28/02/16

CONVERSAZIONI SU TOLKIEN di Rubrus

  
Glossario: SdA = Signore degli Anelli
JRRT = John Ronald Reuel Tolkien



Eccomi qua.

Se permettete, comincio da un aneddoto personale.
Tanti anni fa, parlando del SdA sentii un tale dire: “Questa storia della religiosità nel SdA mi pare un po’ una frase fatta. Dicono tutti che è intrinseca, ma secondo me tutti i personaggi del libro si comportano come se fossero atei”.
Ora, io credo che a lui per ragioni sue questa lettura ateistica dell’opera tolkeniana piacesse, ma la sua affermazione è vera solo in minima parte.
Secondo me (e anticipando le conclusioni per chi non avesse voglia di leggersi quanto segue)  la religiosità nel SdA e in JRRT in generale c’è, ma è una religiosità radicalmente antimoderna, come tutta l’opera di Tolkien, del resto.
Senza dubbio, in JRRT (in tutto JRRT) non c’è traccia né di clero, né di religione organizzata. A differenza che in tante opere fantasy non vediamo templi, culti ecc.
C’è anzi un discorso soteriologico abbastanza diverso dall’impostazione tradizionale cristiana. Questa ruota attorno a un messia, un cristo l’incontro col quale è l’incontro con la via per la salvezza.
In JRRT non c’è nulla di tutto questo.
C’è un discorso soteriologico perché Frodo and company hanno l’obbiettivo di salvare la Terra di Mezzo, ma la funzione messianica è esercitata da quattro figure diverse.
- Frodo svolge la funzione sacrificale. Se lui non votasse la propria vita alla distruzione dell’Anello nulla sarebbe possibile.
- Aragorn svolge la funzione regale, di signore, re e guaritore, ma è subordinato a Frodo.        
- Gandalf svolge la funzione sacerdotale. È guida, consigliere e mago (molto più mago che sacerdote).
- Il quarto è Gollum. Se non fosse per lui la missione fallirebbe all’ultimo secondo. Egli la salva distruggendo se stesso perché tale è la sua natura, dopo aver perduto il Libero Arbitrio essendo stato sedotto dall’Anello.
Lo “strumento” che tutte queste figure usano però non è tanto, come nella tradizione cristiana più ortodossa, l’essere loro stessi la via per la salvezza (se lo facessero sarebbero molto più evidenti “versioni” del messia, comunque lo si intenda – e probabilmente era un ruolo che l’autore esitava a far ricoprire loro).  Tutto quello che fanno è vivere al meglio il tempo che è loro dato (come dice Gandalf a Frodo nelle miniere di Moria).
La salvezza passa (ed è in questo che JRRT è radicalmente antimoderno e “reazionario”, non in certe supposte inesistenti affinità col pensiero politico di destra dei suoi tempi) attraverso il recupero della Tradizione e la Restaurazione delle Autorità che quella tradizione ha incoronato.
In JRRT (come in Omero) tutto ciò che è antico è più grande e più nobile di quello che è moderno, nel bene e nel male. La Storia è tutta una decadenza: da Morgoth a Sauron a Saruman, da Numenor a Gondor ai Sovrintendenti, ecc.
Il viaggio di Frodo non è mai solo un viaggio nello spazio, ma è un viaggio nel tempo, un tornare là dove l’Anello è stato forgiato, dove le antiche leggendarie razze di mostri ed eroi vivono ancora, dove ci sono troni su cui può tornare a sedere un re, dove si conserva la memoria delle cose passate (Gran Burrone, Gondor)  o esse vivono ancora (Fangorn, Lorien, la stessa Mordor) ecc.
Ma una volta che la missione salvifica, con queste peculiarità, è conclusa, che il viaggio è terminato, che succede?  [Qui per inciso sta il vero unico grande difetto e differenza del film di Jackson rispetto a libro]. Sappiamo che succedono due cose: Saruman deturpa la Contea e, anche se in parte alla situazione si porrà rimedio, la ferita rimarrà per sempre, proprio come quella nelle carni di Frodo e (questo nel film c’è) e un bel po’ dei protagonisti fanno vela, per sempre, verso le Terre Imperiture, Aman.
Be’, verrebbe da dire, bella Salvezza del cavolo. Ci viene detto che tutte le Razze Parlanti declinano, gli Elfi se ne vanno, Gandalf pure... non c’è poi una gran differenza rispetto a quello che sarebbe successo se Saruman avesse vinto. Sì, non sono morti subito, non sono stati fatti schiavi, ma rimane comunque un po’ di amaro in bocca.
Come mai questa fine?
Torno alla questione iniziale: il religioso in Tolkien.
Quel tale che diceva che tutti i personaggi del SdA sono atei vedeva la questione in termini moderni. Da una parte l’immanente, da parte il trascendente. Da una parte il naturale, dall’altra il soprannaturale. Da una parte l’immaginazione, dall’altra la realtà. E così via.
Si tratta di una distinzione moderna, che ha trovato la sua forma definitiva nell’Illuminismo, ma che in passato non era per niente così netta
Il mito o la leggenda, soprattutto il mito e la leggenda raccontati, sono, in JRRT come nelle culture più antiche, la religiosità e la spiritualità.  In fondo la Bibbia è, prima e più che un insieme di norme, la storia – che neppure conosce la distinzione tra naturale e soprannaturale – del popolo ebraico. I Vangeli sono la storia della predicazione del Cristo prima che e più che un insieme di norme. Cambiando per un secondo settore, il diritto romano antico era mos maiorum, più che insieme di norme generali ed astratte.
Ecco perché secondo me quel tale sbagliava: perché vedeva il SdA come una storia in cui si può distinguere immanente e trascendente  invece che come il racconto di un mito che ignora questa distinzione.     
Però Tolkien è uomo del Novecento e secondo me, anche se gli piacerebbe tanto non esserlo, non può evitarlo.
Ecco perché secondo me tutto il SdA – e credo tutta l’opera tolkeniana – è il racconto non solo del mito, ma della Morte del Mito, là dove per “morte” si intende la Separazione del Mito dalla Storia (e quindi la nascita del mito per come lo intendiamo noi).
Separazioni e distacchi, indebolimento, sono una costante in tutti i lavori di Tolkien.
Facciamo un excursus partendo dal Silmarillion, l’opera che secondo l’autore stesso era il fondamento teorico del suo pensiero (e che non terminò, anche se avrebbe voluto). Numenor, la terra dei Re degli Uomini (ancora una volta regalità e sacerdozio sono inscindibili) che in passato aveva costituito l’avamposto umano tra le Terre Imperiture e la Terra di Mezzo è scomparsa da secoli. Il reame di Valinor, dove dimorano i Valar e che si trova sul continente di Aman è stata dalla Terra di Mezzo nelle ere precedenti a quella in cui si svolge il SdA e durante la Terza Era, appunto, nessuno vi può giungere tranne gli Elfi (si può dire che Frodo e Bilbo ottengano un Permesso di Soggiorno speciale). Con la fine della Terza Era e l’inizio della Quarta esse diventano irrimediabilmente irraggiungibili (soprattutto dagli uomini, nelle note finali al SdA si racconta che si sussurri che, malgrado tutto, Legolas abbia preso con sé Gimli e abbia disceso l’Anduin per andare a rivedere Galadriel). Insomma, con la partenza degli ultimi Elfi (e di Frodo, Gandalf e Bilbo), Mito e Storia si sono separati per sempre.
Come e perché è potuto accadere questo?.
Credo che si debba tornare al ruolo del Male, che, ritengo è, per JRRT co-artefice sia della Storia che del Mito.
Così come Morgoth / Melkor separando il proprio canto da quello di Eru (ci tornerò) contribuisce alla creazione di Ea e quindi di Arda pur mirando alla sua distruzione, Sauron crea l’Anello per dominare / distruggere la Terra di Mezzo e in questo modo crea le premesse per la propria distruzione.
Fermiamoci un attimo.
Non è strano che, per diventare più potente, qualcuno riversi parte determinante del proprio spirito in una cosa indipendente che può, ancora una volta essere separata da lui (ancora il concetto della separazione) e avere una propria vita indipendente?
Certo che è strano, anzi, diciamocelo, è una stupidaggine.
Una tale stupidaggine che per tutto il romanzo l’Anello altro non desidera che tornare al suo padrone, essere di nuovo una cosa sola con lui [a questo punto mi tocca aprire una lunga parentesi: mi sono sempre chiesto come Sauron potesse essere stato così stupido – o così avventato – e mi sono risposto che non poteva fare altrimenti perché il male è inscindibile dall’assenza di libero arbitrio]. 
Poiché però il Male reca in sé la propria stessa distruzione (direi che ciò avviene su un piano addirittura ontologico) il tentativo fallisce (non sto a riparlare di Gollum).
A questo punto l’esito è inevitabile. Venuto meno uno dei quattro componenti del mito/storia venuto meno uno dei componenti del Mito/Storia, dicevo, la conclusione è inevitabile; il Mito/Storia finisce. Il Mito va da una parte, la Storia dall’altra e addio.
A riprova del fatto che il male è il componente essenziale della storia si noti che è proprio da esso che il libro  prende il titolo. Se così non fosse, lo avrebbe chiamato “Le avventure di Frodo” o che so io; JRRT (che ai nomi ci badava eccome), ha dato alla sua opera il nome dell’antagonista, non quello del protagonista, come a dirci che è Sauron (col suo anello fatale) il motore di tutto.

25/02/16

IL VANGELO SECONDO IL GRANDE MAURO MOSCOWSKI

(IL MANUALE DI SCRITTURA CREATIVA PIU’ SCALCINATO DEL GLOBO)   
      
                      

Per essere ammessi alla lettura del manuale di scrittura creativa (pare sia il più sgangherato mai creato finora nella storia della cultura occidentale) di Mauro Moscowski occorre prima superare un test d’ammissione, chiamato TEST DI QUIZ.
Per essere introdotti alla controaccademia mosconiana occorre che ogni lettore si autovaluti seriamente e nello stesso tempo autoironicamente.
Per riuscirci dovrete impegnarvi: pertanto astenersi scemi del villaggio che chiedono il diritto di parola perché presumono di essere premi Nobel.
E astenersi anche bolsi spettatori televisivi che osservando gli scemi del villaggio che scorazzano in TV pensano di essere premi Nobel.
In questa Università si pratica la nobiltà d’animo, e allora astenersi anche iene, nichilisti e fancazzisti e fakezzisti.

                                                             TEST DI QUIZ


Allora, quanto Mosco c’è in voi?
Tirate fuori una pilot al gel (il gusto lo lascio a voi: io prendo la papaya rosa, con cannella) e rispondete alle seguenti domande per scoprire quanto siete in contatto con il vostro Mosco interiore.
Fatevi vivi a operazione conclusa.
Per calcolare il vostro punteggio ricordate che:
  • per ogni risposta a) guadagnate 0 punti
  • per ogni risposta b) guadagnate 21 punti
  • per ogni risposta c) guadagnate 42 punti
1)    Avete un impiego, amiche e amici?
a)    Sì
b)    No
c)    Convivo con un Mecenate, anzi con tre, per maggiore sicurezza.
2)    In quale di queste massime ti riconosci?
a)    Me ne frego di tutto e di tutti
b) L’opera conta di più della vita
c)    La vita conta di più dell’opera
3)    Perché scrivi?
a) Per andare, un giorno, nel salotto di Fabio Fazio a sparare cazzate con Fabio Volo e Checco Zalone: quello è il suc-cesso.
b) Perché voglio pagarmi le bollette in un modo più divertente, anche se non meno rilassante.
c)  Perché mi dà una gioia irrefrenabile e infinita.
4) T’invitano a un concorso di letteratura a pagamento. Che cosa ne pensi?
a) Partecipo immediatamente, perché mi commuovono gli indefessi promotori della cultura. Accipicchia, però, perché chiedono cento euro per le spese di segreteria? Hanno il toner di polvere di platino?
b)  Mah…con molto scetticismo mando la mia opera, forse l’esperienza comunque sarà utile al mio curriculum
c)   E’ organizzato da gente senza scrupoli che a mie spese si farà una bella vacanza al mare con le palle al sole.
5) Identificate questo piccolo mammifero onirico apparso in un noto racconto weird di Mosco & Rubrus:

              
 a)  Un castoro
b)    Un suricato
c)    Un eterocefalo glabro

16/02/16

Un passo in più di Rubrus (il ciclo dei Grossipiedi)

Brondo smorzò la lucerna.
Al suo fianco, Gnollo trattenne il fiato. Per qualche istante il silenzio fu assoluto, incantato, e Brondo capì che stava succedendo davvero: stava vivendo un'avventura.
Poco a poco, gli occhi dei due Grossipiedi si abituarono all'oscurità.
Qualche lucciola errabonda svolazzava davanti a loro e, dalle stelle, una luce grigia pioveva sull'erba. Debole, ma bastava.
«Ma sei sicuro che...» disse Gnollo.
L'altro gli fece cenno di tacere.
«C'è un buco nella Siepe» disse « e le tracce portano qui. È da qui che entra».
«Magari sono talpe».
«Le talpe mangiano radici. Cavoli, insalata, piselli... sono tutti mangiati dall'alto. E non dimenticare le mele! Le mie belle mele... hai mai visto una talpa arrampicarsi sugli alberi?».
Gnollo deglutì. Le aveva viste. Quei morsi significavano una cosa sola. Aprì la bocca per dirlo, ma Brondo lo prevenne.
«I Morsicanti vanno in gruppo».
«Magari questa è una pattuglia in avanscoperta».
«È uno solo».
«Non voglio finire infilzato solo perché tu vuoi fare bella figura con Verbena».
Brondo gli fece cenno di tacere.
«E se non funzionasse?».
«Sssh!» sibilò l'altro.
Si udì un raspare soffocato, poi un trepestio furtivo, infine, un rumore di fronde smosse.
Gnollo sentì il sudore colargli lungo la schiena.
Un mucchietto di patate, croste di formaggio e cavoli faceva bella mostra di sé nella striscia di prato che separava la Siepe dagli orti. E carne. Ossa con un bel po' di carne attaccata. Qualunque Morsicante con un po' di cervello avrebbe capito che era una trappola. Ma nessun Morsicante avrebbe resistito al profumo di quella carne, cervello o no.
Gnollo trattenne di nuovo il fiato e credette di sentire lo strusciare soffocato di unghioli sull'erba, come se qualcuno, all'ombra della Siepe, andasse avanti e indietro, indeciso. Allungò una mano per stringere il braccio del compagno, ma, all'ultimo momento, desistette. Accidenti a lui. Brondo il Fannullone, lo chiamavano quasi tutti, ma Gnollo, che lo conosceva bene, sapeva che avevano ragione quei pochi che lo definivano Brondo il Sognatore. Quel suo trascorrere le ore sul ramo più alto della Quercia Storta , così da guardare oltre la Siepe e osservare le Terre Vaste... non era solo per far bella figura con Verbena che il suo amico si trovava lì. Era per via di quell'irrequietezza, così poco dabbene per un Grossipiedi. “Noi coltiviamo il nostro giardino” stava scritto all'ingresso della Casa Maggiore e così doveva essere. Lui, Gnollo Nolgeri, coltivava il suo giardino... già, ma allora perché era lì anche lui?
Tese di nuovo le orecchie. Non si sentiva nessun rumore. Forse Brondo si era davvero sbagliato. Forse erano talpe o uccelli. Allungò di nuovo la mano, ma, prima che potesse toccare l'amico, uno schianto riempì la notte, seguito da uno strido e un tonfo. Rami e foglie volarono per aria, disperdendo le lucciole e facendo involare un qualche uccello notturno.
«Te l'avevo detto!» urlò Brondo, precipitandosi verso la trappola. 
Gnollo cercò di trattenerlo, ma l'altro era già al di fuori della sua portata, sgambettando rapidissimo sull'erba intrisa di rugiada.
Molto poco da Grossipiedi anche quello, pensò Gnollo. Se era davvero un Morsicante, quello che avevano preso, ce n'erano  altri nelle vicinanze, quindi si doveva correre verso il villaggio, svegliare gli anziani, dare l'allarme.... nello stesso momento in cui formulava questi pensieri, Gnollo correva dietro l'amico. Non si vedevano Morsicanti, quindi c'era la remota possibilità che, nella buca, fosse finito qualcos'altro...
«Visto? Mi credi adesso?» annunciò Brondo, trionfante.
Gnollo lo raggiunse, esitante. Brondo aveva di nuovo acceso la lanterna. La luce, improvvisa, gli dette fastidio e Gnollo dovette farsi schermo con la mano.
La sagoma sul fondo della buca, dai piccoli occhi rossi e brillanti, il viso da topo coi lunghi incisivi sporgenti, le grandi orecchie, il pelo irsuto, era inconfondibile: un Morsicante.
Gnollo si guardò tutt'intorno, ma non vide nessuno. Per quanto incredibile potesse sembrare, e per quanto tutti sapessero che i Morsicanti andavano in giro in branco, quello era solo.
Brondo abbassò la lucerna verso la buca, ricevendone in risposta uno squittio rabbioso, e lanciò un grido di sorpresa.
Gnollo imitò il compagno e, ancora una volta, deglutì quando si rese conto che quella che avevano appena catturato era una Morsicante.
Poi i suoi occhi finirono di abituarsi alla luce e capì la vera ragione dello stupore di Brondo.
Quella Morsicante era incinta.

08/02/16

Sono solo un viandante Grossipiedi (capitolo quarto e fine)

                            
                                     “Homo omnis creatura”, Giuseppe Arcimboldo
                                                  
                                                               
“Il marinaio di fiume Ceice viveva insieme a sua moglie Alcione presso il traghetto di Larcolago, sul fiume Azzurro.
Trasportava con la sua chiatta le merci per tutte le Terre Vaste e si sfiniva di lavoro per dare alla sua amata una casa migliore.
«Ma va bene quella che abbiamo Ceice, non c’è bisogno che lavori così tanto» lo rimproverava Alcione.
    


Ma Ceice non voleva sentire ragioni, pensava al prossimo arrivo di un figlio e accettava ogni tipo d’incarico.
Così imprudentemente accettò di portare nella pericolosa stagione delle alluvioni un carico di miglio, nel Regno delle Rapide Schiumanti.
Ceice decise di nascondere alla moglie la pericolosa navigazione, ma al momento della partenza la donna iniziò a piangere, a fiotti, intuendo la rivelazione di una disgrazia.
«Dimmi la verità tesoro mio, perché vuoi andare così lontano, verso qualcosa d’indefinito che avverto come pericoloso? Il motivo è ancora l’ampliamento della nostra casa? Parlami, non possono esistere segreti tra noi.»
Ma Ceice continuò a minimizzare il viaggio e a rassicurarla.
Alcione, ormai in preda al suo presentimento, lo implorava di portare quelle merci almeno via terra, perché sentiva che il pericolo veniva dall’acqua.
Non ci fu verso di farlo recedere dalla sua decisione e così lo abbracciò e lo baciò mentre s’imbarcava sulla chiatta, con due suoi aiutanti.
E continuava a piangere a dirotto mentre lo salutava con la mano e spariva dietro l’ansa del fiume.
                                       
La pioggia torrenziale aveva preceduto di poco l’ondata alluvionale che aveva capovolto la chiatta nel fiume impetuoso.
Il fiume si sollevava fino a lambire il cielo grigio investendo di spruzzi il naviglio capovolto.
Ceice lottava nell’acqua per non essere afferrato da un gorgo tremendo; mentre agitava affannosamente braccia e gambe, pensava con angoscia ad Alcione, l’avrebbe voluta vicino, ma nella stesso tempo era felice che fosse lontana.
Avrebbe voluto almeno guardare per un’ultima volta la loro casa, dove lei lo attendeva, ma venne risucchiato in fondo al letto del fiume da una forza sovrumana.
Intanto Alcione, ignara del terribile evento, contava le notti che la separavano dal ritorno del marito e ogni giorno offriva incenso a tutti gli dei, e in particolare al Supremo, il Suono.
Andava davanti al suo altare a pregare per il marito, perché ritornasse sano e salvo, perché non s’innamorasse di un’altra donna.
Ma il grande Suono dopo qualche giorno cominciò a non sopportare più l’idea di essere pregato per un morto, e che un cuore così puro e innocente fosse ingannato dalla vita e dalla morte a tal punto.
Allora si rivolse alla sua messaggera Iride, dea dell’arcobaleno, e le disse:
«Iride, recati alla reggia silenziosa del dio del Sonno, e digli di mandare ad Alcione un sogno, che, raffigurando Ceice morto, le riveli la verità. Solo un sogno gliela può rivelare in tutto il suo significato, senza farla morire per il dolore di colpo».

01/02/16

SONO SOLO UN VIANDANTE GROSSIPIEDI (capitolo terzo)


SONO  SOLO  UN


VIANDANTE   GROSSIPIEDI

Capitolo terzo:
Perché l’hai fatto?
                                



Arrivati alle sponde del Lago Azzurro, nel punto in cui si dipartiva la spirale del Regno dei Martin Pescatori, Mosco e Syd piantarono le tende.
Eseguito a dovere il lavoro si recarono a controllare una grotta lì vicino, dove Mosco aveva stipato in botti di rovere alcune provviste.
Prese da un barile un sacchetto contenente dei tuberi – seme di patata, facendo attenzione che ogni pezzo avesse almeno un paio di gemme fertili.
«La cura sarà lunga, Syd, almeno un paio di mesi, e le signore patate ci daranno l’alimentazione giusta per questo periodo, insieme a molti tipi di ortaggi e insalate e tipi di frutta che troveremo qua intorno.
Andiamo a metterle a dimora vicino al nostro bivacco».


La primavera avanzava ed era la stagione degli amori per tutte le forme di vita attorno al Lago Azzurro.
Il risveglio primaverile coinvolgeva proprio tutti, dagli insetti, ai fiori, ai mammiferi della foresta, fino ai pesci e ai Martin Pescatori del lago.
Mentre percorrevano la spirale di terra del Regno dei Martin fino al suo centro, dopo aver messo a dimora i tuberi – seme vicino alle tende, i due Grossipiedi sentivano il canto d’amore dei Martini accordarsi in armonici cori.
Con meraviglia assistevano ai loro corteggiamenti:


Il Martin pescatore maschio richiamava e attirava la sua compagna, riconoscibile dal seducente colore rosso della parte inferiore del becco, con un trillo e con l’offerta di un pesciolino tenuto dalla parte della coda, per sottolineare il dono.
La femmina accettava il presente e la coppia compiva dei gioiosi voli nuziali a notevole altezza, per suggellare l’unione.
Poi, una volta ridiscesi sulla sponda a spirale nel lago, prima lui e poco dopo entrambi, cominciavano a scavare un profondo nido in una parete di terra della riva.
Ogni tanto notavano qualche maschio librarsi sul dorso della femmina, afferrandosi alle piume della sua nuca, e le code si spostavano di lato…


« Eccoci arrivati nel punto giusto, Syd.»
Detto questo, Mosco posò a terra la sua sacca da viaggio e ne estrasse dei pezzi di legno con i quali costruì un nido artificiale.
Tirò fuori anche due piccoli badili e ne porse uno a Syd.
«Aiutami a scavare, Syd.
Dobbiamo prima scavare  una tana nella sponda per inserire il nido artificiale, e dal lato dove ci sono questi fori per ispezionarne l’interno, metteremo una lastra di vetro, e scaveremo un’altra buca dove ci metteremo noi per ispezionare il lieto evento e i piccoli di una coppia di Martini, senza essere notati e senza disturbarli.
Avanti, al lavoro.»


Passarono i giorni, le settimane e due mesi come per incanto.
I quattordici giorni di beltempo dell’intervallo alcionio sembravano non finire mai.
Mosco, segretamente, era preoccupato.
I giorni alcionii erano diventati un'abitudine.
La terra era assetata e il livello del Lago Azzurro si stava abbassando.
Era il tempo delle piogge, eppure splendeva il sole.
Che cosa stavano combinando gli uomini, là nelle Terre Vaste lontane?
Quali catastrofi stavano per cominciare, come il loro solito?
La pioggia dove era finita?

Mosco stornò quei cattivi pensieri e torno a pensare al suo amico d’avventura.
Syd aveva dimenticato il suo Ego e quasi completamente la malattia del tramonto.
Il beneficio dell’aria salubre e aperta, il lavoro quotidiano, l’osservazione costante dei Martini lo stavano riportando alla rinascita.
Solo al tramonto lo prendeva un pianto irrefrenabile: si guardava le mani e le vedeva tutte imbrattate della linfa degli alberi che aveva distrutto e piangeva a dirotto.
Ah, avrebbe potuto fare altrimenti, perché non l’aveva fatto?
Come aveva potuto farsi manipolare la mente dallo stregone Nero?

Mosco in quei momenti gli cantava delle canzoni e gli passava un fazzoletto per asciugarsi le lacrime.
«Piangi amico, senza vergognarti. Il pianto è la più antica medicina, insieme al riso, donata dal Suono agli uomini».
Il mattino dopo Syd ritornava dai Martini, e riassorbiva ancora la gioia delle loro abitudini.
Quando prendevano un pesce, facevano attenzione a ingoiarlo dalla testa per evitare che le lische non li ferissero durante il passaggio nell’intestino.
Come gli aveva fatto notare l’esperto Mosco, quando tenevano nel becco il pesce alla rovescia, voleva dire che stavano per nutrire i loro piccoli o volevano offrirlo alle loro compagne femmine.

Syd era sempre più meravigliato dal comportamento dei Martini dentro il nido; quando erano appena nati e piccolissimi, i due genitori li tenevano costantemente al caldo con le loro ali; ora che erano più grandicelli e stavano mettendo le prime piume colorate, stavano frementi in fondo alla camera in fondo allo stretto tunnel d’ingresso del nido artificiale, e uno solo di loro, il primo all’imbocco della galleria, aveva diritto al cibo.
Ma per i Martini non succedeva come per altre specie di uccelli o per gli uomini devoti a Mephisto, dove solo i più forti si accaparrano il cibo, rischiando di far morire di fame fratelli e sorelle.
I piccoli dei Martin Pescatori fanno invece i turni di fronti all’entrata della loro camera, e ognuno di loro a diritto di sfamarsi quando è giunto il suo turno.
Per questa usanza il Martin Pescatore era considerato l’animale sacro dai Grossipiedi.