26/03/15

IL RACCONTO DEL TERRORE: (PINOKKIO PULP)

di Mauro Banfi

I

«Davvero ─ disse fra sé il burattino Pinocchio uscendo dall’Osteria del Gambero Rosso, rimettendosi in viaggio ─ come siamo disgraziati noi altri giovani! Tutti ci sgridano, ci ammoniscono e ci danno consigli non richiesti:
“Oh suvvia, voi dovete ribellarvi! Vi hanno caricato fin dalla nascita come somari col debito pubblico, la Fornero e Monti vi manderanno in pensione dieci anni più tardi di noi e con Renzi vi hanno reso tutti degli schiavi col job act, ah ah ah ciuchi, ciuchi! Siete degli smidollati, dei mollaccioni, ma che aspettate a dare fuoco a tutte le città?”,
« a lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri,» continuò la marionetta senza fili « ma che faccia tosta! Proprio loro che hanno rapinato fino all’ultimo quattrino dello Stato durante il boom economico e tangentopoli, proprio loro che ci hanno derubato ogni futuro e ci hanno consegnato come unica eredità l’andare a pelare le patate in Germania o il pulire i cessi in Svizzera, ma che ipocriti! Proprio loro vengono a istigarci al crimine, che facce da culo!
Ah ah ah! Come quel ridicolo Grillo parlante che mi viene a fare la morale, quando lui per primo ha ricevuto l’avviso di garanzia per frode fiscale e prostituzione minorile!
Secondo lui, a girarmene tutto solo per il mondo, con i quattrini del babbo, dovrei incontrare gli assassini! Meno male che agli assassini io non ci credo, né ci ho creduto mai.
Per me gli assassini sono stati inventati apposta dai babbi, per far paura ai ragazzi che vogliono andar fuori la notte da soli.
Prima ci hanno ingozzato di merendine durante gli anni del consumismo e poi ci vogliono tenere in casa a fare i loro soprammobili o i loro animali da compagnia, dopo che ci hanno ridotto in miseria con la crisi economica e la disoccupazione e i loro politici criminali!
Ma io non credo alle loro bugie e ai loro assassini!
Si facciano pure avanti, vedranno che con me non si scherza!»


II

Pinocchio stava per finire il suo ragionamento quando il silenzio della notte venne raschiato da un fruscio di foglie.
Nel buio ecco comparire due nere figure imbacuccate in due sacchi di carbone, che correvano verso di lui in punta di piedi, come se fossero due fantasmi, sguainando lunghi coltelli.
Gridavano con voci stridule:
«Fermo! O la borsa o la vita!»
Nonostante il cuore gli si fosse gelato in petto Pinocchio nascose le monete d’oro del Babbo Geppetto sotto la lingua e cercò di correre a perdifiato nella notte oscura.
Ma gli assassini riuscirono però a prenderlo per le braccia, e col coltello cercavano di aprirgli la bocca facendo saltare schegge di legno dappertutto.
Pinocchio tuttavia, divincolandosi come un anguilla, si liberò dalle unghie degli assassini, saltò la siepe della strada maestra, e fuggì a balzi come un capriolo per le campagne.
E gli assassini dietro, come due segugi all’inseguimento di una lepre.
Riuscirono a portarsi sotto al burattino e lo accoltellarono sulla schiena di pino senza pietà, ma Pinocchio saltò dei cespugli, attraversò di corsa un fiume, e ancora libero correva per i campi.
Dopo una corsa di quindici chilometri, Pinocchio non ne poteva più.
Allora, vistosi perso, si arrampicò su per il fusto di un altissimo pino e si pose a sedere in vetta ai rami.
Gli assassini tentarono di arrampicarsi anche loro per acciuffarlo ma erano troppo pesanti e scivolarono a terra, imprecando.
Allora, con un fastello di legna secche appiccarono il fuoco all’antico albero.
Il fuoco divampò e la pianta millenaria cominciò a bruciare.
Pinocchio, per non finire arrosto, spiccò un salto prodigioso, e atterrato a terra senza danni ricominciò a correre attraverso ai campi e ai vigneti.
E gli assassini dietro, sempre alle calcagna, senza stancarsi mai, libidinosi d’oro.


III

La forsennata corsa di Pinocchio venne interrotta da un largo e profondo fosso, colmo di un’acquaccia inquinata color del caffè e latte.
Con un balzo dettato dalla forza della disperazione Pinocchio ottenne di atterrare incolume dall’altra parte.
Gli assassini saltarono anche loro, ma non avendo preso bene la misura, splash!
cascarono nella melma tossica.
Pinocchio pensava fossero affogati e avvelenati in quell’acquaccia schifa, ma si accorse che, risalita la riva lerci di fango contaminato, gli correvano ancora dietro tutti i due.
Imbacuccati nei loro sacchi neri, brandendo i loro lunghi coltelli, grondando acqua marcia come due panieri sfondati, urlavano:
«O la borsa o la vita!”.
IV

Intanto l’oscurità cedeva alle prime, incerte luci dell’alba.
Sfinito da una notte di corse e di balzi, Pinocchio stava per gettarsi a terra e darsi per vinto, quando in lontananza il suo sguardo incontrò la visione di una casa candida come la neve che biancheggiava in mezzo al verde cupo degli alberi.
Con le ultime forze che aveva nella sua struttura di burattino, Pinocchio giunse presso la casa della salvezza e cominciò a bussare e a ribussare, sempre più forte e sempre più col cuore in gola.
Intanto sentiva avvicinarsi il respiro affannoso dei due ladri aguzzini.
All’improvviso una finestra al primo piano s’aprì e s’affacciò una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera: i suoi occhi erano chiusi e teneva le mani incrociate sul petto.
Sembrava che parlasse senza muovere le labbra, con una voce sottile che pareva giungere dall’altro mondo:
«In questa casa non c’è nessuno. Sono tutti morti».
«Aprimi almeno tu!» gridò Pinocchio piangendo e pregandola:
«Sono morta anch’io, come questa Italia marcia e corrotta: aspetto la bara che venga a portarmi via». Appena detto così, la Bambina scomparve, e la finestra si richiuse senza far rumore.
V

In quell’istante i due Assassini afferrarono per il collo Pinocchio, gli legarono le mani dietro le spalle, gli passarono un nodo scorsoio alla gola e lo impiccarono al ramo più alto della Quercia Grande.
I manigoldi si sedettero per godersi lo spettacolo della sua morte.
Poi, dato che gli Assassini erano stanchi di aspettare che tirasse le cuoia, e dato che non potevano perdere l’ultima puntata del Grande Fratello, decisero di andarsene e urlarono sghignazzando all’impiccato:
«Addio a domani burattino. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la cortesia di farti trovare bell’e morto, con la lingua violacea a penzoloni e con la bocca spalancata, così raccoglieremo senza fatica i tuoi quattrini! Ahahhaha!»
E se ne andarono.
Un vento rabbioso di tramontana prese a sbatacchiare Pinocchio come il battaglio di una campana.
A poco a poco i suoi occhi si velarono e si appannarono.
La marionetta all’improvviso gridò:
«Babbo mio, Fatina, perché mi avete abbandonato?»
Infine chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e spirò.
NOTE DELL’AUTORE
Libri letti, amati, usati, stropicciati, ritagliati, compulsati, scarabocchiati, annusati, assimilati, incorporati per comporre quest’opera:
•    Carlo Collodi, Pinocchio
•    Pietro Citati, Il male assoluto
•    Carmelo Bene, Pinocchio (opera teatrale)
•    Giorgio Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo
•    Rubrus, Dark Summer
L’opera è presentata priva di qualsiasi supporto iconografico, musicale e ipertestuale (come era previsto inizialmente) in segno di lutto e per protesta contro il trattamento subito dai giovani italiani: indebitati, sfruttati, precarizzati, privati della pensione, costretti ad emigrare, sbertucciati da falsi moralisti.
Una vergogna di cui la Storia un giorno dovrà tenere conto.

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