un racconto breve di MASSIMO BIANCO
Nella
sede centrale londinese della Other World S.p.A., colosso con interessi nella
chimica, nei prodotti alimentari e nelle materie plastiche e con filiali sparse
tra Europa e terzo mondo, era in corso una riunione piuttosto accesa.
“Come
sapete la popolazione terrestre si moltiplica in maniera incontrollata, ha
raggiunto i sette miliardi di abitanti e col ritmo attuale non tarderà a
toccare i dieci.” – spiegava, in buon inglese ma gesticolando infervorato, Gian
Enrico Fabris Di Bartolo, unico italiano presente nel consiglio
d’amministrazione e responsabile per il sud Europa. – “La sovrappopolazione
causa la morte per fame di milioni di persone all’anno, danni ambientali e il
progressivo, inesorabile, esaurimento delle risorse. Non possiamo più rimanere
indifferenti di fronte a tale sfacelo. Dobbiamo intervenire a casa loro. Non
possiamo continuare a condurre affari nel terzo mondo e fingere di non vedere
la miseria e la disperazione dei suoi abitanti, perché sono destinate ad
allargarsi a macchia d’olio fino a…”
“E
cosa ci possiamo fare? I salari li paghiamo, no? Non siamo benefattori. Scopo
della nostra attività è ricavare profitti, non elargire manna.” L’interruppe
seccato uno dei presenti.
“Il
consigliere Kurtz è brusco ma non del tutto in torto, Fabris. È nostra
tradizionale politica evitare sfruttamenti eccessivi, ma l’attuale crisi
economica è seria. Sono le filiali nel terzo mondo a renderci competitivi
tagliando i costi del lavoro.” Precisò, serafico, l’amministratore delegato.
“Ne
sono pienamente conscio, Sir Wicked. Credo tuttavia che nell’attuale
congiuntura, il ritorno d’immagine di un nostro generoso aiuto per sfamare
quelle popolazioni ci procurerebbe benefici…”
“Bene,
mettiamo allora ai voti la proposta del consigliere Fabris Di Bartolo.” –
Stabilì l’A.D. Sir Reginald James Wicked, al termine della discussione. – “Io
do voto favorevole.”
Gian
Enrico Fabris Di Bartolo si recava all’aeroporto a bordo della limousine
dell’A.D. Wicked e meditava in silenzio. Uomo alto e spigoloso, spesso nervoso,
per non dire iracondo, invidiava la flemma con cui il paffuto Sir Reginald
affrontava l’esistenza.
Era
stato l’A.D., con i suoi toni pacati e la sua abilità nell’instradare la
discussione senza contraddire apertamente gl’interlocutori, a far approvare la
mozione. Ora però sarebbe toccato a lui portare a casa i risultati e ne era
lieto. Credeva fermamente nelle proprie affermazioni. La sovrappopolazione,
l’immigrazione, l’equilibrio ecologico e la fame nel mondo erano problemi che
l’angustiavano da tempo.
Le immagini dei bambini denutriti e ridotti a pelle e
ossa non lo lasciavano dormire, anche perché non poteva evitare di pensare alla
sostanziale inutilità degli aiuti umanitari, nulla più d’una goccia d’acqua in
un oceano di dolore. E l’assillava il pensiero che un giorno non lontano fame e
miseria sarebbero giunti pure in Europa. Sette miliardi di abitanti erano già
troppi e la crisi economica in corso gli pareva soltanto un prodromo delle ben
peggiori catastrofi a venire. Eppure nessun altro pareva accorgersi dei
pericoli rappresentati dalla crescita esponenziale della popolazione, di cui
fame e miseria erano dirette conseguenze. Dove trovare le risorse per nutrire
dieci o addirittura dodici miliardi? Perfino un dimezzamento delle nascite
avrebbe soltanto procrastinato di poco la fine dell’umanità. Cosa sarebbe ad
esempio accaduto quando milioni di cinesi avrebbero tentato la fortuna altrove?
Perché nessun sviluppo economico, per quanto sfrenato, avrebbe permesso alle
autorità cinesi di sostentare il miliardo e passa di abitanti ancora immerso
nell’indigenza, ne era certo. Che dire infine delle tante specie animali messe
a rischio d’estinzione?
Intanto
la limousine aveva rallentato fin quasi a fermarsi, bloccata da una
manifestazione. Una folla di migliaia di persone, appartenente a ogni etnia,
sciamava per le strade gridando slogan, le facce stravolte dalla rabbia e dal
rancore. L’italiano consultava di continuo il Rolex, innervosito.
“Non
ti preoccupare. Abbiamo tutto il tempo.” Lo rassicurò il suo vecchio amico, che
lo stava gentilmente accompagnando.
“Non
mi preoccupo d’arrivare puntuale a Heathrow, ma dei miei figli e dei miei
nipotini. Vedi ‘sta gente Reggie? Ci sta mostrando l’inferno prossimo venturo.
Dobbiamo sbrigarci, il tempo stringe.”
“Per
buona sorte la tua mozione è passata. È un passo importante.”
“Ma
il nostro programma di aiuti umanitari comporterà costi assai rilevanti, visto
che è diretto a mezzo mondo. Non ci permetteranno di andare avanti a lungo.”
“Di
questo non ti devi preoccupare, Gian, so come distogliere fondi senza
evidenziare buchi nel bilancio. E a ogni modo col consiglio di amministrazione
in futuro me la sbrigherò io.”
Due
anni e tre mesi erano passati da quel giorno primaverile del 2012. Sir Reginald
James Wicked e signora trascorrevano le ferie estive in Italia e, dopo le
classiche soste turistiche obbligate, erano andati a trovare l’amico Fabris Di
Bartolo, ospiti del suo prestigioso appartamento a Portofino.
Udendo
la sigla del telegiornale, i due rientrarono nel salone dell’appartamento,
giusto in tempo per ascoltare lo speaker annunciare i titoli principali, tutti
dedicati a un unico argomento:
“S’aggrava
l’epidemia nel terzo mondo, umanità nel panico. Benché molte nazioni non
forniscano dati ufficiali, si parla ormai di decine, forse addirittura
centinaia di milioni di morti.
Un
prestigioso scienziato ha lanciato un clamoroso allarme: una sostanza sintetica
di origine sconosciuta è stata isolata in alcune persone infettate dal virus
misterioso.
L’Unione
Europea, finora esente dall’inspiegabile contagio, chiude i confini col resto
del mondo.”
Gian
Enrico Fabris De Bartolo rise allegramente. Sapeva fin troppo bene che l’U.E.
non correva rischi. Moriva soltanto chi ingeriva direttamente le vivande
contaminate e nell’Europa ancora relativamente opulenta i loro prodotti non
giungevano.
“Ormai
abbiamo vinto, Reginald. Non riusciranno a fermarlo più.”
“Però
hanno scoperto l’esistenza della sostanza, l’hai sentito, no? Presto capiranno
di non avere a che fare con dei virus biologici ma solo con questo killer
prodotto dall’uomo.”
“E
allora? I nostri laboratori chimici han fatto un ottimo lavoro. Il nostro cibo
è già stato consumato da miliardi di abitanti del terzo mondo e chissà quanti
altri ancora lo mangeranno, prima di capire che il veleno sintetico, che agisce
mesi dopo essere stato introdotto nell’organismo, proviene da lì.”
“E
nel frattempo la popolazione mondiale si sarà più che dimezzata, hai ragione.”
“Così
nessuno, uomo o animale, soffrirà più la fame, Reggie. Non vedremo più bambini
pelle e ossa, perché ci sarà da mangiare per tutti e il futuro dei nostri figli
e nipoti sarà assicurato. Tra un po’ di giorni forse potremmo addirittura
provvedere noi stessi a inviare una segnalazione anonima, giusto per far
distruggere gli alimenti prima che varchino accidentalmente i confini europei.”
I
due imprenditori chiacchieravano tranquilli, felici dei risultati conseguiti,
mentre in tv scorrevano le sconvolgenti immagini dei cadaveri gettati a mucchi
nelle fosse comuni. Non percepivano alcuna follia in quanto avevano commesso. Dal
loro punto di vista, chi veniva colpito dal morbo sarebbe stato destinato a
morire comunque di fame, prima o poi. Da autentici samaritani, gli facevano
quindi un favore, perché regalandogli una rapida morte, gli evitavano lunghe e
atroci sofferenze. E presto, pensava Fabris Di Bartolo, dottore in ingegneria
chimica, sarebbero state le grandi nazioni industrializzate a far emigrare in
quelle terre ormai disabitate le proprie popolazioni in eccesso.
“Non
troveremo però più mano d’opera a basso costo. Per chissà quanti anni l’azienda
avrà seri problemi, proprio ora che è così indebitata.” Puntualizzò Wicked con
un pizzico di apprensione.
“È
un ben piccolo scotto da pagare per la sopravvivenza della civiltà occidentale,
questo, non credi? Resisterà. Piuttosto mi domando quanti capiranno il valore
del nostro gesto. Riterranno mostri sia noi sia i due chimici coinvolti e
consapevoli. Lo giudicheranno un crimine contro l’umanità.”
Sir
Reginald si riaffacciò sul terrazzo e abbracciò Portofino con uno sguardo.
“Un
male inevitabile, purtroppo. Finiremo i nostri giorni in galera, ma a parte
uno, abbiamo tutti più di sessanta anni e la vita ce le siam goduta. Mi
spiacerà non poter più ammirare questo meraviglioso panorama, ma ho agito per
preservarlo dalle invasioni barbariche. Mi basterà sapere che c’è.”
Fine, 4/4/12
Massimo Bianco
Un benvenuto sull'Isola a Massimo Bianco, ottimo interprete del racconto a tutto campo, un grande talento che sa infilarsi tra le linee di genere e genere, con uno stile ben formato tutto suo.
RispondiEliminaUn affezionato saluto da Mister Aith.