23/11/15

IL GIORNO DEI NEMATODI(4): Orribili amplessi nematomorfi di 90Peppe90, Rubrus & Weird League

                                     


Un silenzio carezzato appena dalla brezza che gli scompigliava i capelli, si spezzava contro il camper rovesciato, agitava i rami degli alberi e…
                                                                  
                                                       - disegno di Antonio Calzone (Big Tony) -


le fronde!
Di scatto, Walden sollevò la testa. «Tania! Via!»
La ragazzina si sentì strattonare per un braccio e, istintivamente, seguendo lo sguardo del fratello, guardò in alto. Spalancò la bocca ma non le uscì alcun suono, soltanto aria sorda.
Sul ramo di un albero, stava appollaiato un uomo dai lineamenti affilati nascosti da una folta barba, il fisico segaligno, le braccia lunghe attaccate al ramo sopra al quale poggiava i piedi nudi. Indossava una camicia rossa lurida e un paio di jeans sdruciti. Li fissava sorridente e con un paio d’occhi grandi, dalle pupille minuscole e nere. Un’espressione accartocciata e che trasudava… avidità, da tutti i pori.
«Sapevo che sareste tornati», disse loro, con tono viscido. Indicò il camper, di sotto. «Troppi oggetti per due sole persone.»
Quasi contemporaneamente, sia Tania che Walden sentirono i propri cuori perdere di qualche colpo. Le parole dell’uomo… per due sole persone. Si riferiva a mamma e papà?
Ancora una volta, Walden si tirò dietro Tania, e corsero insieme verso le biciclette. Vi montarono su e presero a pedalare. Dietro di loro, il tonfo dell’uomo che si lasciava cadere dall’albero.
Veloci, veloci, sempre più veloci! I fratelli facevano mulinare le gambe ad una velocità sempre maggiore, le ruote che giravano freneticamente lungo il manto erboso e la terra.
«Dove volete andare? Dove volete nascondervi?», sghignazzava l’uomo – evidentemente un nonpiùumano – alle loro spalle. «Di quelli come voi non è rimasto più nessuno!»
«Bugiardo!», strillò Tania, con le lacrime che le presero a sgorgare dagli occhi e le svolazzavano parallelamente alla direzione di corsa. «Mamma e papà sono ancora vivi! Mamma e papà sono più forti di te!»
L’inseguitore si mise a ridere a crepapelle, né Walden né Tania osarono voltarsi. «Tanto forti da essersi fatti beccare, piccola mia», disse il nonpiùumano. «Potete illudervi, ma è sempre questione di tempo. Non siete mica i primi a nascondervi qui!»
Walden avvertì un peso piombargli prepotentemente nello stomaco. Capperi! Proprio in quel momento? Dovevano avere la prima esperienza diretta con un nonpiùumano proprio lo stesso giorno in cui i loro genitori avevano raccontato l’intera faccenda? Lo stesso giorno in cui avevano incontrato quel sinistro signor Strangman? Una coincidenza? O era davvero questione di tempo e il loro era appena scaduto?
Dopo aver svoltato – seguendo un percorso del tutto casuale o magari disegnato, ben delineato, solo a livello inconscio della loro mente; in effetti non sapevano dove andare, al momento ogni posto gli sembrava uguale all’altro, ugualmente pericoloso, nessuna via d’uscita, nessun’àncora di salvezza – Walden sentì un colpo ed una vibrazione che attraversò l’intelaiatura della bici, ripercuotendosi sul suo corpo. Tentennò, tremò, perse l’equilibrio e si buttò di lato, rotolando per terra.
                                                 
«Walden!», esclamò Tania, frenando bruscamente e sterzando il manubrio verso destra. Vide suo fratello in ginocchio, la bici bell’e stesa poco più avanti – i cerchioni continuavano a ruotare – e una pistola a breve distanza da Walden. Conosceva quell’arma, la conoscevano entrambi.
«Su, prendetela», li invitò il nonpiùumano, a braccia conserte. «I vostri genitori non hanno avuto modo di usarla; sapete fare di meglio? Avanti, vi avranno insegnato a sparare, no? Vi avranno parlato di noi, no? Sapete chi siamo, sapete cosa facciamo, vero? Non ditemi che vi hanno tenuto all’oscuro di tutto!»
I ragazzi deglutirono, la gola secca, arida. Walden annuì, come per infondersi coraggio, il tempo parve rallentare, la luce intensificarsi, i particolari ingrandirsi. Notò perfino quello che sembrava un grosso foruncolo al centro della fronte dell’uomo, in mezzo agli occhi. Gli parve un bersaglio. Il foruncolo indica il punto  dove sparare gli suggerì la sua mente che pareva scalciargli dentro il cranio come un cavallo imbizzarrito... e si gettò sull’arma. L’afferrò e la tirò su, puntandola contro il nonpiùumano. Le mani tremavano: paura, sorpresa, adrenalina. Ma ce l’aveva. Oh, sì, ce l’aveva sotto tiro. Walden premette il grilletto e…
L’umano posseduto dai nematodi eruttò in un secondo, poderoso, acceso di risa. «Ho dimenticato a dirvi di aver scaricato la pistola, prima», svelò, mettendosi una mano davanti alla bocca, in segno di “Ops”. «Ma, sapete com’è: capita a chiunque di dimenticare qualcosa di cruciale importanza. Perfino da chi ci si aspetta che ci dica tutta la verità e nient’altro che questa, per il nostro bene…»
BLAM!

La testa del nonpiùumano ebbe uno schianto, produsse un’esplosione di grigio e di rosso e di nero, e il corpo si accasciò. Dopo qualche secondo, dal buco sulla fronte vennero fuori tre o quattro fili ondeggianti, che si agitavano disordinati.
«È tempo che voi moriate, per il nostro bene!», urlò l’uomo che imbracciava un gran fucile, dotato di una barba lunga e vestito con una salopette. Sparò altri tre colpi ed ammazzò gli umani nematomorfi che trattenevano i due ragazzi. Sotto shock, Walden e Tania tremavano e sudavano copiosamente.
«Venite qui!», li incitò l’uomo, burbero ed irsuto, allargando le braccia ed avvicinandosi. Aveva il volto incrostato di sporco, la barba lurida, i piedi scalzi e callosi. «Allontanatevi dal fiume!»
Walden e Tania si fermarono a metà strada, spaesati. Ancora e ancora, ancora e ancora. Un continuo susseguirsi di eventi improvvisi ed inaspettati. Tania si stropicciò gli occhi, provò a focalizzare meglio la scena. Si prese del tempo per riflettere, sperando che ce ne fosse.
I due fratelli si strinsero l’uno all’altra, in lacrime ed impauriti. Sporchi, stanchi, feriti esternamente ed interiormente
«Erano Cacciatori», spiegò l’uomo, avvicinandosi di un passo e abbassando l’arma. «Sono delle squadre organizzate per rastrellare gli umani, portarli nelle città per costringerli a costruire le cisterne nelle quali affogarsi in massa.» Osservò gli occhi terrorizzati e spiazzati, al limite dell’incredulità, di Walden e Tania. «Adesso andiamo… potrebbero esserci altri Cacciatori, in giro.»
«Potrebbero?», chiese, disperata, Tania. 
«Non è saggio, farsi prendere dal panico. Respirate, tutti e due. Guardatemi e statemi bene a sentire. Non vi succederà niente di male, capito? Non vi succederà niente, ve lo prometto.»
«Non ci succederà niente di male?», disse Walden, prendendo Tania per un polso e tenendo gli occhi fissi sull’uomo in salopette e sul suo fucile, tenuto ancora con la canna rivolta verso il basso. «Cosa può esserci, peggio di tutto questo!»
«Ascoltate quello che vi dice Dinamite Bla, ragazzi – a proposito, piacere di conoscervi -: prima di aver paura bisogna conoscere che cosa causa quel terrore e poi bisogna solo avere paura di aver paura. Seguitemi…voglio farvi vedere qualcosa di fondamentale e dobbiamo toglierci immediatamente da questo posto».
L’omone barbuto cominciò subito a marciare lungo il sentiero vicino al Ticino, senza proferire altre parole. Il suo sguardo era tutto impegnato a scrutare la vegetazione circostante e stringeva forte nella mano destra il fucile.

    



«A proposito, noi siamo Walden e Tania, piacere di conoscerla…»
Ma lo strano figuro di nome Dinamite Bla non li degnò di risposta.
Il loro camper era parcheggiato presso il Canoa Club di Motta Visconti, nel Centro Parco di Geraci, al confine col bosco Maina.
In breve raggiunsero il Guado della Signora e si misero in cammino sulla E1, il sentiero europeo che unisce capo Nord (in Norvegia) con capo Passero in Sicilia, attraversando da nord a sud l'intero continente europeo.
Li stava portando verso la lanca di Besate e le sue paludi nascoste dai boschi di farnie.
    

  - tutte le foto del Parco del Ticino sono originali di Mauro Banfi,

guida dei tracciati e istruttore MTB e di sticks trekking -

«Prestate la massima attenzione a dove mettete i piedi i ragazzi, il terreno sabbioso cede facilmente e il sentiero adesso si farà più stretto e intricato»
A un certo punto raggiunsero un guado lungo circa quindici metri, lo oltrepassarono senza problemi, scendendo nel fiume (molto basso in quel punto per una particolare conformazione del terreno assorbente della lanca) e risalendo dall’altra parte.
Da quel punto cominciava una traccia davvero tosta e piena di ostacoli….lungo il percorso incontravano pietraie, buche, fondo sabbioso e poi presero un rettilineo celato dai pioppi, dagli ontani e dalle farnie che li portò verso la lanca di Besate e le sue paludi, un luogo che Walden e Tania non avevano mai scoperto nelle loro lunghe esplorazioni.
                     
«Stiamo andando verso la palude segreta» bisbigliò Tania, che ne aveva sentito parlare da un canoista del luogo, due anni fa.
«Uno dei posti proibiti» rispose Walden, sempre bisbigliando. 
Lo sconosciuto li aveva salvati, è vero, ma se c'era una cosa che il mondo stava urlando loro da quella mattina era "non ti fidare". 
E a questo punto, però, era decisamente meglio dargli retta. Dopo alcune, silenziose centinaia di metri, la palude apparve.
Era un vasto laghetto, colmo di una spessa acqua color verde scuro (apparentemente ferma), protetta da una vasta fascia di canneto che faceva da contorno all'ambiente acquatico. In questa formazione vegetale, d'aspetto compatto e omogeneo, erano riconoscibili alcune specie vegetali molto diffuse negli ambienti umidi quali: la Cannuccia di palude, la Tifa e le Carici.
«Ok ragazzi» disse il barbuto scalzo: «adesso vedrete qualcosa che non vi piacerà. Scommetto che i vostri vi hanno detto di tenervi alla larga da questo posto e, non appena lo vedrete, capirete perchè. Ma non dovete avere paura. Non sono pericolosi. Non più. Mi spiace per tutto quello che vi sta capitando e, se volete la mia opinione, penso che non sarebbe così brutto se non aveste vissuto nella bambagia finora. Ma la merda capita». Rallentò il passo, procedendo con cautela. «La merda capita» ripetè a voce bassa, come a se stesso.
Dopo un po', un tempo scandito solo dallo sguazzare nella mota dei loro piedi stanchi, i ragazzi videro ciò che non avrebbero dovuto conoscere.
Sulla riva vi erano almeno una decina di grovigli ammassati e brulicanti di lunghi vermi scuri. Fuoriuscivano, in mucchi ingarbugliati e striscianti, dai principali orifizi – allargati innaturalmente – di cadaveri umani denudati, riversi bocconi sul bordo della riva. «Ecco come si riproducono. Ecco come prolifera la loro specie. Ognuno di questi corpi equivale a un essere umano che ha provato a nascondersi nelle vicinanze.»

Tania e Walden atterriti e disgustati cominciarono a piangere, squassati da potenti scossoni e singhiozzi. Una scena ripugnante.



                                

Vermi che si dimenavano viscidamente, una sorta di danza demoniaca e tentacolare, sporgendo dalle narici, dalle bocche, dalle orecchie, dagli ani e dalle vagine, persino dai peni e dalle orbite oculari, gli occhi sballottati via, chissà in che punto, dall’irrefrenabilmente avida pressione interna.


Un lago di sangue, in parte incrostato, sotto ognuno dei cadaveri che, per altro, presentavano un orrendo squarcio nel petto, traboccante anch’esso di luridi vermi ondeggianti. C’erano forse mamma e papà, tra quei morti, tra quei letti di morte nei quali si stavano consumando orge oscene.
«La femmina muore dopo aver dato alla luce circa sei milioni di uova», disse loro Dinamite Bla, senza alcun compiacimento.
                                   - Disegno originale Antonio Calzone (Big Tony)-


«Non dovrebbero essere così tanti» borbottò l'uomo scalzo e nerboruto.
Avrebbe voluto non farsi sentire, e si capiva, ma la sorpresa era eccessiva, e aveva parlato a voce alta.
Fece cenno a Tania e Walden di fermarsi e si allontanò di qualche passo, osservando i cadaveri. Si chinò, come deciso a scoprire un dettaglio, ma ormai il sole era basso e la luce scarsa. Fece un secondo tentativo, poi un terzo, sguazzando, poi, con un moto di stizza tornò sul sentiero.
«Mi chiamo Domenico, Dinamite Bla è solo il mio soprannome» disse ai ragazzi. Sembrava spiaciuto di aver dimenticato le buone maniere e questo, in qualche modo, ridiede per un istante una parvenza di normalità a quel giorno senza senso «ma tutti mi chiamano Dinamite Bla. Voi invece siete Tania e Walden e per la miseria se non c'è aria di famiglia. Venitemi dietro».
Piegò verso destra, lasciando la pista, inoltrandosi nel folto e poi prendendo un altro sentiero.
Uno bello largo, stavolta, che sembrava voler fare di tutto per mantenere la sua natura di strada in quel mondo rinselvatichito.
«L'acquedotto, ecco dove stiamo andando» sussurrò Tania.
Un altro dei posti proibiti. Ma ormai non c'era da stupirsene.
                           
                                            - disegno di Antonio Calzone - (Big Tony) -


E poco dopo il tramonto, quando il buio aveva invaso la foresta, eccolo lì, l'acquedotto, davanti a loro,  coi tubi giganteschi che si stagliavano nella penombra come giganteschi vermi addormentati. Si resero conto di quanto in fretta si fossero disabituati ai segni della presenza umana. Ora sembravano alieni, ostili. E se quello che a papà e mamma era successo era vero, era proprio così.
                                                                     (4- Continua)
                                              

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