PROLOGO
di 90Peppe90
L’universo.
Uno sconfinato spazio dalle molteplici sfaccettature,
dalle infinite possibilità, dalle numerose sovrapposizioni e mescolanze di
livelli e dimensioni, strutture e sovrastrutture, secondo regole precise e
perfette, la conoscenza delle quali è riservata a pochi e anelata da molti.
Tutto si muove ed esiste in perfetta armonia, seguendo
uno schema ordinato ed esente da errori, tracciando precise scie nello
spazio-tempo e assolvendo – quasi sempre inconsciamente – obiettivi prefissati,
necessari alla stabilità e all’equilibrio, al giusto corso degli eventi.
Eppure, non tutte le componenti dell’universo – unico e
multiplo al tempo stesso – si limitano a procedere come da copione
predeterminato. Non tutti si limitano a seguire le indicazioni e attenersi alle
leggi, allo scopo ultimo della loro creazione. Perché alcuni di questi elementi
sono caratterizzati dall’intelligenza. E, a volte – ma solo a volte –, vanno oltre. Si spingono più in là, riuscendo
a sbirciare o, addirittura, mettere la testa fuori dal sentiero tracciato
davanti a loro dal momento della nascita.
Un comportamento apprezzabile, assolutamente positivo
in taluni casi, l’esatto opposto in altri. Rompere l’ordine, spezzare la
precisione, provare a modificare il percorso. Eliminare l’accezione
“predeterminata” dal significato dell’esistenza.
Capita che questi episodi fuori dagli schemi generino
interessanti modifiche alla Creazione, migliorie che siano di giovamento al
tutto e a tutti. In altre occasioni, invece, la multipla struttura unitaria
dell’universo ne risente negativamente…
Una di queste occasioni sta avendo luogo in un pianeta
ovviamente abitato da forme di vita intelligenti. Una popolazione che ha
chiamato il pianeta “Terra” e si è identificata come “genere umano”.
Una popolazione che si prepara ad assistere, occhi al
cielo e bocca aperta per lo stupore, ad uno spettacolare accadimento prodotto
dall’universo che li accoglie e circonda.
Una popolazione ignara che ogni accadimento sia caratterizzato da un dato obiettivo. Un
compito da svolgere.
Che presto sarà rivelato.
FALCON TEMPO
di Mauro Banfi
-
A Giuseppe Vitale
I – ACQUA CHE CADE SULLE ACQUE
Una
lunga e corpulenta gatta rossa stava osservando dalla finestra della sua amica
umana Lucrezia Donati, nelle pieghe di una giornata umida e ventosa, il suo
eterno fidanzato Piero entrare in un casolare dimenticato del paesino di Vinci,
a pochi chilometri da Firenze.
Dietro la tendina azzurra, la custode
delle visioni non perdeva un movimento del suo sodale a due zampe.
Quanto era cambiato dai tempi dello spolverio delle stelle…
“Mi chiamo Piero Vinci e
comincio a scrivere questo taccuino nel segno della metamorfosi: racconto una
serie di mutazioni che mi hanno reso diverso da quello che ero un tempo, quando
ero sempre identico a me stesso.
Dal giorno di quella prima mutazione – quando la Via Lattea scivolò giù dalla
tendina della notte ed entrò sibilando nella mia anima -, fino al ritrovamento
di questi simboli incisi dal mio avo Leonardo da Vinci sulle tavole di noce di
questa parete,
- osservare il disegno con uno specchio per decifrare
le frasi di Leonardo -
“Dal giorno dello spolverio
delle stelle sono continuamente un altro.
Diventa sempre più difficile per me ricordare che cosa ero come burocrate della Repubblica italiana.
Per approssimazione, direi qualcosa come un grosso e grasso ragno – sempre e ogni giorno immedesimato nella mia funzione -.
Tutto ciò che è banale e ripetitivo aveva intessuto intorno a me una ragnatela sempre più fitta e spessa e quei fili erano diventate le sbarre d’acciaio di una prigione dove io stesso stavo seduto al centro, seduto sulle mie feci; come una abnorme tarantola che è rimasta impigliata nella sua stessa trappola e deve autoavvelenarsi e nutrirsi del suo stesso organismo per non morire di fame.
***
Un giorno il mio collega d’ufficio Michele mi avvisò che quella sera andava in onda una puntata speciale di “Ulisse, il piacere della scoperta”, intitolata “Il volto nascosto” e dedicata al grande Leonardo da Vinci.
La guardai in prima serata estasiato, e vidi il volto del mio antenato nascosto sotto le frasi redatte con la scrittura mancina a specchio nello strabiliante “Codice del Volo”, riprendere la sua fisionomia cinque secoli dopo, grazie alle meraviglie della computer grafica.
Registrai
la trasmissione e poi fissai quel volto nello schermo col fermo immagine: ero
io, sputato e uguale, quell’uomo di mezz’età dalla capigliatura fluente e i
grandi occhi azzurro chiaro.
mi è
sembrato d’aver riconosciuto qualcosa che prima avevo sotto il naso, da quando
sono nato, e non riuscivo a notare.
Premo il pannello quadrato su cui sono sovraincisi i geroglifici “zero serpente – zero più”, e un meccanismo sconosciuto e segreto mi rivela la macchina del tempo inventata dal mio antenato.
Premo il pannello quadrato su cui sono sovraincisi i geroglifici “zero serpente – zero più”, e un meccanismo sconosciuto e segreto mi rivela la macchina del tempo inventata dal mio antenato.
Ora
collegherò nell’ingranaggio laterale le tubature che alimenteranno il Falcon
Tempo al torrente Streda e i vortici si propagheranno, come è scritto nel
taccuino segreto:
-La
direzione prevalente (potente) del movimento in linea retta e il movimento
rotatorio prodotto dall’elemento che si scontra con la sua stessa massa causa
il vortice.
Nella struttura dell’icosidodecaedro vedasi come i centri di violenza in
espansione, scatenati all’esterno nella materia, diventano vortici centripeti
di interiorizzazione -.
Mi preparo a viaggiare nello spazio-tempo.”
I – IL VOLTO NASCOSTO
Diventa sempre più difficile per me ricordare che cosa ero come burocrate della Repubblica italiana.
Per approssimazione, direi qualcosa come un grosso e grasso ragno – sempre e ogni giorno immedesimato nella mia funzione -.
Tutto ciò che è banale e ripetitivo aveva intessuto intorno a me una ragnatela sempre più fitta e spessa e quei fili erano diventate le sbarre d’acciaio di una prigione dove io stesso stavo seduto al centro, seduto sulle mie feci; come una abnorme tarantola che è rimasta impigliata nella sua stessa trappola e deve autoavvelenarsi e nutrirsi del suo stesso organismo per non morire di fame.
***
Un giorno il mio collega d’ufficio Michele mi avvisò che quella sera andava in onda una puntata speciale di “Ulisse, il piacere della scoperta”, intitolata “Il volto nascosto” e dedicata al grande Leonardo da Vinci.
La guardai in prima serata estasiato, e vidi il volto del mio antenato nascosto sotto le frasi redatte con la scrittura mancina a specchio nello strabiliante “Codice del Volo”, riprendere la sua fisionomia cinque secoli dopo, grazie alle meraviglie della computer grafica.
Da quando sono nato, ho cercato di leggere e studiare
le opere di Leonardo, e ho provato anche a penetrare, con l’aiuto di qualche
manuale di divulgazione, gli scritti di Giordano Bruno, Copernico, Galileo
Galilei ed Einstein.
Ma non ho mai capito nulla delle loro teorie e delle loro intuizioni.
La mia è sempre stata solo una somiglianza fisica a fare da involucro a una totale ignoranza.
Io, un anonimo discendente di Pandolfo da Vinci, nato nel 1494, figlio di Piero – il padre di Leonardo – e di Lucrezia da Guglielmo Cortigiani, la quarta moglie del trisavolo sposata da Pandolfo nel 1486, sono sempre stato del corredo genetico grezzo, privo di qualsiasi scintilla della prodigiosa intelligenza leonardesca.
***
Quella stessa fine settimana ero salito da Firenze a Vinci, nella casa ereditata dalla mia famiglia (nel tempo il cognome aveva perso la preposizione “da”, in via Roma (ai tempi di Leonardo si chiamava Piazzetta Guazzesi).
Come sovente amavo fare nei fine settimana, puntai il mio dilettantesco cannocchiale galileiano verso la stellata splendente della Via Lattea.
Come sempre provavo un intenso piacere fisico per quel contatto notturno con l’universo, ma persisteva quel totale distacco dell’incolto che ero.
I miei pensieri torbidi e ciechi non andavano oltre l’irrazionale gusto di sentire gioia per essere lì, in quel momento.
Ma non ho mai capito nulla delle loro teorie e delle loro intuizioni.
La mia è sempre stata solo una somiglianza fisica a fare da involucro a una totale ignoranza.
Io, un anonimo discendente di Pandolfo da Vinci, nato nel 1494, figlio di Piero – il padre di Leonardo – e di Lucrezia da Guglielmo Cortigiani, la quarta moglie del trisavolo sposata da Pandolfo nel 1486, sono sempre stato del corredo genetico grezzo, privo di qualsiasi scintilla della prodigiosa intelligenza leonardesca.
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Quella stessa fine settimana ero salito da Firenze a Vinci, nella casa ereditata dalla mia famiglia (nel tempo il cognome aveva perso la preposizione “da”, in via Roma (ai tempi di Leonardo si chiamava Piazzetta Guazzesi).
Come sovente amavo fare nei fine settimana, puntai il mio dilettantesco cannocchiale galileiano verso la stellata splendente della Via Lattea.
Come sempre provavo un intenso piacere fisico per quel contatto notturno con l’universo, ma persisteva quel totale distacco dell’incolto che ero.
I miei pensieri torbidi e ciechi non andavano oltre l’irrazionale gusto di sentire gioia per essere lì, in quel momento.
Poi avvenne il prodigio.
Le stelle presero a pulsare e poi scoppiarono come fuochi d’artificio e disseminarono intorno a loro una polvere radiosa che ricoprì ogni cosa.
Il mio corpo diventò luminoso e la mia mente iniziò a concepire ragionamenti vasti e articolati mai avuti prima.
Riflettevo sulla crescente complessità dell’universo.
Man mano che le nostre conoscenze scientifiche sono cresciute, la crescente complessità del Cosmo nella coscienza umana è diventata sempre più coerente e consapevole.
Stiamo imparando ogni giorno un pochino di più che siamo solo una piccola parte di questo continuo flusso d’energia (non creato e senza fine, non nato e mai non morto, al massimo inorganico e non vivo) che chiamiamo Multiverso.
Non siamo il centro del Cosmo: non lo abbiamo ancora assimilato a livello psicofisico (solo cerebralmente), ma è così.
Non siamo una razza eletta, a parte, distinta dagli animali, dai vegetali e dai minerali.
Non lo abbiamo ancora incorporato - questo scomodo sapere – nelle nostre vite quotidiane, ma è così.
Le stelle presero a pulsare e poi scoppiarono come fuochi d’artificio e disseminarono intorno a loro una polvere radiosa che ricoprì ogni cosa.
Il mio corpo diventò luminoso e la mia mente iniziò a concepire ragionamenti vasti e articolati mai avuti prima.
Riflettevo sulla crescente complessità dell’universo.
Man mano che le nostre conoscenze scientifiche sono cresciute, la crescente complessità del Cosmo nella coscienza umana è diventata sempre più coerente e consapevole.
Stiamo imparando ogni giorno un pochino di più che siamo solo una piccola parte di questo continuo flusso d’energia (non creato e senza fine, non nato e mai non morto, al massimo inorganico e non vivo) che chiamiamo Multiverso.
Non siamo il centro del Cosmo: non lo abbiamo ancora assimilato a livello psicofisico (solo cerebralmente), ma è così.
Non siamo una razza eletta, a parte, distinta dagli animali, dai vegetali e dai minerali.
Non lo abbiamo ancora incorporato - questo scomodo sapere – nelle nostre vite quotidiane, ma è così.
Siamo come un figlio unico, mammone e viziato, che
crescendo e sperimentando impara che gli universi non girano intorno a lui come
credeva quando era un fanciullo cresciuto nella bambagia.
Siamo una parte interconnessa della natura: siamo natura integrata alla natura.
Non siamo osservatori esterni, indifferenti, neutrali.
Siamo situati nel Cosmo: il nostro punto di vista è sempre dall’interno del Multiverso, anche quando ci atteggiamo a freddi e distaccati analisti.
Nell’oceano immenso di galassie e di stelle siamo solo un infinitesimo angolo sperduto ma ricoperto dalla stessa polvere di stelle, percorsa dalle stesse particelle e onde luminose che emettono le supernove quando nascono esplodendo.
Ah, Il mio organismo diventò sfolgorante mentre il divino ascende in ogni momento attraverso la materia… o forse la materia è il divino nella sua forma più condensata?”
Siamo una parte interconnessa della natura: siamo natura integrata alla natura.
Non siamo osservatori esterni, indifferenti, neutrali.
Siamo situati nel Cosmo: il nostro punto di vista è sempre dall’interno del Multiverso, anche quando ci atteggiamo a freddi e distaccati analisti.
Nell’oceano immenso di galassie e di stelle siamo solo un infinitesimo angolo sperduto ma ricoperto dalla stessa polvere di stelle, percorsa dalle stesse particelle e onde luminose che emettono le supernove quando nascono esplodendo.
Ah, Il mio organismo diventò sfolgorante mentre il divino ascende in ogni momento attraverso la materia… o forse la materia è il divino nella sua forma più condensata?”