27/11/15

APOLOGIA DI EMILIO SALGARI/ LA FORMIBABILE CASSETTA DI EMILIO SALGARI

                             

Emilio Salgari fu, prima di ogni considerazione, uno che visse come voleva vivere, uno che visse scrivendo e viaggiando nell’avventura senza la seccatura dei bagagli, un potente sciamano (riconosciuto solo da noi eterni ragazzi) che praticò l’esorcismo della morte attraverso la mitografia di una vita più vitale della vita.
Nominando e creando la leggendaria ferocia di Sandokan, la rapidità dei prahos d’assalto, il lusso aromatico della vegetazione malese, l’anarchica autosufficienza libertaria della parola “Mompracem!” scrisse della propria vita e di sé, mescolando la realtà e l’arte, e facendo vivere loro un’ unica esistenza, inestricabile, come le liane della crudele Sipo Matador nelle impenetrabili foreste giavanesi.
Chi altri può, in tutta onestà, oggigiorno, dire di fare altrettanto?
Dopo Pasolini, l’ultimo grande, chi è capace nel Bel(?)Paese d’incarnare nella propria vita la sua arte e il suo pensiero?
Non sto parlando dei politici, una triste banda di venditori di tappeti, aspirapolveri, pulci e acari d’ogni tipo, ma degli artisti, dei narratori, dei poeti, dei fumettari, degli uomini e delle donne del cinema, della danza, di un certo tipo di televisione e così via.
Dov’è un Salgari tra loro?  
Salgari visse la pienezza di una vita artistica, ricolma, ribollente, tracimante direi, d’immaginazione, di metafore e di analogie, fuori dal comune: questo lo condannò in vita a subire le conseguenze del vizio capitale più diffuso in Italia: l’invidia piccolo borghese.
Gli adolescenti (i lettori che riconobbero in vita lo sciamano) scrivevano appassionate lettere a Emilio in cui dicevano:
“Il mio professore mi consiglia di non leggere i Suoi libri, perché dice che scaldano la testa”;
“I nostri padre e le nostre madri ci lasciano leggere poco i Suoi libri, perché dicono che eccitano i nervi”.
Tutti i mediocri, tutti quelli che avrebbero voluto amare conturbanti principesse malesi e correre su brigantini in fiamme all’assalto dei tiranni, ma cui mancò sempre il coraggio di sfilare mutandine e mulinare spadoni insorsero, in una gara di meschino livore, demolendo (o cercando di demolire) il mito salgariano entusiasticamente urlato dai loro figli.
Solerti professorini accademici,  editori bottegai e truffaldini, piccoli borghesi incarogniti offrirono uno spettacolo pietoso; di iene intorno a una carcassa: scrissero che Salgari era puerile rispetto a Verne, il palloso pedagogo della scienza, uno scribacchino superficiale e provinciale!
Provinciale Salgari! Conosciuto anche dalle ragazze e dai ragazzi di tutta Europa e di mezzo mondo!
E così, mentre Salgari veniva derubato dei proventi delle sue immani fatiche editoriali, cominciò quelladamnatio memoriae, quella congiura quasi generale per ridurlo a “scrittore ludico per l’infanzia”.
Ma dietro a quella cospirazione compiuta da miserabili snob dell’incapacità creativa, c’è qualcosa di più e di peggio, rispetto al solito trucchetto delle tre carte operato da cattedratici, bottegai e santoni del pensiero unico.
Questo qualcosa d’orribile è un’invidia feroce e rovente: l’invidia degli omuncoli tediosi e delle donnucole tristanzuole, tutti mediocri condannati a relazioni affettive ed erotiche squallide e proterve, a vite servili e grigie, a un’esistenza in bilico tra la genuflessione per la pagnotta e la rabbia per la propria immagine, restituita implacabilmente dallo specchio.
Come avrebbero potuto non odiare Salgari, uomo libero fino alla sfrontatezza, protagonista della propria vita e dei propri eccessi, come avrebbero potuto comprenderlo in fondo questi omogeneizzati del conformismo, questi forzati del consumismo, costretti, per mantenersi lauti stipendi e onori accademici a riscrivere la storia della letteratura ad uso e consumo dei propri sponsor e delle proprie lerce bancarelle?
E, infatti, nonostante che Salgari sia stato un grandissimo scrittore e abbia influenzato direttamente tutta la narrativa fantastica italiana successiva (Landolfi, Manganelli, D’Arrigo, Bufalino, Arpino, Buzzati), sulle antologie egli compare come una macchietta, un pellegrino prima veneto e poi torinese che bambineggiava vestito da pirata, come una specie di pantomima da compatire all'Asilo Nido.
In questo trasformare l’eroismo (Salgari fu un ardito in ogni fibra del suo essere) in prosopopea retorica e la potenza dell’immaginazione in patologia mentale, c’è anche e soprattutto l’odio del mediocre per il gigante, del perdente per il creatore di possenti metafore e sublimi analogie immaginative, dello schiavo per l’uomo libero.
Così, dietro la riduzione di Salgari a bamboccio, non c’è solo miseria critica e intellettuale, ma anche e soprattutto, miseria umana.
E allora, prendo in mano il mio berretto, tiro per la mia strada salgariana, e come quelle migliaia di ragazze e ragazzi il giorno del suo funerale, lo tiro in aria lanciando il nostro grido di battaglia:
“Evviva il Capitano Salgari!”:

LA FORMIBABILE CASSETTA DI
EMILIO SALGARI
 

“Se mi dovesse succedere qualcosa, o il fuoco o l’inondazione, salvate quella cassetta. Là c’è la mia ricchezza.”
Emilio Salgari al figlio Omar.                                                   
                                                 - illustrazione di Aldo Di Gennaro -

                                                                             I
Emilio Salgari, la Tigre della Malesia, uscì di casa con i figlioletti Nadir, Fatima, Romero e Omar.
Portavano tutti delle spade di legno alla cintola e mentre Omar e Nadir duellavano con i loro nomignoli coniati per l’avventura, Tremal-Naik e Giro-Batol, Emilio urlava a sua moglie Ida:
— Donna, non sappiamo quando torneremo per cena! Gli eroi sanno quando salpano ma non quanto ritornano!
Mia Aida, solo una cosa è certa: non ci faremo mai mettere ai ferri, libertà o morte, vero miei prodi?
—  Sì Capitano! Libertà o morte! Non saremo mai schiavi di nessuno!
Era in realtà una scenetta convenuta per non far scemare la tensione giocosa e gioiosa della pericolosa spedizione.
Sarebbero tornati alle otto in punto come sempre.
Marciarono per un’ora, scendendo al fiume Po e poi cominciarono a risalire la collina.
Il capitano Salgari, intanto, così parlava ai figli:
— Ecco…supponiamo che ora io vi conduca verso un paese ignoto, il terribile reame dei Thughs, i feroci strangolatori indiani.
Siete pronti a seguirmi fino alla morte?
—  Sì, Capitano!
—  Ascoltatemi Tremal-Naik, Kammamuri, Jaira e Giro-Batol!
                                                  

 
I Thugs, i sanguinari adoratori della crudele dea Kalì, hanno rapito la bellissima Ada Corishant, figlia di un noto ufficiale inglese, per farne la Vergine della Pagoda.
Questa notte la luna sarà piena e le strapperanno il cuore per offrirlo in sacrificio alla nera dea Kalì e noi dobbiamo salvarla! Miei prodi, siete pronti a combattere? Dobbiamo introdurci silenziosamente nel loro tempio sotterraneo e liberarla!
— All’ultimo sangue, Capitano! Andiamo!
— Avanti, allora, infiliamoci come serpenti nella foresta oscura e attenti alle frecce avvelenate e ai fazzoletti di seta strangolatori dei Thughs! 
                                                                                   II
Avevano giocato per ore e combattuto con orde d’immaginari Thugs per liberare Ada Corishant.
Emilio aveva posato a terra la sua paglietta e riposava stremato insieme ai suoi figli.
Omar, il suo figliolo più incline alla lettura, si era avvicinato per fargli la domanda delle domande:
— Papà, m’insegni a scrivere?
                                            

— Omar, per scrivere ci vogliono i ferri del mestiere, come quelli che usano il falegname o  il fabbro.
Loro adoperano la sega e la pialla e la mazza e l’incudine; uno scrittore ha bisogno di un tavolino, di una penna e d’inchiostro e di una cassetta formidabile.
— Una cassetta formidabile?
— Andiamo con ordine, Omar.
                                   
Il tavolino deve essere di struttura esile ma robusta, per essere trasportato di casa in casa e di trasloco in trasloco. Uno scrittore è sempre in viaggio, anche e sopra tutto quando è fermo.
Il ripiano deve essere grande quanto basta per appoggiare la carta, il calamaio e un solo libro da consultare.
Il tavolino è la base, il fulcro che sosterrà tutta la fatica dello scrivere.
Perché se vorrai far lo scrittore, sappilo da subito, dovrai sostenere degli sforzi terribili senza aver spesso niente in cambio. Dovrai donare a quel tavolino tutto il tuo tempo migliore per avere di ritorno solo guai, debiti, indifferenza e dolori inenarrabili.
Mi hai capito: vuoi ancora fare lo scrittore?
— Sì, papà, all’ultimo sangue! Voglio essere come te!
— Omar, chi scrive assomiglia solo a se stesso, per narrare quello che i lettori vorrebbero essere, ricordalo.
E dentro al suo cuore ogni lettore è una tigre!
Poi l’inchiostro: lo preparerai come ti ho insegnato, da solo, pestando nel mortaio le bacche di sambuco che raccoglierai nei boschi.
                                      
E così la penna: una cannuccia in cima alla quale legherai il pennino con del refe, possibilmente vegetale, fatto con la corteccia.
Così scriverai col tuo sangue e con un pugnale di bambù, sempre coraggioso e pronto alla mischia e all’assalto, alla bisogna!
                                  
Scrivere non è un mestiere per ipocriti e codardi, rammentalo.
E infine la cassetta formidabile, come quella che tengo nascosta in casa e che vi raccomando sempre come la mia vita.
In quello scrigno pieno di tesori ci sono le trame dei miei libri futuri, potenziali, ancora tutti da plasmare e da scrivere.
                                         
Notizie, informazioni, intuizioni, scheletri precisi di eventi e situazioni; miti, leggende, riassunti di bibbie straniere e compendi di misteriose enciclopedie ritrovate in vecchi scaffali polverosi, in sperdute biblioteche di paesini sconosciuti.
Dovrai frugare dentro tutto lo scibile umano, Omar, per trovare cose “sbalorditive” e "formidabili" sopra tutto, uniche al mondo e memorabili nell’Universo e nasconderle  dentro lo scrigno dello straordinario, fino a quando il Genio della cassetta non ti ordinerà di prenderle e usarle per raccontare delle storie.
Dentro la cassetta formidabile dovrai accumulare i tesori rubati all'intelligenza dell’uomo, alla segreta energia del Cosmo e alle folgori della tua anima.
E poi obbedirai al Genio della cassetta e scriverai le storie che lui ti suggerirà.
Avevo ventitré anni quando caddi prigioniero del pirata Sandokan, la Tigre della Malesia, il Genio della mia cassetta. Da allora sono suo schiavo e compagno, ed è l’unica forma di servitù che ho sopportato in vita mia, oltre a quella che ho accettato con impegno e passione sposando tua madre.
E allora, ragazzo, sei pronto alla fatica, al sangue e al coraggio, sei disposto a fidarti ciecamente di quel Genio della cassetta?
— Sì, Capitano Sandokan! Sono pronto a seguirlo fino alla morte!
Il mio Genio si chiama Tremal-Naik, il cobra reale della foresta Sundarbans ed è formidabile quanto il tuo! Vedrai che storie saprò narrare!
— Allora andiamo, Omar, perché no?
                                            
                          - La famiglia Salgari: Ida, Nadir, Romero, Emilio, Fatima e Omar -
                                                                        

                

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