PROLOGO
di 90Peppe90
L’universo.
Uno sconfinato spazio dalle molteplici sfaccettature,
dalle infinite possibilità, dalle numerose sovrapposizioni e mescolanze di
livelli e dimensioni, strutture e sovrastrutture, secondo regole precise e
perfette, la conoscenza delle quali è riservata a pochi e anelata da molti.
Tutto si muove ed esiste in perfetta armonia, seguendo
uno schema ordinato ed esente da errori, tracciando precise scie nello
spazio-tempo e assolvendo – quasi sempre inconsciamente – obiettivi prefissati,
necessari alla stabilità e all’equilibrio, al giusto corso degli eventi.
Eppure, non tutte le componenti dell’universo – unico e
multiplo al tempo stesso – si limitano a procedere come da copione
predeterminato. Non tutti si limitano a seguire le indicazioni e attenersi alle
leggi, allo scopo ultimo della loro creazione. Perché alcuni di questi elementi
sono caratterizzati dall’intelligenza. E, a volte – ma solo a volte –, vanno oltre. Si spingono più in là, riuscendo
a sbirciare o, addirittura, mettere la testa fuori dal sentiero tracciato
davanti a loro dal momento della nascita.
Un comportamento apprezzabile, assolutamente positivo
in taluni casi, l’esatto opposto in altri. Rompere l’ordine, spezzare la
precisione, provare a modificare il percorso. Eliminare l’accezione
“predeterminata” dal significato dell’esistenza.
Capita che questi episodi fuori dagli schemi generino
interessanti modifiche alla Creazione, migliorie che siano di giovamento al
tutto e a tutti. In altre occasioni, invece, la multipla struttura unitaria
dell’universo ne risente negativamente…
Una di queste occasioni sta avendo luogo in un pianeta
ovviamente abitato da forme di vita intelligenti. Una popolazione che ha
chiamato il pianeta “Terra” e si è identificata come “genere umano”.
Una popolazione che si prepara ad assistere, occhi al
cielo e bocca aperta per lo stupore, ad uno spettacolare accadimento prodotto
dall’universo che li accoglie e circonda.
Una popolazione ignara che ogni accadimento sia caratterizzato da un dato obiettivo. Un
compito da svolgere.
Che presto sarà rivelato.
FALCON TEMPO
di Mauro Banfi
-
A Giuseppe Vitale
I – ACQUA CHE CADE SULLE ACQUE
Una
lunga e corpulenta gatta rossa stava osservando dalla finestra della sua amica
umana Lucrezia Donati, nelle pieghe di una giornata umida e ventosa, il suo
eterno fidanzato Piero entrare in un casolare dimenticato del paesino di Vinci,
a pochi chilometri da Firenze.
Dietro la tendina azzurra, la custode
delle visioni non perdeva un movimento del suo sodale a due zampe.
Quanto era cambiato dai tempi dello spolverio delle stelle…
“Mi chiamo Piero Vinci e
comincio a scrivere questo taccuino nel segno della metamorfosi: racconto una
serie di mutazioni che mi hanno reso diverso da quello che ero un tempo, quando
ero sempre identico a me stesso.
Dal giorno di quella prima mutazione – quando la Via Lattea scivolò giù dalla
tendina della notte ed entrò sibilando nella mia anima -, fino al ritrovamento
di questi simboli incisi dal mio avo Leonardo da Vinci sulle tavole di noce di
questa parete,
- osservare il disegno con uno specchio per decifrare
le frasi di Leonardo -
“Dal giorno dello spolverio
delle stelle sono continuamente un altro.
Diventa sempre più difficile per me ricordare che cosa ero come burocrate della Repubblica italiana.
Per approssimazione, direi qualcosa come un grosso e grasso ragno – sempre e ogni giorno immedesimato nella mia funzione -.
Tutto ciò che è banale e ripetitivo aveva intessuto intorno a me una ragnatela sempre più fitta e spessa e quei fili erano diventate le sbarre d’acciaio di una prigione dove io stesso stavo seduto al centro, seduto sulle mie feci; come una abnorme tarantola che è rimasta impigliata nella sua stessa trappola e deve autoavvelenarsi e nutrirsi del suo stesso organismo per non morire di fame.
***
Un giorno il mio collega d’ufficio Michele mi avvisò che quella sera andava in onda una puntata speciale di “Ulisse, il piacere della scoperta”, intitolata “Il volto nascosto” e dedicata al grande Leonardo da Vinci.
La guardai in prima serata estasiato, e vidi il volto del mio antenato nascosto sotto le frasi redatte con la scrittura mancina a specchio nello strabiliante “Codice del Volo”, riprendere la sua fisionomia cinque secoli dopo, grazie alle meraviglie della computer grafica.
Registrai
la trasmissione e poi fissai quel volto nello schermo col fermo immagine: ero
io, sputato e uguale, quell’uomo di mezz’età dalla capigliatura fluente e i
grandi occhi azzurro chiaro.
mi è
sembrato d’aver riconosciuto qualcosa che prima avevo sotto il naso, da quando
sono nato, e non riuscivo a notare.
Premo il pannello quadrato su cui sono sovraincisi i geroglifici “zero serpente – zero più”, e un meccanismo sconosciuto e segreto mi rivela la macchina del tempo inventata dal mio antenato.
Premo il pannello quadrato su cui sono sovraincisi i geroglifici “zero serpente – zero più”, e un meccanismo sconosciuto e segreto mi rivela la macchina del tempo inventata dal mio antenato.
Ora
collegherò nell’ingranaggio laterale le tubature che alimenteranno il Falcon
Tempo al torrente Streda e i vortici si propagheranno, come è scritto nel
taccuino segreto:
-La
direzione prevalente (potente) del movimento in linea retta e il movimento
rotatorio prodotto dall’elemento che si scontra con la sua stessa massa causa
il vortice.
Nella struttura dell’icosidodecaedro vedasi come i centri di violenza in
espansione, scatenati all’esterno nella materia, diventano vortici centripeti
di interiorizzazione -.
Mi preparo a viaggiare nello spazio-tempo.”
I – IL VOLTO NASCOSTO
Diventa sempre più difficile per me ricordare che cosa ero come burocrate della Repubblica italiana.
Per approssimazione, direi qualcosa come un grosso e grasso ragno – sempre e ogni giorno immedesimato nella mia funzione -.
Tutto ciò che è banale e ripetitivo aveva intessuto intorno a me una ragnatela sempre più fitta e spessa e quei fili erano diventate le sbarre d’acciaio di una prigione dove io stesso stavo seduto al centro, seduto sulle mie feci; come una abnorme tarantola che è rimasta impigliata nella sua stessa trappola e deve autoavvelenarsi e nutrirsi del suo stesso organismo per non morire di fame.
***
Un giorno il mio collega d’ufficio Michele mi avvisò che quella sera andava in onda una puntata speciale di “Ulisse, il piacere della scoperta”, intitolata “Il volto nascosto” e dedicata al grande Leonardo da Vinci.
La guardai in prima serata estasiato, e vidi il volto del mio antenato nascosto sotto le frasi redatte con la scrittura mancina a specchio nello strabiliante “Codice del Volo”, riprendere la sua fisionomia cinque secoli dopo, grazie alle meraviglie della computer grafica.
Da quando sono nato, ho cercato di leggere e studiare
le opere di Leonardo, e ho provato anche a penetrare, con l’aiuto di qualche
manuale di divulgazione, gli scritti di Giordano Bruno, Copernico, Galileo
Galilei ed Einstein.
Ma non ho mai capito nulla delle loro teorie e delle loro intuizioni.
La mia è sempre stata solo una somiglianza fisica a fare da involucro a una totale ignoranza.
Io, un anonimo discendente di Pandolfo da Vinci, nato nel 1494, figlio di Piero – il padre di Leonardo – e di Lucrezia da Guglielmo Cortigiani, la quarta moglie del trisavolo sposata da Pandolfo nel 1486, sono sempre stato del corredo genetico grezzo, privo di qualsiasi scintilla della prodigiosa intelligenza leonardesca.
***
Quella stessa fine settimana ero salito da Firenze a Vinci, nella casa ereditata dalla mia famiglia (nel tempo il cognome aveva perso la preposizione “da”, in via Roma (ai tempi di Leonardo si chiamava Piazzetta Guazzesi).
Come sovente amavo fare nei fine settimana, puntai il mio dilettantesco cannocchiale galileiano verso la stellata splendente della Via Lattea.
Come sempre provavo un intenso piacere fisico per quel contatto notturno con l’universo, ma persisteva quel totale distacco dell’incolto che ero.
I miei pensieri torbidi e ciechi non andavano oltre l’irrazionale gusto di sentire gioia per essere lì, in quel momento.
Ma non ho mai capito nulla delle loro teorie e delle loro intuizioni.
La mia è sempre stata solo una somiglianza fisica a fare da involucro a una totale ignoranza.
Io, un anonimo discendente di Pandolfo da Vinci, nato nel 1494, figlio di Piero – il padre di Leonardo – e di Lucrezia da Guglielmo Cortigiani, la quarta moglie del trisavolo sposata da Pandolfo nel 1486, sono sempre stato del corredo genetico grezzo, privo di qualsiasi scintilla della prodigiosa intelligenza leonardesca.
***
Quella stessa fine settimana ero salito da Firenze a Vinci, nella casa ereditata dalla mia famiglia (nel tempo il cognome aveva perso la preposizione “da”, in via Roma (ai tempi di Leonardo si chiamava Piazzetta Guazzesi).
Come sovente amavo fare nei fine settimana, puntai il mio dilettantesco cannocchiale galileiano verso la stellata splendente della Via Lattea.
Come sempre provavo un intenso piacere fisico per quel contatto notturno con l’universo, ma persisteva quel totale distacco dell’incolto che ero.
I miei pensieri torbidi e ciechi non andavano oltre l’irrazionale gusto di sentire gioia per essere lì, in quel momento.
Poi avvenne il prodigio.
Le stelle presero a pulsare e poi scoppiarono come fuochi d’artificio e disseminarono intorno a loro una polvere radiosa che ricoprì ogni cosa.
Il mio corpo diventò luminoso e la mia mente iniziò a concepire ragionamenti vasti e articolati mai avuti prima.
Riflettevo sulla crescente complessità dell’universo.
Man mano che le nostre conoscenze scientifiche sono cresciute, la crescente complessità del Cosmo nella coscienza umana è diventata sempre più coerente e consapevole.
Stiamo imparando ogni giorno un pochino di più che siamo solo una piccola parte di questo continuo flusso d’energia (non creato e senza fine, non nato e mai non morto, al massimo inorganico e non vivo) che chiamiamo Multiverso.
Non siamo il centro del Cosmo: non lo abbiamo ancora assimilato a livello psicofisico (solo cerebralmente), ma è così.
Non siamo una razza eletta, a parte, distinta dagli animali, dai vegetali e dai minerali.
Non lo abbiamo ancora incorporato - questo scomodo sapere – nelle nostre vite quotidiane, ma è così.
Le stelle presero a pulsare e poi scoppiarono come fuochi d’artificio e disseminarono intorno a loro una polvere radiosa che ricoprì ogni cosa.
Il mio corpo diventò luminoso e la mia mente iniziò a concepire ragionamenti vasti e articolati mai avuti prima.
Riflettevo sulla crescente complessità dell’universo.
Man mano che le nostre conoscenze scientifiche sono cresciute, la crescente complessità del Cosmo nella coscienza umana è diventata sempre più coerente e consapevole.
Stiamo imparando ogni giorno un pochino di più che siamo solo una piccola parte di questo continuo flusso d’energia (non creato e senza fine, non nato e mai non morto, al massimo inorganico e non vivo) che chiamiamo Multiverso.
Non siamo il centro del Cosmo: non lo abbiamo ancora assimilato a livello psicofisico (solo cerebralmente), ma è così.
Non siamo una razza eletta, a parte, distinta dagli animali, dai vegetali e dai minerali.
Non lo abbiamo ancora incorporato - questo scomodo sapere – nelle nostre vite quotidiane, ma è così.
Siamo come un figlio unico, mammone e viziato, che
crescendo e sperimentando impara che gli universi non girano intorno a lui come
credeva quando era un fanciullo cresciuto nella bambagia.
Siamo una parte interconnessa della natura: siamo natura integrata alla natura.
Non siamo osservatori esterni, indifferenti, neutrali.
Siamo situati nel Cosmo: il nostro punto di vista è sempre dall’interno del Multiverso, anche quando ci atteggiamo a freddi e distaccati analisti.
Nell’oceano immenso di galassie e di stelle siamo solo un infinitesimo angolo sperduto ma ricoperto dalla stessa polvere di stelle, percorsa dalle stesse particelle e onde luminose che emettono le supernove quando nascono esplodendo.
Ah, Il mio organismo diventò sfolgorante mentre il divino ascende in ogni momento attraverso la materia… o forse la materia è il divino nella sua forma più condensata?”
Siamo una parte interconnessa della natura: siamo natura integrata alla natura.
Non siamo osservatori esterni, indifferenti, neutrali.
Siamo situati nel Cosmo: il nostro punto di vista è sempre dall’interno del Multiverso, anche quando ci atteggiamo a freddi e distaccati analisti.
Nell’oceano immenso di galassie e di stelle siamo solo un infinitesimo angolo sperduto ma ricoperto dalla stessa polvere di stelle, percorsa dalle stesse particelle e onde luminose che emettono le supernove quando nascono esplodendo.
Ah, Il mio organismo diventò sfolgorante mentre il divino ascende in ogni momento attraverso la materia… o forse la materia è il divino nella sua forma più condensata?”
III – IL CODICE CRONO
“Le nostre scelte creano mondi coesistenti e paralleli nel Multiverso”
“Verso la fine della sua vita, quando si trovava nel maniero di Clos –Lucè, ospite del Re di Francia Francesco I, Leonardo riunì i suoi scritti in una serie di trattati.
Questi scritti rappresentavano la summa della sua opera di scienziato, di artista e d’inventore.
Tra queste carte c’erano anche dei taccuini che nel corso dei secoli sono andati perduti.
Alla sua morte avvenuta nel 1519, Leonardo lasciò tutto questo patrimonio culturale in eredità al suo allievo Francesco Melzi, che l’aveva seguito ad Amboise.
Al suo ritorno in Italia, il Melzi portò tutta l’opera integrale di Leonardo nella villa di famiglia a Vaprio d’Adda, custodendola con grande cura, ma i suoi figli alla sua morte si disinteressarono della curatela dello straordinario lascito e lo misero in vendita.
Stipati senza rispetto nella soffitta, disegni e manoscritti, furono acquistati da mercanti e bottegai senza scrupoli; parte furono rubati e svenduti, parte si smarrirono non si sa dove.
Perlomeno un buon cinquanta per cento dei codici di Leonardo è andato perduto, e giace sepolto in qualche archivio o biblioteca, come il famoso disegno di presentazione chiamato il “Nettuno”, un dipinto del genio di Vinci a tutti gli effetti, che c’è giunto per ora solo in forma di schizzo.
In Europa molte antiche biblioteche conservano libri, incunaboli, documenti,
scritti nel corso dei secoli e conservati in chilometri di scaffali.
Tutto questo patrimonio si trova in biblioteche di istituzioni pubbliche, di
monasteri, di antiche famiglie patrizie o di nuove casate di capitalisti
industriali moderni.
Con molta probabilità i taccuini del mio avo si celano in queste foreste di
volumi.
Tempo fa sono stati ritrovati in un’antica biblioteca di Madrid tre codici di
Leonardo, per un totale di trecentocinquanta fogli dedicati a studi di
meccanica, architettura militare, il volo degli uccelli e schizzi vari.
Erano stati catalogati male in origine e nessuno si
era accorto che si trovavano da molto tempo in uno scaffale polveroso e
dimenticato.
Presi due settimane di ferie e mi recai alla Biblioteca Nacional di Madrid, con
l’incarico di principale erede della famiglia Vinci, per indagare sula presenza
di eventuali altri taccuini.
***
Pompeo Leoni, insigne scultore della corte reale di Spagna, giunse a Milano nel
1580 e acquistò dal Melzi sette manoscritti in maniera ufficiale, ma sotto
banco, scorrazzando liberamente per la soffitta della villa di Vaprio d’Adda
fece incetta di altro e copiosissimo materiale leonardiano, portato poi in
Spagna dallo scultore nel 1590.
Si pensa che il Leoni fosse riuscito a collezionare fino a cinquanta
manoscritti e circa duemila fogli sparsi, tra fascicoli sciolti e disegni
singoli.
Alla morte del Leoni gli eredi cominciarono a vendere i codici ai quattro angoli dotti dell’Europa, e il materiale si disperse ovunque.
Ogni tanto qualcosa riemerge dalla polvere e dalle ragnatele: consideriamo che si sono perse le tracce di dodici dei diciotto manoscritti completi elencati da Francesco Melzi nel Codice Urbinate.
Stavo aiutando a catalogare uno degli angoli più dimenticati della Nacional, in uno scantinato sotterraneo umido e tetro, in collaborazione con alcuni studenti della facoltà di filologia di Madrid, quando da una custodia contenente tre volumi in latino delle “Metamorfosi” di Ovidio cadde in terra un involucro.
Rilegato in pergamena con fermaglio di corda e legno, tenevo nelle mie mani un codice mantenutosi fisicamente come al tempo in cui era usato da Leonardo.
Lo nascosi sotto i vestiti, dietro la schiena: l’avrei
studiato da solo e con venerazione in albergo.
Era il ritrovamento che avevo cercato per tutta la mia esistenza.
Era il ritrovamento che avevo cercato per tutta la mia esistenza.
***
Il primo foglio
rappresentava Crono, il dio greco del tempo e sotto stava una sua frase:
“ L'acqua che tocchi de' fiumi è l'ultima di quelle che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.”
“ L'acqua che tocchi de' fiumi è l'ultima di quelle che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.”
Nella pagina seguente, il primo disegno è il
"broncone": un emblema adottato da Lorenzo de Medici e da suo nipote
Lorenzo di Piero, governatore di Firenze nel 1515.
E' pura emozione prendere uno specchio e leggere la
scritta sinistrorsa del poderoso genio del mio avo.
Sopra lo schizzo di un ceppo d'albero che ributta un
virgulto si può leggere:
"Albero tagliato che rimette", e poco sotto
il disegno: "ancora spero".
Il secondo schizzo raffigura un falco ad ali spiegate
che tiene nel becco un serpente.
Prendo lo specchio e leggo
"falcon tempo", vale a dire "fal con tempo", il motto
rinascimentale per eccellenza "festina lente, affrettati lentamente";
usa bene il tempo che ti rimane, persegui la conoscenza, con impegno e
moderazione, che il tempo vola via.
Il grande Leonardo ci ha spiegato il Rinascimento con
due disegni.
La forza dei Medici e l'aquila della conoscenza che sa
impiegare in modo costruttivo e creativo il tempo, simbolizzato dal serpente.
"Ancora spero",
"Fal con tempo".
Girando ancora un altro foglio di questo meraviglioso Codice Crono trovo
un’altra frase indimenticabile:
“O tempo, consumatore delle cose, e, o invidiosa antichità, tu distruggi tutte
le cose, e consumate tutte le cose dai duri denti della vecchiezza, a poco a
poco, con lenta morte. Elena, quando si specchiava, vedendo le vizze grinze del
suo viso fatte per la vecchiezza, piagne, e pensa seco perché fu rapita du’
volte.
L’età che vola discorre nascostamente e inganna altrui, e niuna cosa è più
veloce che gli anni, e chi semina virtù fama raccoglie.”
E infine, nella pagine seguenti, la sfida di Leonardo al tempo: gli studi sulla
struttura dell’ icosidodecaedro, per penetrare negli interstizi dello spazio -
tempo verso il Multiverso; le sperimentazioni sui vortici del torrente Streda e
altri appunti collegati in qualche modo – che ancora non comprendo, nonostante
lo spolverio delle stelle mi abbia risvegliato e aperto gli occhi verso altre
dimensioni – all’impresa (li ritraduco in italiano corrente):
“La vera grandezza umana non usa la violenza in modo irriflesso, materiale e
omicida, ma resiste e rifiuta la volontà di potenza altrui e vi erge contro una
resistenza eterogenea, intangibile, impermeabile, imperturbabile, che si
rivolge in sé, trattenuta e silenziosa, sottratta ad ogni urto e consumazione.
Senza aggressione non c’è consumazione.
Ma la grandezza non è rinuncia ascetica, ma una forza che riconduce nel
soggetto, all’interno dell’individuo, nel suo fulcro interiore.”
E ancora, illuminante:
- le scelte personali non cancellano un universo per sostituirlo violentemente
con un altro, ma generano un altro universo coesistente e parallelo a quello
chiamato dal volgo “reale”-
E
nelle ultime pagine, le indicazioni finali per arrivare al “Falcon Tempo”, la
macchina che può viaggiare nel Multiverso.
Il casolare abbandonato nella campagna intorno a Vinci, nei pressi del torrente Streda; il codice “zero serpente – zero più” per sbloccare la parete segreta e accedere al marchingegno e l’accenno che ulteriori spiegazioni per accendere il Falcon Tempo saranno trovate all’interno della navicella temporale.”
IV – NEL VORTICE DELLO SPAZIO TEMPO
Il casolare abbandonato nella campagna intorno a Vinci, nei pressi del torrente Streda; il codice “zero serpente – zero più” per sbloccare la parete segreta e accedere al marchingegno e l’accenno che ulteriori spiegazioni per accendere il Falcon Tempo saranno trovate all’interno della navicella temporale.”
IV – NEL VORTICE DELLO SPAZIO TEMPO
Lucrezia Donati e la sua gatta rossa
entrarono con passo felpato dentro al casolare, e videro Piero dentro la
strana, geometrica macchina del tempo, armeggiare tra gli ingranaggi.
«Quale altro modo hai inventato per scappare da me e dalle tue responsabilità, eterno Peter Pan?»
Piero e Lucrezia, una di quelle eterne storie di amicizia, sesso e “quasi” amore.
Anni di perpetuo fidanzamento, precario e sempre in divenire, sempre “per ora”.
«Lucrezia, ogni cosa succede nel modo dovuto. Tu sei sempre stata soddisfatta della tua realtà e della tua vita piccolo borghese; io invece ho sempre detestato l’essere identico a quell’impiegatuccio tedioso dell’Ufficio del Catasto.
Inseguendo l’eredità di Leonardo ho trovato la via verso il vero me stesso.
Ricordi la notte dello spolverio delle stelle, di cui ti ho parlato? Quella oscurità irradiata dalle particelle siderali ha trasformato la materia in energia e ha trovato il modo di trasformare quell’energia nel mio nuovo spirito: e ora parto verso il nuovo futuro.
Il Cosmo è progettato per raggiungere un certo punto, e tutto il tempo esiste già da sempre; la crescente complessità dell’universo è stata percepita per un attimo immenso dalla mia mente e le cose, da allora, non possono accadere altro che nel modo in cui sono destinate. E’ tempo di partire.»
« I soliti sofismi del tuo egoismo, narcisista! Possiamo affrontare il futuro insieme quando ci arriveremo, perché devi rischiare la tua vita?»
« Perché devo diventare quello che sono, perché qualcosa deve emergere dal nulla che sono diventato: arrivederci Lucrezia.
Lasciami tentare con questa macchina del tempo.»
« Fottuto stupido, la vera macchina fatta di tempo, le sue parti umane in movimento sono i giorni di gioia, di pace e di amore delle nostre due vite insieme.
Tu le trovi così misere perché non sai convivere con l’attimo presente e con la responsabilità di condividerlo con gli altri.
E lo stesso dramma di noia e insoddisfazione si ripeterà in qualsiasi dimensione parallela finirai, testone!»
« Lasciami essere libero, lasciami provare».
Piero digitò sulla tastiera posta all’interno della navicella il codice “zero/ serpente: zero/più” e l’icosidodecaedro prese a pulsare radiazioni accecanti.
Riparandosi gli occhi con la mano destra, Lucrezia piangeva e urlava in direzione della luce:
«Qualunque cosa accada, ovunque tu vada…io ti aspetterò!»
Proprio nel momento in cui la nave dello spazio-tempo stava per svanire, Amelia, la gatta rossa, saltò dentro un’apertura della macchina.
FINE O CONTINUA?
"Ma immersi in questa natura che ci ha fatto e che ci porta, non siamo esseri senza casa, sospesi fra due mondi, parti solo in parte della natura, con la nostalgia di qualcosa d’altro.
No: siamo a casa.
«Quale altro modo hai inventato per scappare da me e dalle tue responsabilità, eterno Peter Pan?»
Piero e Lucrezia, una di quelle eterne storie di amicizia, sesso e “quasi” amore.
Anni di perpetuo fidanzamento, precario e sempre in divenire, sempre “per ora”.
«Lucrezia, ogni cosa succede nel modo dovuto. Tu sei sempre stata soddisfatta della tua realtà e della tua vita piccolo borghese; io invece ho sempre detestato l’essere identico a quell’impiegatuccio tedioso dell’Ufficio del Catasto.
Inseguendo l’eredità di Leonardo ho trovato la via verso il vero me stesso.
Ricordi la notte dello spolverio delle stelle, di cui ti ho parlato? Quella oscurità irradiata dalle particelle siderali ha trasformato la materia in energia e ha trovato il modo di trasformare quell’energia nel mio nuovo spirito: e ora parto verso il nuovo futuro.
Il Cosmo è progettato per raggiungere un certo punto, e tutto il tempo esiste già da sempre; la crescente complessità dell’universo è stata percepita per un attimo immenso dalla mia mente e le cose, da allora, non possono accadere altro che nel modo in cui sono destinate. E’ tempo di partire.»
« I soliti sofismi del tuo egoismo, narcisista! Possiamo affrontare il futuro insieme quando ci arriveremo, perché devi rischiare la tua vita?»
« Perché devo diventare quello che sono, perché qualcosa deve emergere dal nulla che sono diventato: arrivederci Lucrezia.
Lasciami tentare con questa macchina del tempo.»
« Fottuto stupido, la vera macchina fatta di tempo, le sue parti umane in movimento sono i giorni di gioia, di pace e di amore delle nostre due vite insieme.
Tu le trovi così misere perché non sai convivere con l’attimo presente e con la responsabilità di condividerlo con gli altri.
E lo stesso dramma di noia e insoddisfazione si ripeterà in qualsiasi dimensione parallela finirai, testone!»
« Lasciami essere libero, lasciami provare».
Piero digitò sulla tastiera posta all’interno della navicella il codice “zero/ serpente: zero/più” e l’icosidodecaedro prese a pulsare radiazioni accecanti.
Riparandosi gli occhi con la mano destra, Lucrezia piangeva e urlava in direzione della luce:
«Qualunque cosa accada, ovunque tu vada…io ti aspetterò!»
Proprio nel momento in cui la nave dello spazio-tempo stava per svanire, Amelia, la gatta rossa, saltò dentro un’apertura della macchina.
FINE O CONTINUA?
"Ma immersi in questa natura che ci ha fatto e che ci porta, non siamo esseri senza casa, sospesi fra due mondi, parti solo in parte della natura, con la nostalgia di qualcosa d’altro.
No: siamo a casa.
La natura è la nostra casa
e nella natura siamo a casa.
Questo mondo strano, variopinto e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste e le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da noi: è solo ciò che la nostra naturale curiosità ci mostra della nostra casa.
Della trama di cui siamo fatti noi stessi.
Noi siamo fatti della stessa polvere di stelle di cui sono fatte le cose e sia quando siamo immersi nel dolore sia quando ridiamo e risplende la gioia non facciamo che essere quello che non possiamo che essere: una parte del nostro mondo. Lucrezio lo dice con parole meravigliose:
Questo mondo strano, variopinto e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste e le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da noi: è solo ciò che la nostra naturale curiosità ci mostra della nostra casa.
Della trama di cui siamo fatti noi stessi.
Noi siamo fatti della stessa polvere di stelle di cui sono fatte le cose e sia quando siamo immersi nel dolore sia quando ridiamo e risplende la gioia non facciamo che essere quello che non possiamo che essere: una parte del nostro mondo. Lucrezio lo dice con parole meravigliose:
... siamo tutti nati dal seme celeste;
tutti abbiamo lo stesso padre,
da cui la terra, la madre che ci alimenta,
riceve limpide gocce di pioggia,
e quindi produce il luminoso frumento,
e gli alberi rigogliosi,
e la razza umana,
e le stirpi delle fiere,
offrendo i cibi con cui tutti nutrono i corpi,
per condurre una vita dolce
e generare la prole...
(II, 991-997)
Per natura amiamo e siamo onesti e curiosi. E per
natura vogliamo sapere di più. E continuiamo a
imparare. La nostra conoscenza del mondo continua a crescere.
Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il
nostro desiderio di sapere.
Sono nelle profondità più minute del tessuto dello
spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri,
e nel funzionamento del nostro stesso pensiero.
Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con
l’oceano di quanto non sappiamo,
brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato."
Carlo Rovelli, “Sette brevi lezioni di fisica”.
Carlo Rovelli, “Sette brevi lezioni di fisica”.
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In questa Isola sono accettati commenti critici costruttivi, anche insistiti e dettagliati, ma mai, ripeto mai offese di carattere personale, lesive della dignità umana degli autori.
Chi sbarca su Rayba si regoli di conseguenza. Qua il nichilismo non c'interessa, grazie.