a mio fratello Guido
“E tutto, assolutamente tutto era davanti a lui. Il mondo gli restituì lo sguardo come la gigantesca iride di un occhio ancora più immenso, un occhio che, come il suo, si era appena aperto per contemplare le cose. E Douglas capì che cosa gli era balzato addosso e seppe che non l'avrebbe abbandonato mai più. Sono vivo, pensò. Le dita tremarono, brillanti di sangue, come i brandelli di una misteriosa bandiera ora scoperta e prima sconosciuta, dinanzi alla quale Douglas si domandasse: a che paese appartiene? Quali doveri ho nei suoi confronti? Seguitando a tener fermo Tom, ma senza rendersene conto, si toccò la mano insanguinata con quella libera, come se volesse rovesciarla, sfoderarla, sbucciarla. Poi lasciò andare Tom e alzò la mano al cielo, rimanendo steso sulla schiena; dalla sua testa gli occhi sorvegliavano la scena come due sentinelle alla grata di uno strano castello, e la mano insanguinata era il pennone che sventolava al di là del ponte levatoio.
«Stai bene, Doug?» chiese Tom.
La sua voce pareva venire dal fondo di un pozzo, segreta, lontana.
L'erba sussurrava sotto il suo corpo. Douglas abbassò il braccio, sentendo il solletico dell'erba sulla pelle, e più lontano le dita dei piedi che si flettevano nelle scarpe. Il vento soffiava intorno alle orecchie che parevano diventate due conchiglie. Il mondo scivolava, lucido, davanti al chiarore cristallino dei suoi occhi; e sembravano immagini scintillanti in una sfera di cristallo. I fiori erano soli, chiazze di cielo cadute in mezzo ai boschi. Gli uccelli scattavano come sassi lanciati nel vasto stagno rovesciato del cielo. Il fiato sibilava sui denti, entrando di ghiaccio e uscendo dal fuoco. Gli insetti volavano con chiarezza elettrica. Diecimila capelli gli crescevano di un milionesimo di centimetro sulla testa. Sentì i cuori gemelli battere in ciascun orecchio, un terzo cuore battere in gola, un quarto e un quinto nei polsi, e quello vero in mezzo al petto. Un milione di pori si aprirono sul suo corpo.
Sono vivo sul serio, pensò. Non l'ho mai saputo prima, e se l'ho saputo l'ho dimenticato!
Urlò con quanto fiato aveva in gola, una decina di volte, ma solo nella sua mente. Pensaci, pensaci! Hai dodici anni e te ne accorgi solo adesso. Hai scoperto un prezioso orologio, un raro segnatempo coperto d'oro e garantito una vita, e l'hai trovato sotto un albero mentre facevi la lotta con tuo fratello.”
Dopo aver letto una pagina del genere, non si sa più che cosa aggiungere.
Si vorrebbe evitare al lettore il fastidio di altri commenti critici, probabilmente inopportuni.
Cercherò pertanto di essere minimale: perdonami amico fruitore se non ci riuscirò, se puoi.
Il brano è tratto dal romanzo di Ray Bradbury L’estata incantata (Dandelion Wine), pubblicato nel 1957.
Il protagonista, il giovane Douglas Spaulding, è alle prese con quello che ritengo il problema dei problemi: come diventare adulti?
Nell’immaginaria cittadina di Green Town, nell’Illinois, Bradbury mette in scena e sulla carta la storia che racchiude tutte le storie: il passaggio di un infante/adolescente all’età adulta.
Douglas ha il permesso di dormire nella torre della casa dove abita con la sua famiglia.
Il mattino seguente, quando si sveglia, scopre che quel giorno è il primo giorno d’estate e che ha a disposizione un’intera estate piena di giorni oziosi e festivi.
Sente di tenere il mondo nelle palme delle mani e il mondo viene a trovarlo nella sua anima, e gli mostra la sua Anima.
Poi l’illuminazione: lottando con il fratello Tom, Doug avverte la sensazione di essere vivo.
L’estate di Douglas e Tom sarà un continuo succedersi di riti di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, per approdare a una sorta di rinascita della propria vita: la raccolta dei denti di leone, lavorati e imbottigliati col nonno per farne del vino officinale (Dandelion Wine, per l’appunto), l’acquisto di un nuovo paio di scarpe da ginnastica per correre come lepri durante l’estate, l’idea di tenere un diario in un quaderno.
Bradbury ci racconta con una grazia ineguagliabile la storia delle storie:
l’innocenza dell’infanzia conduce agli sbagli e alla disperazione dell’adolescenza, (nel passaggio verso la maturità, quando l’evolversi della vita incombe sull’anima come un fatale macigno), e alla perdita dell’innocenza s’aggiunge inoltre la privazione dei propri ritmi e spazi vitali da parte di quella razza aliena chiamata “adulti”.
Da questa disperazione si arriverà a un bivio: o tracollo e rovina o liberazione verso una nuova forma di innocenza, la rinascita psicologica e mistica.
Questo stato finale è stato chiamata in mille modi: Fede, Grazia, Illuminazione, Amor Fati, Armonia col flusso del Cosmo o del Tao e via elencando.
Lo chiamo Gioia, perché è gioioso comprendere l’emozione che si cela dietro le migliaia di nominalismi che ci dividono e ci fanno soffrire inutilmente. E Gesù, Lao-Tzu, Blake, Castaneda, Tolkien e Buddha e tanti altri visionari sono tutti miei amici e fratelli.
Di fronte alla storia delle storie tutte le distinzioni cadono in ginocchio, di loro spontanea volontà, venerando.
In principio era il Suono e il suono generò gli Dei e l’Anima del Mondo e il vento cosmico per trasportare i loro semi creativi.
Il soffione del dente di leone, l’infruttescenza del tarassaco o per cercare di essere più poetico, la palla lanosa che contiene i semi deve frantumarsi per disperdersi al vento e permettere la rinascita del Dandelion ovunque, nell’Anima del Mondo.
Grazie Ray Bradbury.
Non riuscirò mai a raccontare quella storia come te, ma cercherò di avvicinarmi alla narrazione della storia delle storie per approssimazioni e compassionevoli avvicinamenti.
La maggior parte dei lettori non avrà pietà dei miei miserevoli conseguimenti (è loro diritto essere spietati, anche se non li capisco se ne fanno un dovere o peggio una missione quotidiana), ma forse qualcuno si sentirà vivo come te, Ray, mi hai fatto sentire vivo.
E allora ne sarà valsa la pena di essere stato soffiato nel mondo.
Per approfondire il testo:
NOTE DEL REDATTORE
Per approfondire il testo:
L'estate incantata e Addio all'estate di Ray Bradbury
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