di Rubrus
Al mio amico Moscone che, a suo tempo, lo ha ispirato
Quando il capitano Smollet entrò nella
taverna del Doblone Bucato riconobbe subito il gaglioffo che, al di là del
banco, faceva da oste: benché avesse una gamba sola, si muoveva e saltava come
aveva fatto, un tempo, sul ponte dell’Hispaniola e come se, da allora, non
fossero passati vent’anni.
Il capitano attraversò il locale con passo
caracollante, simile al ballonzolare della lanterna che, appesa all’ingresso,
dondolava al vento dolce e caldo di Upolu, e si sedette ad un tavolo.
L’oste lo osservò con due occhi che
parevano fuochi di S. Elmo, quindi, ordinato alla giovane mulatta che serviva
ai tavoli di portargli da bere, intonò con la voce di un corno da nebbia: «Quindici
uomini, quindici uomini/ sulla cassa del morto / yoh – oh –oh / yoh – oh – oh /
e una bottiglia di rum. Un giro gratis per tutti! Offre la filibusta!».
L’intera taverna proruppe in una gazzarra
infernale e anche il pappagallo appollaiato su un trespolo, e che fino a quel
momento era stato così immobile da sembrare impagliato, cominciò a strillare
con la sua voce chioccia: «Pezzi da otto, Pezzi da otto!» come se fosse stato
animato da un incantesimo.
Lasciato il bancone, l’oste, sempre con
quella agilità sorprendente, attraversò la taverna ed andò ad accomodarsi al
tavolo di Smollet.
«Allora, capitano» chiese «Siete venuto ad
arrestarmi?».
Smollet rise sonoramente. «Mi
sottovalutate, Long John Silver, proprio come vent’anni fa. Forse che, dopo che
avete offerto loro da bere, questa ciurmaglia non esiterebbe un istante a
gettarmi in mare e a giurare che ci sono caduto, ubriaco, mentre me ne tornavo
a casa?».
Silver tacque, poi scoppiò anch’egli a
ridere e la sua voce sovrastò le grida degli avventori, che continuavano a
cantare, e le strida del pappagallo.
«Volete farmi credere» chiese quando ebbe
finito «Che devo fidarmi di voi se mi dite che, uscito di qui con le vostre
gambe, non correrete dritto filato al palazzo del Governatore?».
«Sapete che, se dico che non lo farò,
ebbene non lo farò» rispose il capitano.
Silver si fece serio e lo guardò fisso in
volto «Lo farete?».
Smollet si allungò sulla sedia, come un
uomo che si sta rilassando «Sono a riposo, ormai. E poi non ero venuto a
cercare voi».
Silver fece un gesto alla giovane,
chiedendo di nuovo da bere.
«Oh, beh» disse «Poco cambia. Come mi
avete trovato voi, potrebbero farlo altri, quindi meglio squagliarsela.
La ragazza è in grado di cavarsela da sola, ormai».
La giovane mulatta raggiunse il tavolo,
servì un boccale di rum al vecchio pirata e, dopo aver squadrato Smollet con un
po’ meno diffidenza di quanto avesse fatto la prima volta, si allontanò di
nuovo.
«Vostra figlia?» chiese il capitano.
«L’ho vista tagliare una mano ad un
gabbiere che l’aveva allungata troppo e poi chiedergli se voleva lamentarsi per
essere stato mutilato da una donna. Sì, è mia figlia… ma avete detto che non
stavate cercando me».
Smollet indicò in risposta il libro.
«Cercavo lui» spiegò «Ma sono arrivato
tardi».
Silver annuì «Un bravo figliolo. Tusitala
lo chiamavano da queste parti. Colui che racconta le storie. Ha sempre detto
che, la nostra, era un’invenzione, nata da una mappa disegnata sulla sabbia per
divertire il marmocchio di non ricordo chi. Alla salute».
Il pirata bevve e il capitano si unì a
lui.
«Una storia inventata. Un racconto» fece
Smollet, pensoso «Forse, così, è persino più vero».
Silver annuì, poi sogghignò «E sono io il
protagonista. La gente si ricorderà di me, capitano, non di voi o di Livsey o
del giovane Hawkins… diamine, ormai sarà più vecchio di mia figlia… ».
Finì il rum e rise «Sicuro. Siamo noi, i
pirati, i gaglioffi, i mariuoli che creiamo le storie. Senza di noi non ci
sarebbe nulla da raccontare. Alla fine ho vinto io».
Smollet fece un sorriso amaro «Mi
sottovalutate ancora una volta, Silver. Che cosa sarebbe di voi, senza di me?
Da dove fuggireste, se non ci fossero sbirri e galere? Come potreste infrangere
gli schemi senza nessuno che li costruisce? Come potrebbero esistere i
fuorilegge, senza chi scrive le leggi e chi le fa rispettare?».
Il vecchio pirata tacque, poi ridacchiò.
«Vecchio diavolo» disse «Vecchio diavolo». Gli schiamazzi, nella taverna,
andavano scemando. Il giro gratis era quasi finito.
«Però avete ragione su una cosa» sospirò
Smollet «Nessuno si ricorderà di me. E, su di me e su quelli come me, nessuno
scriverà null’altro oltre ciò che è stato già scritto. Un ruolo di secondo
piano, presto dimenticato, in una storia meravigliosa».
Silver volse gli occhi al soffitto della
taverna, annerito dal fumo, e recitò:
«Under the wide and starry sky,
Dig the grave and let me lie.
Glad I lived and gladly die,
And I laid me down with a will.
This be the verse you grave for me:
Here he lies where he longed to be;
Home is the sailor, home from the sea,
«L’epitaffio sulla sua tomba» disse
Smollet «Ma niente casa per Long John Silver, vero? Non da questo lato della
fossa. La casa è per quelli come me e per quelli che scrivono. Voi prenderete
il largo. Lo avreste fatto anche se non vi avessi riconosciuto».
«Dicono che Ulisse morì dopo aver trovato
genti che non conoscevano il mare» rispose il vecchio pirata guardandosi
intorno.
«Siete sempre stato un uomo colto, Silver,
ve lo concedo. Ma irrequieto. Una vela su cui è scritta una storia, in perenne
ricerca del vento».
Smollet finì il boccale e guardò Silver
negli occhi. Lo schiamazzo nella taverna si era ridotto ad un brusio indistinto
come il mormorio del mare al largo, oltre le navi alla fonda. Anche il Capitano
Flint, il pappagallo, dormiva sul trespolo.
«Dove veleggerete, adesso?» chiese
Smollet.
La ragazza portò dell’altro rum e li
lasciò. Il suo sguardo, ora, era quasi tenero
«Ha importanza?» domandò il pirata.
Smollet sorrise. «Credo di no.
L’importante è avere storie da raccontare».
(1)
Sotto il cielo vasto e stellato,
Scava la fossa e lasciami giacere.
Felice vissi e felicemente muoio
E con una volontà me ne vado a riposare
Questi i versi da incidere per me
Qui giace dove voleva stare
A casa è il marinaio, a casa dal mare
E giunto a casa, dalla collina, è il cacciatore.
NDA: "Tusitala" è il nome che i
samoani diedero a Robert Louis Stevenson, l'autore de "L'isola del
Tesoro", ai personaggi della quale questo racconto è ispirato.
Una vita che non
sopravviva alla propria morte, in un modo o nell’altro, sulle pagine di un
libro o sulla bocca della gente, non è che rugiada che evapora al sole.
Björn Larsson – La vera
storia del pirata Long John Silver – Iperborea
Nessun commento:
Posta un commento
In questa Isola sono accettati commenti critici costruttivi, anche insistiti e dettagliati, ma mai, ripeto mai offese di carattere personale, lesive della dignità umana degli autori.
Chi sbarca su Rayba si regoli di conseguenza. Qua il nichilismo non c'interessa, grazie.