«Pronto, Mauro, come va?»
«La faccio andare, Rudy, se non vuole andare»
«E allora, hai qualche idea per una gita?»
«Imposta il GPS: Torino, Corso Giovanni Lanza, 57.
Andiamo a vedere la “villa del bambino urlante”, quella del film “Profondo Rosso”di Dario Argento.»
«Ancora Torino, dopo il bioparco, i luoghi di Salgari, i giri di Nietzsche, le stazioni esoteriche, il nuovo Museo Egizio, ancora Torino?»
«Ripeto forte e chiaro: Villa Scott, la “villa del bambino urlante”.
E ho detto tutto, parliamo di pura mitologia.»
« Che forza! Mauro, siamo sotto casa tua sabato alle otto, okey?»
Erika e Rudy suonano il clacson e io e Blu scendiamo in strada. Dietro di loro c’è l’altra macchina di amici.
Per tutti ho preparato una scheda introduttiva alla gita.
«Ma questi sono film degli anni ’70, che cosa c’entrano con “Profondo Rosso?”» dice Erika scorrendo il suo fogli A4.
Faccio un cenno per dire: "a tempo debito".
Faccio un cenno per dire: "a tempo debito".
Ecco la lista che ho preparato per gli amici, adoro introdurre una visita con degli elenchi:
L’uccello dalle piume di cristallo (D. Argento, 1970)
Giornata nera per l’ariete (L. Bazzoni, 1971)
Reazione a catena (M. Bava, 1971)
La corta notte delle bambole di vetro (A. Lado, 1971)
Chi l’ha vista morire? (A. Lado, 1971)
Cosa avete fatto a Solange? (M. Dallamano, 1972)
La dama rossa uccide sette volte (E. Miraglia, 1972)
Non si sevizia un paperino (L. Fulci, 1972)
La morte ha sorriso all’assassino (A. Massaccesi, 1973)
Il profumo della signora in nero (F. Barilli, 1974)
Profondo Rosso (D. Argento, 1975)
La casa dalle finestre che ridono (P. Avati, 1976)
Suspiria (D.Argento, 1977)
Solamente nero (A. Bido, 1978)
Sotto alla lista c’è una citazione dal film “La casa delle finestre che ridono” di Pupi Avati.
“Oggi ho ritratto quella svergognata mentre crepava…”
Filiamo sull’autostrada mentre comincio a rievocare:
«Il thrilling alla Dario Argento, l’horror all’italiana degli anni ’70, un momento magico della creatività italiana.
Allora i produttori investivano fiumi di quattrini negli artisti e nelle opere d’arte, e non c’era il terrore per i flop come adesso.
Tutto culminò con il successo del maestro Dario Argento…»
«Mauro, tu lo chiami maestro,» lo interruppe Rudy «ma io stento a credere che il regista di Profondo Rosso e di Suspiria sia lo stesso di Giallo e di Dracula 3D. Se tu non avessi insistito a farmi vedere Profondo Rosso, non starei guidando alla volta di Torino…»
«E’ giusta la tua osservazione, Rudy, ma va inquadrata storicamente e criticamemente.
Quando apparve sugli schermi italiani "L'uccello dalle piume di cristallo" di Dario Argento, il maestro rovesciò completamente il genere stesso. Trattenendo da Mario Bava (per primo aveva cominciato pochi anni prima a lavorare sull’estetica della paura) il gusto per la "scenografica" bellezza della morte, Argento introdusse geniali concetti visivi, come la soggettiva del serial killer, dando vita ad un virtuale "cordone" ombelicale tra lo spettatore e la vittima stessa, unito ad una ricerca particolare e mai banale, dell'inquadratura, come il "macro", per creare quell'atmosfera sconvolgente e surreale in cui l'assassino si muove ( si pensi al classico particolare ossessivamente argentiano dell'occhio ).
Per non parlare della grande cura data alla ricerca delle locations.
Adesso ci stiamo dirigendo verso la sua location più popolare e geniale.
Ma accanto a tutto questo, la vera rivoluzione introdotta da Argento è a livello contenutistico e concerne il movente che spinge l'assassino a compiere i suoi rituali di morte: il TRAUMA. Alla base dei thriller argentiani, c'è sempre un trauma, per lo più legato all'infanzia nel momento in cui l'innocenza e la purezza di un essere umano è talmente sensibile da non riuscire a scindere il bene e il male.
Ora, all’inizio della carriera il maestro cercava d’innestare il suo genio visionario in sceneggiature prive di salti logici, o perlomeno il più verosimili possibili.
Progressivamente è diventato barocco e gli effetti hanno scalzato i nessi causa/effetto di uno storytelling ordinato e ben concatenato…
Dopo “L’Esorcista” (e l’ondata di film horror e thriller americani), un film che è una perfetta macchina narrativa, precisa come un orologio, certe leggerezze narrative che Argento si prenderà sempre più spesso nel proseguo della carriera saranno avvertite con maggior fastidio dagli spettatori.
Ma non dimentichiamo mai che il maestro Dario è uno dei pochi registi ammirato da artisti del calibro di Polanski, De Palma, Romero, Raimi e sopra tutti il grande John Carpenter…»
Alla lunga il volume della radio venne alzato.
Al primo autogrill la mia commemorazione storica viene sfilata via come un costume medievale per un caffè e un cornetto.
I ragazzi vogliono vedere la “villa del bambino urlante”.
Al cospetto di un mito così possente sono solo un misero ciarlatano e ho solo un merito: aver fornito un certo indirizzo al TomTom.
Usciti dal casello di Torino, riprendo a parlare (per fortuna so rendermi conto dell’esasperazione del mio entusiasmo e so tacere, all’occorrenza):
«E ora, dobbiamo andare in zona Borgo Po e risalire la collina che porta al monte dei Cappuccini.
Avvisteremo cinque ville prima di arrivare a villa Scott, costruita dall’ingegner Pietro Fenoglio nel 1902. Imposta per Villa Regina, capitano Rudy».
La prima villa che incontriamo è quindi Villa della Regina (una residenza storica dei Savoia), lungo la Strada Comunale Santa Margherita, a Torino.
Proseguendo ci ritroviamo sulla strada comunale Valpiana dove incrociamo una seconda e una terza villa.
Il viaggio continua poi sulla Strada alla Villa d'Agliè, dove ammiriamo Villa D'Agliè, quindi un'altra villa meno nota anticamente appartenuta ai Savoia.
Stiamo facendo lo stesso percorso che fa Mark, il protagonista del film, quando sta cercando la Villa.
Dopo una breve salita, siamo davanti al cancello e intravediamo la sinuosa scalinata che porta all’ingresso della Villa Scott, in puro stile liberty.
Siamo tutti in trance.
«Parla Mauro, dì qualcosa…» mi chiedono gli amici.
«Mark apre il cancello che cigola.
Nel silenzio che avvolge questo luogo disabitato da anni, i suoi passi risuonano sulla ghiaia del parco e sugli scalini di pietra, mescolandosi a poco a poco con la musica dei Goblin che inizia in sordina, per poi invadere, ossessiva, l’atmosfera.
Mark penetra all’interno della villa, immersa nella penombra.
Irrompe in un mistero più grande di lui, s’incunea in una grande storia.
Per creare una storia universale come “Profondo Rosso” occorrono una vita, un male, un luogo. Il luogo deve essere circoscritto, con confini precisi; più che un luogo, una porzione chiusa di luogo, preferibilmente una casa, una Villa maledetta come questa di Alfonso Scott.
La musica incalza, assillante. Mark gratta via l’intonaco da un muro e riporta alla luce un raccapricciante disegno che raffigura un bambino che impugna un coltello e un uomo con il petto squarciato e inondato di sangue.
Il male esiste ed è intollerabile; dove l’intollerabilità, badate, dev’essere destinata a non diminuire nel tempo, ma, al contrario, a incrudelire nel climax ottenuto con un suspense opprimente. Profondo Rosso ne è l'emblema araldico.
Ecco il balcone! Da lì Mark prende a martellate la finestra murata, scivola a pian terreno.
E poi risale verso la stanza segreta, la sfonda e vede la terribile, orribile verità.
La verità è che abbiamo solo l’arte per riuscire a sopportare quello che nascondiamo a noi stessi.
La paura di vivere, la paura di diventare quello che siamo davvero.
Abbiamo paura della nostra sconcertante diversità e allora cominciamo a uccidere, per sentirci uguali agli altri.
Qual è la nostra stanza segreta, amici? Quanto sappiamo davvero di noi stessi?»
Dedicato al maestro Dario Argento e alla grande stagione del thriller alla Argento e dell’horror all’italiana.
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