Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 110.
La Lanca Venara, chiamata anche “Bora dei batel”(il burrone delle barche), ha rappresentato nei secoli per la sua estensione, per la freschezza delle sue acque sorgive e per la varietà dei pesci e degli uccelli che la abitano, un punto di riferimento per la popolazione più povera del paese di Zerbolò, (situato vicino al fiume azzurro Ticino), dedita al taglio, o alla raccolta, di legna secca e all’attività di pesca.
Lungo i sentieri nei dintorni della Lanca Venara è possibile compiere interessanti escursioni ed avvistare, tra i canneti e i boschi di farnie e pioppi bianchi, oltre a numerose cicogne bianche, aironi cenerini, aironi rossi, falchi pellegrini, albanelle reali, poiane e gheppi, allocchi e gufi di palude, ma anche piccoli mammiferi come scoiattoli e moscardini.
La famiglia Maiocchi era arrivata nei pressi della Lanca di buon mattino, a bordo di un potente fuoristrada.
Il padre, un noto fisico nucleare e i due figli adolescenti, muniti di macchine reflex digitali fornite di teleobiettivi lunghi come mezzo braccio di un uomo adulto, partirono verso il vicino bosco Siro Negri per fotografare tutto quello che era possibile immortalare nelle schede di memoria.
La moglie del Maiocchi si fermò a prendere il sole e a preparare la grigliata per il pranzo.
« Quando ci fermiamo, papà? Mi fa male un piede e anche Tania ha fame…»
«Un poco di pazienza, ragazzi. Dario, guarda la mappa, non ci stiamo allontanando troppo dalla strada?»
«Papà, torniamo indietro, siamo stanchi: andiamo a guardare ancora le cicogne mentre salgono su nel cielo avvitandosi nelle termiche…»
«Eh no, cari miei, mi avete fatto una testa così per tutta la settimana. Volevate esplorare un bosco , ed ora vi porto in uno degli ultimi lembi di foresta primordiale della pianura padana rimasti in Lombardia.
Vedrete che figurone farete a scuola quando lo racconterete ai vostri compagni di classe.
Forza, adesso ci siamo e quindi camminate senza fare storie.
Guardatevi intorno piuttosto, invece di pensare solo a mangiare. Respirate forte, questa sì che è aria buona…
Continuarono a camminare sul sentiero che portava al bosco Siro Negri, e intorno a loro vedevano risaie, canali, rive e siepi arboree ed arbustive, pioppeti, marcite e boschi naturali antichissimi.
All’improvviso davanti a loro si levò in volo un grande airone dal collo rosso fuoco a forma di Esse, evidenziato da una striscia nera e da un ciuffetto scuro sulla testa color ardesia…
«Un airone rosso! Che meraviglia! Presto ragazzi, dobbiamo seguirlo, preparate le reflex, ogni scatto vale almeno dieci euro e pago in contanti, seguitemi…»
Il Maiocchi entrò di buon passo nel campo che portava a una piccola lanca costeggiata da un canneto, da dove si era levato nel suo tipico slancio elegante l’airone rosso.
I due figli, dopo aver estratto le digitali dalle custodie arrancavano dietro al padre come potevano.
«Presto, presto! Tenetevi dietro di me sottovento, l’airone andrà a posarsi in quella lanca, oltre il canneto, e vedrete che foto faremo…»
Il Maiocchi era in preda a un’autentica frenesia e si gettò all’inseguimento del magnifico ardeide.
Giunto alla lanca, s’infilò con cautela tra le cannucce di palude e notò l’airone posato sulla riva fangosa.
Fece cenno ai suoi figli di non fare rumore, quando l’airone rosso prese il volo ancora una volta e svanì nell’intrico della foresta che cominciava vicino alla lanca.
«Andiamo, andiamo, altrimenti lo perdiamo!»
«Ma papà siamo stanchi! Abbiamo fame, torniamo indietro!»
Ma il Maiocchi, senza voler sentire ragioni, s’infilò nella macchia primordiale del bosco Siro Negri, seguendo il volo dell’airone, e Tania e Dario gli andarono dietro di malavoglia.
Percorsi a fatica venti metri di foresta, il Maiocchi, seguito dai suoi sbuffanti ragazzi, giunse a una radura che rivelava l’esistenza di una grande cavità, all'apparenza non artificiale e scavata dall'uomo, nel cuore del bosco.