detto che è un essere orrendo a vedersi! E non basta: dicono anche che è solito ingrassare le sue vittime con lauti banchetti per poi divorarle non appena hanno raggiunto il giusto peso. Ricordati quello che disse l'oracolo di Apollo:
Psiche dovrà accoppiarsi con un mostro!
Inutilmente Psiche obiettò che almeno al tatto, il suo amore non sembrava per niente un drago.
— Anzi — aggiunse — a me sembra tenerissimo!
Ma a forza d'insistere, le due megere riuscirono a convincerla, e dopo averle dato una spada e una lampada le dissero:
— Questa notte, non appena avrà preso sonno, tu guardalo ben bene in faccia: se è bello, come dici, allora amalo più di prima. Se è un mostro, invece, come diciamo noi, prima che ti possa far male, staccagli la testa con questa spada!
Purtroppo, l'unico difetto di Psiche era la curiosità.
Lei era più che sicura che il suo uomo fosse bellissimo: lo sentiva, lo intuiva... Eppure, come resistere alla voglia di vederlo dal momento che non l'aveva mai visto nemmeno una volta?
Del resto, si disse, che faccio di male se lo vedo per un secondo solo?
IX
E quella notte Psiche, dopo aver combattuto le sensuali e gioiose battaglie di Venere, quando sentì che il respiro dello sposo si era fatto più regolare, accese la lampada e lo guardò estasiata: era molto più bello di quanto lo avesse immaginato! Non appena il cerchio della luce rischiarò il talamo, ecco che vide la belva più dolce di tutte le belve. E ammiro la divina chioma, umida di ambrosia, il collo bianco come il latte e le labbra rosse come la porpora, e le ciocche dei capelli leggiadramente inanellate che gli ricadevano sulle spalle e al cui sfolgorante bagliore impallidiva la fiamma stessa della lanterna. E dietro le sue spalle, fulgide e rugiadose scintillavano due ali bianche le cui piume, seppure immobili, avevano di tanto in tanto leggeri fremiti come se fossero attraversate da improvvisi brividi d'amore.
Vinta da tanta bellezza, Psiche si chinò per dargli un bacio, ma, così facendo, finì per inclinare la lampada che aveva nella mano destra, facendo cadere una goccia d'olio bollente sulla spalla d'Amore.
A quel bruciore il Dio si destò: vide tradita la sua fiducia e senza proferir parola s'innalzò in volo. Ma Psiche riuscì ugualmente ad afferrarsi a una gamba, e così, misera cosa aggrappata al suo amore, lo seguì, sospesa nel vuoto, finché le forze non la lasciarono. A quel punto Eros non la volle abbandonare senza almeno chiarire perché sarebbe sparito per sempre, e volò su un cipresso vicino a lei, dall'alto del quale, commosso, le disse:
— Povera e ingenua Psiche, anch'io ho disubbidito agli ordini di mia madre Venere che ti voleva vedere schiava di un uomo meschino. Forse ho agito con troppa leggerezza, si dà il fatto che mi son ferito da solo e che ho finito per invaghirmi di te. Anche tu, però, hai sbagliato: hai creduto che io fossi un mostro e volevi tagliarmi la testa, proprio quella testa dove, invece, brillano due occhi innamorati di te!
E volò via.
Psiche, prostrata al suolo, lo seguì finché non lo perse di vista.
X
Psiche, distesa a terra, seguì il volo dello sposo finché poté vederlo e, intanto, si sfogava con gemiti e singhiozzi angosciosi; ma quando nel suo rapido volo egli si fu sottratto alla sua vista, perdendosi lontano e alto nel cielo, ella corse alla riva del fiume più vicino e senza indecisioni vi si gettò; ma il buon fiume, devoto al dio che suole accendere d’amore anche le acque e temendo per sé, senza farle alcun male la sollevò su un’onda e la depose sulla riva fiorita.
Per fortuna che Pan, il dio dei campi, se ne stava seduto proprio lì, sulla sponda del fiume, con Eco fra le braccia, la dea dei monti e le insegnava a cantare le melodie più varie, mentre le capre, qua e là, lungo la riva saltando, brucavano l’erba che la corrente lambiva.
Il dio simile a un caprone appena vide Psiche così afflitta e abbattuta, poiché conosceva le sue sventure, la chiamò dolcemente a sé, confortandola con parole gentili:
— Figliola cara — cominciò a dirle — io non sono che un villano e un rozzo pastore, però di esperienza nella vita ne ho fatta tanta. Quindi a giudicare dal tuo passo incerto e vacillante e dal pallore estremo del tuo viso, da quel tuo sospirare continuamente e soprattutto dai tuoi occhi così sfiniti dal pianto, devo concludere che tu soffri disperatamente per amore.
E allora dammi ascolto e non provarci più a gettarti nel fiume, né a cercare la morte in altro modo. Cessa di piangere, scaccia il dolore e la tristezza e cerca d’ingraziarti con le preghiere Eros, il più potente degli dei: giovane, sensibile e sensuale com’è, cerca di propiziartelo con dolci voti.
XI
LA PUNIZIONE DELLE SORELLE INVIDIOSE
Eros, pur perdonando Psiche, o quanto meno rimpiangendola per il suo candore, come prima cosa volle vendicarsi delle sorelle di lei, e dopo aver messo in giro la voce di voler cambiare moglie, le convocò, separatamente, in cima alla montagna, quindi disse a ognuna di loro che avrebbe voluto sposarla e le convinse a lasciarsi cadere nel vuoto. Questa volta, però, non ordinò a Zefiro di sostenerle, e le due sciagurate si sfracellarono al suolo.
XII
LA RICERCA DI PSICHE
Psiche nel frattempo si mise a girare il mondo in lungo e in largo alla ricerca del suo perduto amore: andava nei templi dedicati alla Dea della Bellezza e qui chiedeva ai fedeli:
— Avete visto un ragazzo bellissimo con i riccioli d'oro e le ali d’argento? Si chiama Eros. E’ il figlio di Venere. E’ mio marito e mi ha abbandonata... vi prego aiutatemi!
Ma Eros non poteva sentirla: per il bruciore cagionatogli dalla goccia d'olio bollente (e dalla delusione) si era rinchiuso nella stanza da letto di sua madre e si rifiutava persino di andare in giro a fare innamorare i mortali.
XIII
LA RABBIA DI VENERE
Allora il gabbiano, il candido uccello che vola sull'onda del mare, raggiunse Venere che stava nuotando nel profondo Oceano e le disse:
— Tutti i mortali sparlano di te e della tua famiglia, o Divina!
Dicono che sulla terra non c'è più nessuno che s'innamora, perché tu te ne stai in vacanza, qui nel lontano Oceano, e tuo figlio piange a causa di una sgualdrinella! Non c'è più voluttà nel mondo, né bellezza, né desiderio, e tutto è diventato rozzo, brutto e trascurato! Niente matrimoni, folli amori e dolci amicizie, ma solo un immenso dilagare d'immoralità e di squallidi rapporti brutali!
— E chi è mai questa sgualdrinella che se la fa con mio figlio? — chiese Venere stupita.
— È forse una ninfa? O una Musa?
O una delle Ore? O una delle Grazie?
— In verità non la conosco bene — rispose il gabbiano — so solo che si chiama Psiche.
— Psiche! — urlò allora Venere.
— Ancora lei! Quella sfrontata che voleva usurpare il mio titolo! Questa volta non se la passa liscia!
Per prima cosa, Venere rinchiuse Eros in una cella d'oro, per impedirgli di correre in aiuto di Psiche. Quindi lo accusò di malvagità e lo minacciò che se non avesse smesso, subito, di pensare a quella lì, lei lo avrebbe sostituito con un altro figlio, magari adottivo, al quale avrebbe consegnato anche il suo arco e le sue frecce. Infine emise un bando per catturare la fanciulla:
“ Chiunque porterà Psiche, mani e piedi legati, riceverà in premio da Venere in persona sette dolcissimi baci di cui uno prelibatissimo, con la lingua in bocca.”
Il bando fu affidato a Ermes ed ebbe un enorme successo: tutti i mortali avrebbero voluto catturarla. A riuscirci però non fu un uomo, ma una donna, un'ancella di Venere chiamata Abitudine. Costei, non appena vide una fanciulla bellissima piangere a dirotto, le chiese se per caso si chiamasse Psiche e, avutone conferma, la trascinò per i capelli davanti alla Dea.
XIV
PSICHE DAVANTI A VENERE
— Eccoti finalmente, puttanella — inveì la Dea.
— Ti sei degnata finalmente di venire a conoscere tua suocera. O sei qui solo per vedere tuo marito che soffre a causa delle ustioni che gli hai inflitto?
Poi ordinò alle sue ancelle, Ansia e Depressione, di frustarla a sangue, e quando queste gliela restituirono pesta e piangente, scoppiò in una gran risata.
— È inutile che cerchi di commuovermi con il tuo ventre rigonfio: sappi che non sono affatto felice di diventare nonna, alla mia età, nel fiore degli anni!
Quindi le si avventò contro e le fece a pezzi il vestito, per poi strapparle i capelli e graffiarle il viso.
Ma i guai per Psiche erano appena cominciati. Prima di ucciderla, Venere si volle divertire a torturarla.
— Se vuoi rivedere Eros — le disse — devi affrontare quattro prove: quella dei semi, quella della lana d'oro, quella dell'acqua sacra e quella del vaso della bellezza. Solo superandole tutte e quattro potrai riabbracciare mio figlio, altrimenti sarai punita con la morte!
Alla parola “morte”, un brivido scosse la povera Psiche: la speranza, però, di rivedere Amore le dette la forza necessaria per ascoltare le terribili prove che l’attendevano.
XV
LA PRIMA PROVA: IL MUCCHIO DI SEMI
LA PRIMA PROVA: IL MUCCHIO DI SEMI
— Voglio mettere alla prova la tua abilità — disse Venere.
— Qui per terra c'è un mucchio di semi diversi, tutti mischiati: tu adesso me li separi, chicco per chicco, e poi me li raggruppi in mucchi diversi secondo il tipo di semi. Io adesso debbo andare a una festa, al mio ritorno voglio trovare il lavoro già finito!
Il mucchio era immenso: c'erano semi di grano, d'orzo, di papavero, e poi ceci, fave, lenticchie... insomma c'era di tutto. Psiche, avvilita, non ci provò nemmeno a separare i chicchi l'uno dall'altro. Come riuscirci entro mezzanotte? Forse nemmeno un mese le sarebbe bastato! Sennonché...una formichina, piccina piccina, ebbe pietà di lei e maledisse la crudeltà della suocera. La bestiola corse a perdifiato per i campi e chiamò a raccolta migliaia e migliaia di sue compagne.
— Abbiate pietà, o veloci figlie della madre terra: la sposa del Dio Eros è in pericolo di vita. Correte in suo aiuto!
A queste grida, tutte le figlie del popolo a sei zampe si precipitarono, una dietro l'altra, nel luogo dove si disperava Psiche, e in men che non si dica divisero il cumulo di semi in tanti mucchi separati.
XVI
Quando Venere tornò dalla festa, tutta profumata e ingioiellata (forse anche un po' ubriaca), non credette ai suoi occhi.
— Come hai fatto, maledetta? Qualcuno deve averti aiutato.
Adesso però attenta alla seconda prova, e guai a te se non la superi!
Quindi, dopo averle gettato un pezzo di pane raffermo, aggiunse:
— Vedi quel bosco laggiù, accanto al fiume, con i cespugli che si specchiano nell'acqua? Ebbene, lì pascolano, incustodite, alcune splendide pecorelle dal vello d'oro. Voglio che tu mi vada a prendere un po' della loro lana preziosa!
Psiche stava precipitandosi verso le pecorelle, quando una canna di bambù che cresceva lì accanto la fermò appena in tempo.
— Dove vai fanciulla? — le chiese.
— Vado a prendere un po' di lana da quelle pecorelle.
— Pecorelle!? — esclamò la canna — ma che dici? Quelle sono belve terrificanti che ti dilanierebbero con le loro corna acuminate. Non contaminare, Psiche, con la tua morte infelice le mie sacre acque. Sappi che finché il sole scotterà quelle che tu chiami pecorelle saranno sempre rabbiosamente feroci. Non t'accorgi con quale furore si scagliano contro i cespugli? Aspetta piuttosto che giunga la sera: solo allora, e senza alcun rischio, potrai raccogliere, scuotendo i rami, tutta la lana che vi è rimasta impigliata.
Psiche ubbidì, e anche la seconda prova venne superata. Ma Venere non si dette per vinta: non appena la vide con la lana la coprì d'ingiurie.
XVII
LA TERZA PROVA: L’ACQUA SACRA DELLO STIGE
— Brutta zoccola, credi forse che io non sappia chi ti ha aiutato? Ma adesso voglio mettere alla prova proprio il tuo coraggio: vedi quel monte altissimo con le pareti a picco? Ebbene, in cima a quel monte c'è una tetra sorgente dalla quale sgorgano le acque che poi andranno a ingrossare la palude stigia e il fiume Cocito.
Arrampicati subito su quella vetta, lì dove sgorga la fonte sacra e riempi quest'ampolla di vetro con la sua gelida acqua!
Psiche partì di corsa con la certezza che su quelle pareti avrebbe concluso la sua triste vita: troppo alta e troppo a picco era la rupe per poterla conquistare con le nude mani. Perfino le acque che scendevano giù dalle balze (e che sapevano parlare) le consigliarono di non cimentarsi in un'impresa così disperata.
— Fermati Psiche, che fai? Non t'azzardare ad arrampicarti lassù! Vuoi forse morire?
Ma proprio mentre stava per iniziare la scalata, ecco che un'aquila reale scese giù dal cielo e le strappò di mano l'ampolla di cristallo, per poi riportargliela, cinque minuti dopo, colma di acqua sacra.
XVIII
LA QUARTA PROVA: LA DISCESA AGLI INFERI
Felice, con la sua ampollina, Psiche tornò da Venere. Ma nemmeno la vista dell'acqua sacra riuscì a placare l'animo esacerbato della Dea.
— Ormai mi sono convinta che tu sei una potente maga, Psiche. Ma vediamo, cara mia, se riesci a portare a termine anche la quarta prova. Prendi questo vaso e recati negli Inferi, quindi consegnalo alla Regina Persefone e dille, da parte mia, queste parole:
— Venere ti chiede di mettere in questo vaso un po' della tua bellezza, giacché quella che lei aveva l'ha dovuta consumare tutta per assistere il figlio suo malato. E bada a non fare tardi perché devo truccarmi per andare a teatro.
Scendere negli Inferi?! Questa sì che era un'impresa disperata! E anche volendo, si disse Psiche, come faccio a trovare la strada degl'Inferi? Altra idea non le venne se non quella di suicidarsi. E stava quasi per buttarsi giù di sotto da una rupe, quando una torre improvvisamente cominciò a parlarle:
— Perché vuoi ucciderti, Psiche, gettandoti nel vuoto? Arriveresti sì nel profondo Ade, ma non potresti più farne ritorno. Ascoltami invece: non lontano da qui c'è Sparta, la bella città dell'Acaia. Tu cerca il Tanaro e da quelle parti scoprirai un cunicolo che ti porterà dritta nella reggia di Ade. Ma non andare in quelle tenebre a mani vuote!
Porta con te due focacce mielate e mettiti in bocca due monetine.Poi incontrerai un asinaio zoppo con un asino zoppo che ti chiederà aiuto: tu tira dritto e non ti fermare. Quindi arriverai allo Stige, il fiume dei morti, e vedrai un vecchio sporco e avaro, chiamato Caronte, che non appena ti vedrà salire sulla sua barca ti chiederà il prezzo del traghetto. A quell'orrendo barcaiolo tu darai una delle due monetine. Quando sarai giunta a metà dello Stige, dalle acque limacciose affiorerà un vecchio che ti tenderà la sua putrida mano e ti chiederà di farlo salire sulla barca, ma tu non dargli retta.
Poi incontrerai Cerbero, il cane a tre teste, e a lui getterai una delle due focacce (l'altra, mi raccomando, conservala per il ritorno).
Psiche riuscì a fare tutto per bene: si fece consegnare da Persefone il vaso con la pomata della bellezza, debitamente chiuso, e fece ritorno sulla terra.
Ormai più nulla si frapponeva al ricongiungimento con Eros.
La stessa Venere le aveva detto:
— Solo dopo che avrai superato le quattro prove ti farò rivedere mio figlio.
E lei le prove le aveva superate tutte, dalla prima all'ultima! Purtroppo, però, le fatiche a cui si era sottoposta l'avevano molto sciupata: le sue vesti erano stracciate, il suo volto devastato dai graffi, i suoi capelli tutti sporchi per aver dovuto attraversare i fumi dello Stige.
Sarebbe bastata un pochino dell’unguento profumato di, quello chiusa nel vasetto, per farla tornare più bella di prima. La torre però le aveva detto:
— Non aprire mai, Psiche, per nessuna ragione quel vaso se non vuoi morire!
Il vaso di Persefone, infatti, conteneva un gas venefico che prima faceva addormentare le persone che l'aspiravano, e poi le portava gradualmente alla morte. Venere contava proprio sul veleno per eliminare Psiche.
— Una donna— aveva pensato la Dea — per quanto bella, non resisterà mai alla tentazione di esserlo ancora di più, soprattutto se ad attenderla c'è il suo grande amore!
E difatti Psiche, non appena restò sola, aprì il vaso infernale per poter rubare un pochino di pomata...
Ma nel vaso non c'era nulla, nessuna bellezza, solo un Sonno profondo, davvero degno dello Stige, che s'impadronì subito di Psiche, le si diffuse in tutte le membra e la fece stramazzare al suolo.
XIX
Ancora un attimo e sarebbe morta... quando dal cielo, veloce come il lampo, giunse Eros. Il giovane alato era riuscito a fuggire dalla cella, dove l'aveva imprigionato sua madre.
Eros come prima cosa rinchiuse il Sonno nel vaso, quindi punse Psiche con una delle sue frecce affinché riaprisse gli occhi.
XX
Infine Eros se la portò in cielo da Zeus, il padre degli Dei, e all’istante fu servito un sontuoso banchetto nuziale: lo sposo era seduto al posto d’onore e teneva fra le braccia Psiche, poi veniva Giove con la sua Giunone e quindi, in ordine d’importanza, tutti gli altri dei.
Ed ecco passare di mano in mano la coppa del nettare, il vino degli dei; a Giove veniva servito da Ganimede, il suo coppiere; agli altri ci pensava Bacco. Vulcano faceva da cuoco, le Ore adornavano tutto di rose e d’altri fiori, le Grazie spargevano balsami e le Muse diffondevano intorno le loro soavi armonie. Apollo cominciò a cantare accompagnandosi sulla cetra; Venere, bellissima, entrò al ritmo di una musica dolcissima, ch’ella stessa aveva predisposto e in cui le Muse erano il coro; un Satiro suonava il flauto e un piccolo Pan soffiava nella zampogna.
Così Psiche andò sposa a Eros, secondo giuste nozze ed ebbero una figlia a cui dettero il nome Gioia.
FINE (TEMPORANEA)
Si conclude con questa parte la prima serie di tre "Immagini in Azione" rinascimentali (Il ragazzo incantatore che doma la tigre bianca, Festina Lente ed Eros e Psiche).
Un'altra serie è in preparazione e più avanti il viaggio iniziatico nell'anima nel Rinascimento continuerà...abbiate gioia! Ermes e Giulia ritorneranno...tutto ritorna e l'attuale decadenza prelude e precede una nuova culminazione.
Abbiate energia, amiche e amici, e non vane speranze.
Un'altra serie è in preparazione e più avanti il viaggio iniziatico nell'anima nel Rinascimento continuerà...abbiate gioia! Ermes e Giulia ritorneranno...tutto ritorna e l'attuale decadenza prelude e precede una nuova culminazione.
Abbiate energia, amiche e amici, e non vane speranze.
- GIOIA! -
RispondiEliminaNOTE DELL'AUTORE E CREDITI iconografici e letterari
- La fiaba di Eros e Psiche è notoriamente del mago romano Apuleio, tratta dal suo romanzo "Le metamorfosi", meglio conosciuto come "L'asino d'oro".
Il linguaggio usato per aggiornare la storia è quello delle graphic novels, del cinema e dei fumetti e l'italiano elaborato è quello d'uso corrente e colloquiale.
- Quasi tutte le immagini sono di Giulio Romano e dei suoi aiutanti, tratte dalla Sala di Amore e Psiche situata nel Palazzo Te di Mantova, salvo dove qui indicato:
- STAZIONE I: Venere Callipigia, scultura marmorea di epoca romana databile al I-II secolo conservata nel meraviglioso Museo Archeologico di Napoli;
- STAZIONE IV: Il castello incantato, paesaggio con Psiche fuori dal Palazzo di Eros, di Claude Lorrain;
- STAZIONE IX: Amore e Psiche di Giuseppe Maria Crespi;
- STAZIONE XX: Il banchetto degli Dei, Raffaello Sanzio e aiutanti, Loggia di Psiche situata nella Villa Farnesina di Roma.
Chi vuole conversare con me sul Rinascimento e le sue Immagini in Azione può contattarmi via mail:
zuzzurro.zuzzu@gmail.com