25/01/16

SONO SOLO UN VIANDANTE GROSSIPIEDI (Capitolo secondo)


                           LA GEOGRAFIA IMMAGINALE DELLE TERRE DEI GROSSIPIEDI

    - disegno di Antonio Calzone (Big Tony) -




Mosco e Syd si dirigevano a passo spedito verso l’Unico Varco nella Siepe, che dal Contado di GranGiardino portava nel Boscoscuro e da lì al cosmo delle Terre Vaste.
Bisogna sapere che il varco era presidiato dai tre giganteschi Custodi del Boscoscuro, un Pioppo, un Ontano e un Salice Bianco.Le tre piante millenarie avevano il potere di camminare sul terreno con le radici, come fossero gambe.

Pochi decenni prima si era conclusa una terribile disputa tra il popolo dei Grossipiedi e gli alberi del Boscoscuro.
Ai tempi della malvagia influenza dello stregone Nero, eletto Reggente con oscuri e delittuosi maneggi, i Grossipiedi avevano abbattuto indiscriminatamente una quantità di alberi superiori al loro bisogno e così la congregazione dei vegetali aveva richiamato in battaglia i tre Custodi.
C’erano stati dei morti e i fuochi degli incendi avevano minacciato l’esistenza nel cuore delle Terre Vaste.
Tutto si era concluso con la battaglia di Acqueazzurre, e Nero, il malvagio servitore di Mephisto, era stato ucciso dai suoi stessi schiavi durante la fuga, provocata dal coraggioso assalto dei Grossipiedi.
In seguito, grazie all’opera mediatrice del grande Mago Verde Mirdin, i Grossipiedi s’impegnarono ad abbattere solo un limitato numero di piante concordato con i tre Custodi del Boscoscuro.



La grande Quercia posta al centro al giardino di Syd e di tutto il Contado rammentava il patto, messo a graffito e firmato da Mirdin e dal colosso arboreo Ontano sulla sua corteccia.
Syd era stato uno dei più feroci abbattitori di alberi e pagava con la malattia del tramonto la sua personale caduta e il suo invasamento per il Signore delle ombre.
Quella era la Terza Era del Terzo Tema, chiamato Storia: un mondo decaduto dove male e bene, pregi e difetti, vizi e virtù crescevano ogni giorno intrecciati, mischiati tra loro, e grande era la confusione sulle Terre Vaste.
Tutte le creature del Suono erano state gettate nel grigio calderone ribollente della lotta tra Primo e Secondo Tema e ogni giorno bisognava scegliere tra loro, e non era facile, perché grande era il potere dell’oscurità e delle ombre.
Syd ormai faceva molta fatica a distinguere i Due Temi, e per questo la malattia del tramonto lo assaliva senza tregua.
Solo appoggiando la schiena a quella antica Quercia, posta al centro del Contado di GranGiardino e di tutte le Terre Vaste, ritrovava il sacro centro dell’Essere in Divenire, e si sentiva meglio.
Adagiato alla Quercia dimenticava il suo Ego, la parte di sé che era schiava di Nero e di Mephisto.

20/01/16

BARDO IL PIANTELARGHE di Antonio Calzone

                                  
Nascosto dietro questa pesante tenda di velluto rosso, osservo il mostro. Dagon è un titano alto almeno due metri e mezzo, ben più del doppio di me e ad ogni passo fa tremare il pavimento di marmo. Il suo volto è coperto da una maschera di cuoio mostruosa, con un ghigno feroce dal quale spuntano zanne affilate. Quella che provo non è semplice paura: la sua figura m’incute un terrore che non avevo mai provato prima. Mi domando cosa ci faccia qui un valligiano come me, un modesto contadino che pretende di fronteggiare questo spaventoso conquistatore, col semplice ausilio di uno stiletto.
Solo ieri, tutte le mie certezze erano ancora salde.
Il ricordo che più spesso mi torna in mente è quello di Wulfman, il potente Mago Bianco, mentre rimescola l’acqua del suo magico bacile d’avorio.
L’acqua forma un gorgo, un vortice che sembra non fermarsi mai. Lentamente una figura prende forma nella bacinella; guardo meglio e capisco che quell’immagine non è nell’acqua ma sull’acqua: si forma leggermente al di sopra della superficie del liquido trasparente e non ci sono dubbi, è proprio il mio viso sorridente, quello che mi restituisce lo sguardo.
«Lo vedi, Bardo? L’incantesimo che anima questa modesta bacinella è forte e non mente. Tu sei il prescelto!»
«Potente Wulfman, ma cosa significa? Che deve fare il prescelto? Io sono solo un semplice Piantelarghe, non sono un guerriero, non posso nemmeno cavalcare un destriero o brandire una spada!»
«Le profezie non riguardano le tue abilità di combattente, Bardo. C’è molto altro, dentro di te: cose che nemmeno tu conosci ancora.»
«Come potrò conoscerle, Wulfman?»
«Non sta a me dirlo, Bardo; dovrai scoprirlo da solo, a tempo e luogo. Prendi questo e tienilo sempre con te.»
«Cos’è?»
«All’apparenza è un semplice zufolo, anche se d’oro. Racchiude un potente incantesimo e tu non dovrai suonarlo mai, finché non saprai che è davvero necessario.»
«Come lo saprò, potente Mago Bianco?»
«Lo saprai e basta.»
Molto tempo è passato da quel giorno, durante il quale ho continuato a vivere come un semplice abitante del mio villaggio Grangiardino, assieme ai miei amati Valligiani. Noi Gente delle Pianure siamo esseri semplici, coltiviamo il suolo e viviamo allegramente contentandoci di quel poco che la natura provvede per il nostro sostentamento. Una grave calamità, però, incombe sulle nostre teste da quando il potente e crudele re Dagon, venuto dalle terre di Oltremare, ha portato il suo esercito fino ai confini di quelli che noi chiamiamo i Territori. Il Popolo delle Montagne ha opposto una forte e strenua opposizione all’invasione, aiutato in questo da potenti popoli guerrieri come i Silfi, i Centauri, i Trollim, ma se Dagon dovesse avere la meglio su di loro, potrebbe valicare quello che per noi è sempre stato un baluardo sicuro e portare morte e distruzione anche nella nostra valle.
Spesse volte Wulfman è tornato da me, portando notizie della guerra e controllando che avessi sempre con me il flauto d’oro.
«Malitus mi ha mostrato il palazzo di Dagon, in una visione.»
«Wulfman, Malitus è il potente Mago Verde? Quello che protegge il Popolo delle Montagne e lotta assieme a loro contro Dagon?»
«Proprio lui, Bardo. Mi ha mostrato una via che porta all’interno della fortezza del Re Nero e io ne ho disegnata una mappa. Prendila, un giorno potrebbe servirti.»
«Potente Wulfman, ti ho già parlato delle mie perplessità, ma da allora tu non hai mai fatto nulla per prepararmi ad affrontare le responsabilità che gravano sul prescelto. Quando verrà il momento, se mai verrà, mi troverà impreparato!»
«Guarda dentro di te, Bardo, ed abbi fede. Disponi già di tutto quello che ti serve per compiere il tuo destino. Io non potrei aggiungere nulla a ciò che sei.»

19/01/16

SONO SOLO UN VIANDANTE GROSSIPIEDI (Capitolo Primo)

                 
                    SONO  SOLO  UN 

              VIANDANTE  GROSSIPIEDI 

“ Travolti dallo stesso destino, il loro amore rimane e continua a legarli allo stesso Fato, e il patto coniugale non si scioglie neppure ora che si sono trasformati in uccelli.
Si accoppiano e diventano genitori, e per sette giorni sereni, nella stagione invernale, Alcione cova in un nido sospeso a picco sul mare. Allora è calma anche l’onda dell’oceano: Eolo tiene rinchiusi i venti e non li lascia uscire…”

Ovidio, Metamorfosi

“Ma nei sette giorni prima del solstizio invernale e altrettanti dopo, il mare si placa per permettere la covata degli alcioni, e da questo fatto presero il nome.

I quattordici giorni che cadono nel periodo del solstizio d’inverno, addolciscono il clima con la calma dei venti, per permettere la nascita degli alcioni.”

Plinio, il Vecchio, Naturalis Historia, II, 125 e XVIII, 231 
                


Al di qua del Boscoscuro c’era il Contado del GranGiardino, abitato dal popolo dei Grossipiedi.
Al di qua della Grande Siepe che delimitava il Contado, c’erano pecore che brucavano nei prati, muretti che separavano i campi, gli orti e i giardini dai pascoli; piccoli villaggi annidati tra le colline poco elevate; mulini ad acqua, casette sparse che sembravano emergere dalla terra.
Vicino alle case e alle tane abitabili che fuoriuscivano dal terreno, c’erano fertili vivai coltivati a frutta e verdura e splendidi giardini vividi e colorati, cosparsi di bocche di leone, nasturzi rossi e gialli, fiori incandescenti che si arrampicavano su per i muri, facendo capolino dalle finestre rotonde delle case interrate.
Dentro una casa sotterranea c’era Mosco Sbrindolento, un Grossipiedi di mezz’età, che stava pulendo e sbucciando delle cipolle rosse e delle grosse patate.
E fu proprio nel mezzo di quell’azione che Sbrindolento apprese da Tania Occhioazzurro della malattia del tramonto.
Il terribile morbo aveva colpito suo marito Syd Spandicolore, il suo più caro amico.
- Mosco Sbrindolento, disegno di Fabio Cavagliano -

Quando un suo amico è in difficoltà e in ristrettezze, un Grossipiedi molla tutto e va in suo aiuto. Mosco s’infilò il suo cappellino e i suoi caratteristici occhiali scuri e partì con Tania in soccorso del suo caro amico.


PROLOGO A "LA VIA DEI GROSSIPIEDI: Avventure nelle Terre Vaste"


                                           PROLOGO
«Dove dunque stiamo andando?»  
«Sempre verso casa»
Bardo Piantelarghe ripensava alla sua risposta data alla misteriosa figura femminile che gli era apparsa accanto all’antichissima rupe nella Foresta Azzardata.
Dov’è diretto il mio cammino?
E quello di Mosco Sbrindolento e di Brondo Barins e di tutte le amiche e gli amici che si sono messi in viaggio inseguendo un sogno?
Bardo guardava i suoi grossi piedi sporchi e callosi che l’avevano portato all’avventura per le Terre Vaste.
Ancora una volta recitò la preghiera che l’aveva accompagnato durante il pellegrinaggio:


12/01/16

DANDELION (Una pagina di Ray Bradbury)


  
a mio fratello Guido

“E tutto, assolutamente tutto era davanti a lui. Il mondo gli restituì lo sguardo come la gigantesca iride di un occhio ancora più immenso, un occhio che, come il suo, si era appena aperto per contemplare le cose. E Douglas capì che cosa gli era balzato addosso e seppe che non l'avrebbe abbandonato mai più. Sono vivo, pensò. Le dita tremarono, brillanti di sangue, come i brandelli di una misteriosa bandiera ora scoperta e prima sconosciuta, dinanzi alla quale Douglas si domandasse: a che paese appartiene? Quali doveri ho nei suoi confronti? Seguitando a tener fermo Tom, ma senza rendersene conto, si toccò la mano insanguinata con quella libera, come se volesse rovesciarla, sfoderarla, sbucciarla. Poi lasciò andare Tom e alzò la mano al cielo, rimanendo steso sulla schiena; dalla sua testa gli occhi sorvegliavano la scena come due sentinelle alla grata di uno strano castello, e la mano insanguinata era il pennone che sventolava al di là del ponte levatoio.
«Stai bene, Doug?» chiese Tom.
La sua voce pareva venire dal fondo di un pozzo, segreta, lontana. 
L'erba sussurrava sotto il suo corpo. Douglas abbassò il braccio, sentendo il solletico dell'erba sulla pelle, e più lontano le dita dei piedi che si flettevano nelle scarpe. Il vento soffiava intorno alle orecchie che parevano diventate due conchiglie. Il mondo scivolava, lucido, davanti al chiarore cristallino dei suoi occhi; e sembravano immagini scintillanti in una sfera di cristallo. I fiori erano soli, chiazze di cielo cadute in mezzo ai boschi. Gli uccelli scattavano come sassi lanciati nel vasto stagno rovesciato del cielo. Il fiato sibilava sui denti, entrando di ghiaccio e uscendo dal fuoco. Gli insetti volavano con chiarezza elettrica. Diecimila capelli gli crescevano di un milionesimo di centimetro sulla testa. Sentì i cuori gemelli battere in ciascun orecchio, un terzo cuore battere in gola, un quarto e un quinto nei polsi, e quello vero in mezzo al petto. Un milione di pori si aprirono sul suo corpo.
Sono vivo sul serio, pensò. Non l'ho mai saputo prima, e se l'ho saputo l'ho dimenticato! 
Urlò con quanto fiato aveva in gola, una decina di volte, ma solo nella sua mente. Pensaci, pensaci! Hai dodici anni e te ne accorgi solo adesso. Hai scoperto un prezioso orologio, un raro segnatempo coperto d'oro e garantito una vita, e l'hai trovato sotto un albero mentre facevi la lotta con tuo fratello.”

Dopo aver letto una pagina del genere, non si sa più che cosa aggiungere.
Si vorrebbe evitare al lettore il fastidio di altri commenti critici, probabilmente inopportuni.
Cercherò pertanto di essere minimale: perdonami amico fruitore se non ci riuscirò, se puoi.

Il brano è tratto dal romanzo di Ray Bradbury L’estata incantata (Dandelion Wine), pubblicato nel 1957.
Il protagonista, il giovane Douglas Spaulding, è alle prese con quello che ritengo il problema dei problemi: come diventare adulti?
Nell’immaginaria cittadina di Green Town, nell’Illinois, Bradbury mette in scena e sulla carta la storia che racchiude tutte le storie: il passaggio di un infante/adolescente all’età adulta.
Douglas ha il permesso di dormire nella torre della casa dove abita con la sua famiglia.
Il mattino seguente, quando si sveglia, scopre che quel giorno è il primo giorno d’estate e che ha a disposizione un’intera estate piena di giorni oziosi e festivi.
Sente di tenere il mondo nelle palme delle mani e il mondo viene a trovarlo nella sua anima, e gli mostra la sua Anima.
Poi l’illuminazione: lottando con il fratello Tom, Doug avverte la sensazione di essere vivo.

06/01/16

VOLLI, SEMPRE VOLLI, FORTISSIMAMENTE VOLLI (pensieri per il nuovo anno)

a chi resta in Italia e non scappa
                    
                                      Fabre Francois Xavier - Vittorio Alfieri e la contessa d'Albany
Il nuovo anno comincia con la notizia della grande fuga dei giovani italiani all'estero: qualcosa come il 34% in più negli ultimi due anni.
In buona sostanza, hanno preso la via dell'estero 3,3 giovani ogni mille abitanti.
Naturalmente, non c’è niente da stupirsi.
Il mercato del lavoro in Italia è un Far West alla Tarantino e la politica interna dell’ultimo governo, non eletto dalla sovranità del popolo, fa acqua da tutte le parti.
Centri dell’impiego totalmente inutili, cooperative e aziende interinali che sono diventate nuove potentissime società segrete che fanno schiavi e schiave a piacimento, soggetti al loro bello e cattivo tempo.
Ma quello che è peggio è che viviamo in un MalPaese (per quanto bellissimo, ahimè!) di “nipoti e cognati”, come diceva Flaiano.
Una Repubblica dove la meritocrazia non esiste.
La conosciamo bene la verità: se non vieni alla luce in una culla di noce foderata di velluto rosso e con le maniglie in oro zecchino non emergerai mai in nessun ambito creativo e produttivo.
Avere una mente fertile e una gran voglia di creare e lavorare è assai meno importante che avere uno zio vescovo o un cugino portaborse di un sottosegretario.
E’ normale che chi non ha santi in paradiso e fanti compiacenti nella scassata Repubblica fa le valigie.
Per creare e sviluppare dei progetti occorrono impegno e perseveranza, che hanno bisogno di entusiasmo vitale: e che entusiasmo vitale può avere una ragazza o un ragazzo nel constatare che i giochi sono fatti e che i posti alla tavola imbandita della realizzazione sono riservati sempre agli stessi?
Ragazze e ragazzi, voi fate quello che volete, ci mancherebbe, ma io voglio parlarvi di Vittorio Alfieri.
Nel gennaio del 1774, questo giovanotto astigiano di belle speranze, rientrato in Piemonte dopo un lungo viaggio europeo, dovendo badare alla nuova amante gravemente ammalata, per riempire le sue lunghe giornate di novello infermiere si mise a scribacchiare qualche foglio di una tragedia o di una commedia, non capiva bene nemmeno lui che genere fosse (ispirati dalla lettura di Plutarco).
Comprese quanto era vasta la sua ignoranza in materia e che bisognava lavorare d’impegno e aggiungervi una buona dose di grinta per arrivare a finire l’opera.
Ignorante com’era, doveva assolutamente studiare i vari Eschilo, Sofocle ed Euripide e passare molto tempo con la testa china su quei libri accantonati per i suoi piacevoli viaggi nel Vecchio Continente.
E inoltre avrebbe dovuto anche leggere e studiare e annotare quaderni su quaderni per comprendere Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto e Tasso per migliorare l’uso della lingua madre.
Per recuperare il tempo perduto si sottopose a una sorta di autoregime carcerario.
Si chiuse in casa con un baule di libri e arrivò addirittura a legarsi con una corda alla sedia, pur di rimanere seduto davanti alla scrivania.
Davanti a lui era scritto il motto: “volli, sempre volli, fortissimamente volli”.
Vennero in seguito creati dei capolavori come il Saul e la Mirra.