16/10/15

MIRDIN(3): NELLA TERRA DI NESSUNO

                      
                                                              
“Lo spaziotempo di Einstein è un solido atemporale che contiene simultaneamente ogni istante per l’eternità…compresa la nostra vita.
La MORTE, quindi, è un’illusione prospettica della terza dimensone.
Non preoccupatevi.”
Alan Moore, “Promethea, numero 32”

                  Nella terra di nessuno



“Prolungandosi l’assedio di Alesia, e già cominciando a mancare il frumento, Vercingetorige cacciò fuori dalle mura gli anziani, le donne e i bambini. sperando, ma invano, che sarebbe accaduta una di queste due cose: o che tale moltitudine di bisognosi sarebbe stata salvata dai Romani o che i suoi soldati (se Cesare avesse lasciati andare liberi quei disperati nelle foreste dietro le fortificazioni del suo accampamento) avrebbero potuto sfamarsi meglio.
Ma neppure lo stesso Cesare abbondava di grano e così decise di rimandare indietro a bastonate tutta quella povera gente; e così avvenne che queste persone, non essendo accolti e soccorsi né dalla propria gente e né dai Romani, morirono orribilmente nella terra di nessuno tra Alesia e le fortificazioni romane.”


Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XL, 40, 2-4.   
         

    
        

«E ora, bardo Corentin, devi narrare, per introdurre la terza puntata di “Mirdin”, gli avvenimenti della battaglia di Alesia»
«E no, Mauro, non ho nessuna voglia di ricordare quelle atrocità per le tue brame da scribacchino, e no!»
«Attento, Corentin, ti faccio svanire all’istante e ti sostituisco con un altro personaggio, eh?»
«Voi autori siete sempre dei prepotenti, ma ricordatevi che esiste un Autore più potente di voi e che un giorno toccherà a voi sparire.
Guarda, lo faccio solo perché mi piace ricordare la dolce Roisin…e allora…in breve, Giulio Cesare, con la sua velocità di decisione e la macchina efficiente e letale delle sue legioni, intrappolò Vercingetorix e la sua armata dentro le mura di Alesia, la città dei Mandubi e cominciò a prenderli per fame.

Si racconta che, passato un mese dall’inizio dell’assedio di Cesare, era stato consumato tutto il frumento ed erano stati uccisi e divorati tutti gli animali di Alesia, e allora Vercingetorix riunì un consiglio per valutare la situazione ed il da farsi. 
Al termine di questa riunione, Vercingetorige e l'intero Consiglio stabilirono che tutti quelli che per età o salute non erano adatti alla guerra, uscissero dalla città
Decisero, pertanto, di costringere le donne, i bambini e i vecchi ad uscire dalla cittadella fortificata nella speranza non solo di risparmiare cibo per i loro soldati, ma che Cesare potesse accoglierli nelle sue fortificazioni, per poi lasciarli andare liberi. 
Per nulla impietosito il proconsole ordinò ai suoi legionari di respingerli dai bastioni a colpi di mazza, i bastoni massicci usati per spezzare le gambe ai crocefissi.
Ognuno dei due capi militari cercava lo svantaggio dell’avversario cercando il proprio vantaggio, a qualunque costo.
Questa è la guerra.
I disperati tornarono verso le mura di Alesia ma nessuno dei soldati celti aprì loro le porte della cittadina sul colle.
Tra loro c’era Roisin, che aveva litigato con il marito Vercingetorix e aveva preferito andarsene con i profughi, piuttosto di restare con dei vigliacchi come lui e i suoi guerrieri.
Qualche anziano e qualche bambino cominciò a morire di fame e di sete tra le mura della città di Alesia e le linee fortificate romane, nella "terra di nessuno". 
Roisin gridava insulti irriferibili in direzione di Vercingetorix e i soldati sugli spalti di Alesia.
     

Mirdin e Lexy invece piangevano nel profondo del nemeton.
«Non c’è tempo da perdere, Lexy, vieni, andiamo alla trottola!»
Mirdin aprì una vecchia porta di legno di quercia e poi, seguito da Lexy, salì una scala a chiocciola che li portò su un balconcino di pietra.
Lexy guardò di sotto, dove le indicava Mirdin e vide un altro cristallo spaziotemporale incredibile!

               


                                                                                    
              
Si trattava di un’enorme trottola che ruotava a velocità pazzesca.
«Ora Lexy mi getterò in quel vortice spaziotemporale che aprirà, con la mia forza mentale e spirituale, un varco ad Alesia.
Posso prendere con me solo una persona nel viaggio spaziotemporale e salverò quell’incosciente di tua mamma, la persona dal cuore più grande che abbia mai conosciuto.
Tu dovrai aiutarmi, bimba mia.»
«Sono pronta, Mirdin».
«Dovrai continuare a cantare quella canzone che ti ho insegnato per il tuo diciottesimo compleanno, la ricordi? Bene.
Ora devo concentrarmi in modo assoluto, cara mia, ti chiedo di fare il più totale silenzio.
Come vedi, alla massima velocità di rotazione, la circonferenza della trottola appare immobile come quella di un cerchio fermo, vale a dire ogni punto sulla circonferenza della trottola coincide con un punto fisso di una circonferenza in quiete.
Io dovrò lanciarmi esattamente nel mezzo della rotazione, lì dove ogni successione circolare viene annullata e in ogni punto le mie particelle corporee si diffonderanno in tutti i punti dello spaziotempo; in quel particolare momento del tempo vengono racchiusi infiniti momenti.
Quel centro in rotazione racchiude l’eternità, Lexy.
Quell’istante di tempo può dilatarsi fino a essere la compresenza simultanea di un numero infiniti d’istanti e così mi aprirò un varco fino ad Alesia.
Ma se sbaglio a infilare quel cunicolo spaziotemporale, le mie particelle verranno frammentate e sparpagliate in migliaia di dimensioni e non ci sarò più.
Ora vado Lexy, non aver paura. Roisin m’aspetta.
Ricordati, appena scomparirò nella trottola comincia a cantare».
                                    


Mirdin salì in piedi sul balconcino e s’immobilizzò tenendo il braccio destro sul fianco e quello sinistro, che stringeva il bastone della magia verde, teso in avanti.
Grosse gocce di sudore cominciarono a imperlargli la fronte a testimonianza dello sforzo al quale stava sottoponendo la sua volontà:
«Onnipotente Lugh, Signore della magia verde, accetta la mia preghiera…e tu Brigit, figlia di Daghdna, possente triplice Dea Bianca, Signora della notte, illumina il tuo servo e anche tu…onnipotente e oscuro Donn, Signore del Tempo e del Senza Tempo sorreggimi nella prova!»
Proferite queste formule sacre, dalle labbra di Mirdin prese ad uscire una misteriosa materia biancastra che, dopo essere rimasta sospesa nell’aria come una normale nuvola di fumo, cominciò lentamente ad assumere una forma indefinita per poi compattarsi qualche istante dopo in una lancia affusolata.
In un lampo l’asta svanì nel centro della trottola.
Lexy cominciò a cantare.


Ale
sia 52 a.C.
La scena era straziante.
Un cumulo di donne e anziani e bambini spirati contro le mura di Alesia, come animali strangolati e buttati in un forno a cuocere.
Mirdin tirò un sospiro di sollievo notando che Roisin e una bambina di tre anni, che cullava teneramente cantando, erano le uniche sopravvissute tra quei freddi corpi inerti.
Stava per andare a prendere Roisin ma si arrestò.
Si stava rendendo conto che non avrebbe potuto prendere con loro anche la bimba e dentro di lui montò una rabbia sorda.
Fu allora che da lontano lo vide.                         
Giulio Cesare, l’invasore, l’ambizioso spietato proconsole genio della guerra.



Preso dall’ira andò verso i bastioni romani e ben presto fu bersagliato dalle frecce e dalle corte lance romane.
Le armi attraversavano il suo corpo sottile immateriale.
Si portò a pochi metri dal condottiero romano e notò che aveva sguainato la spada senza alcun timore per il suo prodigio.
Si fermò a pochi metri e cominciò a urlargli:
«Giulio Cesare! Assassino!
Il romano è come un serpente che si mangia la coda per vivere.
E la coda diventa sempre più corta. Le nostre usanze sono diverse dalle vostre.
Noi non viviamo bene nelle vostre città, che sembrano un'infinità di nere verruche sulla faccia della terra. La vista delle città dei Romani fa male agli occhi dell'uomo celta, come la luce del sole che colpisce gli occhi di chi emerge da una grotta buia.
Nelle città dei Romani ci si sforza sempre di superare in velocità una valanga.
Il rumore sembra perforare le orecchie.
Ma che senso ha vivere se non si riesce a sentire il verso solitario del tordo o il gracidare delle rane di notte intorno ad uno stagno?
Ma io sono un Druido, un mago verde e non capisco.
Io preferisco il vento che dardeggia sulla superficie di uno stagno e il profumo del vento stesso, purificato da uno scroscio di pioggia a mezzogiorno.
L'aria è preziosa per noi celti, perché tutte le cose condividono lo stesso respiro; gli animali, gli alberi, e l'uomo, partecipano tutti dello stesso respiro.
Il romano non si preoccupa dell'aria fetida che respira.
Come un uomo malato che ormai soffre da molti giorni, è insensibile al tanfo.
Tutte le cose sono collegate. Tutto ciò che accade alla terra accade ai figli e alle figlie della terra. L'uomo non ha intrecciato il tessuto della vita; ne è solamente un filo.
Tutto ciò che egli fa al tessuto, lo fa a se stesso.
Tutto il male che hai fatto, Cesare, ti ritornerà indietro e ti seguirà, passo dopo passo, come se conoscesse già da secoli la strada.»

Detto questo in perfetto latino se ne andò.
Giulio Cesare rincuorava i suoi legionari sbalorditi, dicendo loro che si trattava solo di un inoffensivo sortilegio dei Druidi.
Ad ampie falcate Mirdin si avvicinò a Roisin e preparò la sua pezzuola di lino imbevuta di canfora e oppio.
«Mirdin! Salvaci…»
Roisin non riuscì a terminare la frase perché venne subito narcotizzata dal mago, che delicatamente pose sotto le sue narici la pezza.
La bimba che stava dolcemente cullando, figlia di sua sorella e ormai agonizzante, sembrava dormire.
Mirdin, estrasse dalla tasca un veleno che dà una dolce morte senza dolore e lo somministrò alla sventurata, mentre piangeva e cantava la canzone che stava cantando anche Lexy.
Poi, sugli spalti di Alesia vide Vercingetorix.


                         

Appariva distrutto moralmente e fissava i morti sotto le mura con uno sguardo senza vita.
E mentre la bambina veniva presa nella culla del cielo dalla Dea Bianca, la triplice misericordiosa, Mirdin si scagliò contro quello che restava di quel comandante:

«Vercingetorix, sei un codardo!
Nemmeno i Romani si sarebbero macchiati la coscienza dei tuoi crimini!
Un soldato romano non lo avrebbe mai fatto contro i suoi concittadini, se non altro per l’ignominia che avrebbe accompagnato per sempre la sua vita.
Un capo deve essere al servizio dell’ultimo dei suoi cittadini!
Dovevate morire fino all’ultimo uomo per difendere gli anziani, le donne e i bambini e invece siete dei codardi!
Tu sei già morto in vita, Vercingetorix, consegnati a Cesare, sei il suo schiavo ormai.»
Dopo aver urlato queste parole, Mirdin prese nelle braccia il corpo sedato di Roisin, infilò il varco spaziotemporale e ritorno da Lexy, al nemeton.



                                   

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