di Bruno Corino
La
mia non era vanità, ma quando vidi quella mano esperta allungarsi sul mio collo
e prendermi tra le dita con tanta delicatezza non seppi nascondere un moto di
profonda soddisfazione.
Guardai
le mie sorelle rimaste tra gli scaffali. Finsi di essere dispiaciuta mentre
salutavo ipocritamente quella Lacrima di Morro. Non m’era mai stata simpatica,
e sono convinta che se fosse capitato a lei d’essere scelta me l’avrebbe fatta
pesare sino alla fine dei tempi.
Il
signore che mi aveva scelto… si vedeva ch’era un fine intenditore. Aveva un
invito a cena e voleva fare bella figura con i suoi ospiti. Quest’ultimi, a
dire la verità, m’erano apparsi piuttosto grezzi tanto da preferire un misero
Montefiascone all’ebbrezza dei miei aromi. Certo io mi abbino bene con
selvaggina da pelo, eventualmente accompagnate da funghi o tartufi; quella sera
invece gli ospiti avevano preparato uno stufato di carne con cipolle e carote,
quindi decisero di serbarmi per una prossima occasione.
Quando
fui riposta in quella elegante cantinetta color noce tra quelle bottiglie con
l’etichetta anonima, la mia nobiltà risaltò ancor di più. Inutile
nasconderselo: ero proprio la bottiglia delle grandi occasioni. E infatti
quando i nuovi proprietari vollero far colpo sulla famiglia del promesso sposo
della loro figliola, dalla carta lucida scelsero proprio la mia etichetta.
Con
mia grande soddisfazione debbo dire che non la finivano di decantare le mie
lodi. Ma il padre dello sposo decise che io dovessi essere stappata solo il
giorno delle nozze. E poi la madre dello sposo quella sera aveva preparato una
cena a base di pesce: per tutto l’appartamento si sentiva un odore di cozze
gratinate e di bruschette. Sinceramente quell’odore d’aglio, che aveva invaso
ogni stanza, aveva un che di disgustoso per la mia struttura delicata. E poi,
non per essere schizzinosa, ma avevo notato che in quella casa non c’erano
neanche calici adatti a esaltare i miei profumi complessi, e a mettere in
movimento un’adeguata ossigenazione.
Insomma,
a mio parere ero effettivamente sprecata per quella occasione. Perciò anche a
me sembrò una saggia decisione quella di mettermi da parte. Soltanto che questa
volta fui riposta in una volgare vetrinetta. Anche uno sciocco sa quanto sia
importante la temperatura per conservare un vino eccellente; e che errore
madornale mettermi in piedi anziché sdraiata! Persino l’orientamento è
essenziale alla mia morbidezza. Pensavo come avrei fatto a resistere per tutto
il tempo in quella posizione.
Un
bel giorno i due promessi sposi ruppero il fidanzamento e così la nuova
famiglia adottiva decise di sbarazzarsi di me. Il mio gusto, lo ammetto, s’era
un po’ deteriorato. Capite, stare per tutto quel tempo in quella scomoda
posizione, mi fa male ammetterlo, il mio carattere robusto s’era un pochino
inacidito. Tuttavia, la mia etichetta argentea spiccava sempre nella sua
bellezza.
A
Natale fui regalata a una famiglia modesta, ma questa famiglia, per quanto
modesta fosse, era orgogliosa di mettermi al centro della tavola. In mezzo a
quei piatti triviali svaniva la grande occasione che avevo sognata. Comunque la
mia avvenenza spiccava su tutto il resto: guardando intorno la tovaglia e i
calici dozzinali ero un po’ sconfortata, ma mi consolavo all’idea di essere la
cosa più pregiata della sera di festa.
Purtroppo
la mia allegria non durò molto: un bambino birbante e antipatico urtandomi mi
fece rotolare sul tavolo, e pian pianino, senza sapere né come né perché,
precipitai di colpo nel vuoto, trovandomi all’improvviso spiaccicata a terra in
mille frammenti. Lo schianto richiamò tutti i presenti, che attoniti guardavano
i pezzetti di vetro e il nettare sparso sul pavimento. L’etichetta era integra.
Ad un certo punto, anziché piangere, come mi sarei aspettata, si misero a
battere le mani. Sarò sincera: io gli umani non li ho mai capiti. Sarà perché i
nostri mondi sono distanti anni luce.
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