05/10/14

La leggenda dello Spirito della Foresta e il piccolo Kinhut

di Bruno Corino


Si narra che, in un antico villaggio, sconosciuto agli uomini ma non agli dei, un giorno il Maestro sciamano chiamò a sé il piccolo Kinhut. Era giunta l’ora che Kinhut parlasse con lo Spirito della Foresta.
I due, all’alba di un tiepido mattino, in silenzio, si misero in marcia. Giunti in cima a una verdeggiante collina, una nebbia fitta cominciò ad alzarsi.
Nella quiete più assoluta, sentirono una voce levarsi: «Parla lo Spirito della Foresta. Ascoltate. Sono quattro elementi contro i quali devo quotidianamente lottare per sopravvivere: il fuoco, l’acqua, il vento e la terra. Contro la potenza del fuoco non ho difese; il fuoco è il mio implacabile nemico! Nella mia esperienza secolare, ho sempre temuto il fuoco; soltanto quando arriva, all’improvviso, una pioggia torrenziale, posso tirare un respiro di sollievo, se nel frattempo il fuoco non ha completamente lambito le mie radici o le mie fronde. Impara, piccolo Kinhut, ad osservare il corso della natura e, se lo rispetterai nel profondo della sua genesi e del suo sviluppo, acquisterai una saggezza che nessuna lingua umana potrà mai insegnarti!».
Camminando, camminando, si trovarono di fronte allo Spirito secolare di una Quercia, la quale cominciò a dire: «Osserva, piccolo Kinhut, la mia arte: tutta la mia potenza proviene dalla terra. Ho un tronco frondoso e maestoso. Le mie radici penetrano nelle profonde viscere della Terra. Da questo terreno, talvolta secco, talvolta arido, so trarre tutta la linfa vitale per nutrire i miei rami. La forza e la potenza delle mie profonde radici mi danno un senso di grande stabilità e di fermezza. Non c’è forza di vento che possa scuotermi e piegarmi. Non c’è pioggia che possa percuotermi. I miei rami generosi accolgono nidi e ripari per quei piccoli animaletti che vivono smarriti nel mio maestoso tronco screpolato. 

La mia ombra diventa un riparo per tutte quelle piccole creature che temono la potenza del sole e dà ristoro al terreno che mi circonda. Così devi essere tu, piccolo Kinhut: le radici della tua fede e delle tue credenze devono affondare nel terreno, e alimentarsi di tutto ciò che la Terra offre. Impara da me a non lasciarti travolgere dalla aridità del terreno, a non disperare per il senso sterile delle cose, cerca in esse il loro senso remoto, supera il senso riarso delle cose, sii saldo nei tuoi principi e nelle tue fondamenta, resta tetragono nonostante le avversità della vita, e, soprattutto, sii generoso con coloro che vengono a contatto con te. Impara a proiettare le tue ombre o le tue immagini intorno a te e dai ristoro a chi sosta sotto il tuo maestoso manto».

Dopo aver parlato con lo Spirito della vecchia Quercia, i due viandanti si trovarono al cospetto di un bellissimo Pioppo, il quale cominciò a dire: «Impara, piccolo Kinhut, dalla mia arte di sopravvivere, e osserva la mia forma. Sono un albero che cresce lungo le rive dei fiumiciattoli; ho un tronco poroso, leggero e affusolato, so elevarsi in alto, e avere alti ideali, a volte tocco la punta del cielo. Ho un profilo filiforme, ironico, ma sagace. Impara a conoscere la mia secolare pazienza: non temere, piccolo Kinhut, la burrasca; fai scorrere l’acqua sotto le sue radici; non lasciare che essa ristagni e danneggi la tua vita; è quello scorrere incessante ad alimentare la mia via. L’acqua è il mio nemico ma anche la mia forza, ed è con questa forza che sono riuscito a convivere nei millenni: la temo, ma allo stesso tempo la domina. Così devi essere, piccolo Kinhut: leggero, proteso verso alti ideali, paziente, e non timoroso del divenire. Lascia che il tempo scorra sotto le tue radici, non lasciare che i ricordi ristagnino nella tua memoria. Il tempo deve essere la tua forza. Perciò, impara a saper attendere la piena e la siccità, l’abbondanza e la scarsità, a vivere il pieno e il vuoto, la presenza e l’assenza. Impara tutto questo osservando attentamente e con pazienza questo antico maestro».
Scosso da questo nuovo insegnamento, il piccolo Kinhut con suo Maestro proseguì il cammino sino ad arrivare ai piedi di uno splendido Cipresso, il quale cominciò a dire: «Molto potrà insegnarti, piccolo Kinhut, la mia straordinaria saggezza, che da tempi immemorabili conosce la forza dei venti: i miei rami si assottigliano nella crescita e si stringono al tronco per renderlo ancora più forte. Possiedo un tronco flessibile, ma robusto; so andare nel profondo del terreno, ma allo stesso tempo so proiettarmi verso l’alto. So trarre il mio alimento dalla forza dei venti, poiché so che sono essi a farmi crescere in armonia con la natura. Senza la loro quotidiana carezza, crescerei storto e senza direzione. Sono dunque i venti che mi sanno stimolare nel modo giusto, e darmi la forza per crescere in proporzione. Ma il mio corpo sa lottare contro gli eccessi di questa forza, sa come evitarli senza esserne travolto. Sii anche tu, piccolo Kinhut, ambivalente come il cipresso quando ricevi la forza degli stimoli, non lasciarti travolgere da questo eccesso, e impara a vivere con questa forza, impara soprattutto a capire quanto gli stimoli siano indispensabili alla tua crescita e alla tua armonia, impara a conoscere la grazia con la quale so affrontare la forza dei venti, a non lasciare ai tuoi tormenti di consumarti a poco a poco. Assottigliati, dunque, quando la bufera degli stimoli scuota le tue membra, accogli invece i suoi soffi quando arrivano leggeri sul tuo corpo. Impara a capire che soltanto un tronco robusto e flessibile come il mio può affrontare gli eccessi del vento».


Dopo aver ascoltato lo Spirito del Cipresso, il Maestro disse al piccolo Kinhut: «E così, piccolo Kinhut, impara anche tu a lottare contro i tuoi nemici, a convertirli, come insegna lo Spirito della Foresta, in forze vitali: combatti il senso arido della vita, il divenire del tempo e l’eccesso di stimoli. Ora sai anche tu, piccolo Kinhut, che contro il fuoco della morte non hai difese, ma osserva come gli alberi hanno imparato a lottare contro il senso della morte: impara, dunque, cosa vuol dire rinascere, impara infine a vivere nell’eterno. Ecco perché ti dico: lunga vita a te, piccolo Kinhut, alla Natura e alla sua infinita Potenza».


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